I Paesi scandinavi alle prese con le riforme del lavoro, scuola e politiche sociali

Con l’avvicinarsi delle vacanze pasquali, il dibattito politico in nord Europa si raffredda. I partiti tirano il fiato prima dei mesi che portano all’estate. Ma a tenere alta l’attenzione sono i tavoli dove si discutono le grandi riforme: scuola, lavoro, politiche sociali. Trattative che attraversano quasi tutta la Scandinavia con dinamiche complesse e risultati diversi. A volte clamorosi.

In Finlandia il cammino procede a piccoli passi. Le discussioni più importanti riguardano il futuro labour market e vedono contrapposti i datori di lavoro e i sindacati. Ma nonostante gli incontri vadano avanti da mesi, di progressi non se ne sono fatti. Lo stallo è pressoché totale: lo scoglio degli aumenti salariali (voluti dai sindacati ma non dagli imprenditori) si è rivelato insormontabile. A ristagnare è anche la riforma del welfare a livello locale. Maria Guzenina-Richardson, ministero delle Politiche sociali, ammette che il progetto slitterà quasi certamente. Insomma le riforme che dovrebbero dare alla Finlandia un profilo più dinamico stanno richiedendo una gestazione più lunga di quanto ci si aspettava. Nel frattempo la disoccupazione torna a salire, passando da 7,7% del febbraio 2012 all’8,7% dello stesso periodo di quest’anno. Tradotto in numeri: 231.000 persone sono fuori dal mercato del lavoro, un aumento pari a 27.000 unità. Per quanto riguarda la crescita, le stime del ministero delle Finanze dicono +0,4% per quest’anno, +1,6% l’anno prossimo e +2,1% nel 2015. Il Pil dovrebbe riprendere a crescere insieme a un miglioramento del quadro economico internazionale. Anche tenendo conto di questi numeri, l’esecutivo va avanti sulla sua strada. E si scopre di più su quanto il governo intende fare nei prossimi mesi. L’obiettivo del premier Katainen è ridurre le tasse alle imprese dal 24,5% al 20%. Un taglio che dovrebbe partire dall’anno prossimo e che procede sulla rotta tracciata già l’anno scorso. Tasse da una parte, debito pubblico dall’altra. Helsinki ribadisce di volerlo ridurre (oggi siamo sul 56% del Pil) e soprattutto di volerne interrompere la crescita entro il 2015. Come? Con tagli alla spesa pubblica (che nei piani dell’esecutivo dovrà scendere di 900 milioni di euro dal 2014 al 2017) e un aumento mirato delle tasse. In pratica prende corpo quello che era stato anticipato un paio di settimane fa: alcolici e tabacchi ma anche l’energia elettrica costeranno di più. Una strategia che non piace alle opposizioni: i Veri Finlandesi affermano che l’esecutivo non ha un piano per l’occupazione e vuole favorire solo le grandi aziende. Il Partito di Centro denuncia che gli aumenti fiscali incideranno negativamente sui redditi medio bassi.

In Norvegia si sono arenate le trattative tra datori di lavoro e sindacati sulle nuove retribuzioni. Se ne riparla dopo Pasqua. L’accordo va trovato entro l’8 aprile se si vuole evitare uno sciopero. Per ora il clima non sembra particolarmente teso. Quel che si vuole evitare è un’altra spirale di tensioni sociali come quelle della scorsa estate: prima le manifestazioni degli agricoltori con i trattori in strada; poi lo sciopero dei dipendenti pubblici con la paralisi di diversi settori; infine le braccia incrociate degli operai delle piattaforme petrolifere.

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Ma è dalla Danimarca che arrivano i risultati più clamorosi. Le trattative tra insegnanti e datori di lavoro non hanno portato a nulla. E al ritorno dalle vacanze pasquali, centinaia di migliaia di studenti molto probabilmente non troveranno i loro docenti nelle aule. Il ché significa blocco dell’istruzione, ragazzi a casa ed esami che saltano. I sindacati degli insegnanti e l’Associazione nazionale dei Comuni non sono riusciti a giungere a un accordo sulla riforma scolastica. A dividerli soprattutto il piano di aumento delle ore di lavoro dei docenti senza che questo vada a influire sui bilanci delle scuole. Una proposta vecchia di mesi e che da mesi attendeva di essere affrontata.

Uno dopo l’altro sono falliti tutti i tavoli. Fallito anche l’intervento del governo. E come dichiarato a fine febbraio dal ministro delle Finanze Bjarne Corydon, senza un accordo l’esecutivo avrebbe proceduto con un blocco. Uno strumento insolito in una controversia di questo tipo, e per due motivi: storicamente in Danimarca lo si è utilizzato di rado nel settore pubblico e mai per una categoria così numerosa. Il termine fissato per raggiungere un’intesa è il 31 marzo: dopodiché circa 60.000 insegnanti si ritroveranno senza contratto, e dunque senza lavoro e senza stipendio fino alla definizione di un nuovo accordo. Se le parole di Corydon dovevano servire a forzare la mano per arrivare a un’intesa, l’esito di certo non è stato quello sperato.

A Copenhagen proveranno a scongiurare il blocco fino all’ultimo. “Faremo di tutto per evitarlo. Tenteremo fino alle 23,59 dell’ultimo giorno” dicono dal sindacato degli insegnanti, “anche se ormai sembra non esserci nessuna speranza”. Tutti sembrano infatti rassegnati a quello che, col passare de tempo, è apparso come un esito sempre più scontato. Del resto il clima nel quale si sono svolte le trattative s’è surriscaldato giorno dopo giorno: accuse tra le parti, genitori allarmati, membri del governo ad accusare i docenti che hanno risposto con manifestazioni in strada. Insomma un’agitazione che ha incendiato il dibattito e inesorabilmente allontanato le parti.

Il quotidiano Politiken già un mese fa sottolineava come siamo di fronte all’ennesimo passo falso del governo guidato dalla laburista Thorning-Schmidt: il segnale del fallimento della politica scolastica del lavoro. Adesso, a poche ore dal blocco, la strada per evitare una gigantesca grana politica si fa strettissima.