I tre motivi dietro la nomina di Alfano

Quel giorno è giunto. Il fondatore dell’idealtipo del partito-azienda, del movimentismo istituzionalizzato, e del superamento della forma partito di tipo tradizionale ha deciso di nominare un “segretario politico” del Pdl. Trattasi di Angelino Alfano, attuale ministro della giustizia, eletto all’unanimità dall’Ufficio di Presidenza del Pdl nuovo segretario della creatura politica berlusconiana. La nomina sarà ratificata entro la fine di giugno dal consiglio nazionale del partito e, solo a seguito della conferma della nomina, Alfano si dimetterà dalla guida del ministero di via Arenula. La nomina non ha portato ad un azzeramento del cosiddetto triumvirato che guidava il partito dalla fondazione nel 2009: Bondi, La Russa e Verdini restano dirigenti politici nazionali con specifiche deleghe. Bondi va alla “filosofia dei valori”, La Russa alla propaganda e Verdini all’organizzazione (ma non gli fate toccare gli enti locali, vi prego!). Ma la direzione politica del partito spetta ad Alfano e ovviamente al Presidente del Partito.

Come leggere questa nomina? Senz’altro sul piano formale si tratta di una novità di assoluto rilievo per il panorama politico italiano. Mentre per quanto riguarda il piano sostanziale bisognerà attendere quale spazio riuscirà a ritagliarsi, e quale spazio gli concederanno, il nuovo segretario politico.

Già il fatto che Alfano debba dimettersi dall’incarico di ministro è qualcosa da tenere d’occhio. E per nulla scontata. Nell’organizzazione precedente del partito in pochi avevano avuto da ridire sul doppio incarico, nel partito e nel governo, di Bondi e La Russa. Si trattava di una conduzione “leggera” del partito che non poteva che portare molto spesso alla coincidenza degli incarichi. Mentre invece la nomina di Alfano e l’obbligo delle dimissioni potrebbero ridisegnare i contorni e i rapporti del partito, compresa la sua struttura.

Non si tratta solo di una svolta nominalistica tesa a comprendere chi far sedere sulle bianche poltrone di “Porta a Porta” o chi far intervenire come speaker alla Camera nel dibattiti parlamentari importanti. Ma anche di una svolta politica di peso in primis nell’entourage berlusconiano. Berlusconi fu chiaro all’alba della vittoria elettorale del 2008 “12 ministeri a noi, 4 ad An, 4 alla Lega e 1 a Rotondi. Ma sia chiaro: devo controllare direttamente Economia, Esteri e Giustizia”. Insomma, sono finiti i tempi in cui si delegava ad un leghista come Castelli la guida del ministero della giustizia (anche se ovviamente il Cav. ci aveva parlato prima con l’esponente leghista, per fargli capire quali dovevano essere le sue principali “priorità” in materia di giustizia). E con l’addio di Alfano dal ministero si libera anche una casella importante per la politica berlusconiana. Insomma: lo stesso premier rischia nel far lasciare ad un suo fedelissimo una postazione chiave nell’esecutivo.

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Tre invece sono le principali caratteristiche di questa nomina e le principali motivazioni che possono aver portato a questa scelta. In primo luogo c’è l’espediente mediatico: il centrodestra è reduce da una delle peggiori sconfitte della sua storia da quando è iniziata la parabola politica berlusconiana. Lungi dall’offuscare del tutto l’esito delle elezioni, che tra l’altro inizialmente sembravano capaci di compromettere la stessa esistenza dell’esecutivo, la nomina di Alfano, e l’importante decisione di istituire la figura di un segretario all’interno di un soggetto politico berlusconiano, consente di parlare d’altro. In secondo luogo la nomina di Alfano dà, o almeno spero di dare, linfa nuova al partito: la scelta sull’esponente politico siciliano non è casuale e del resto Berlusconi non si sarebbe mai permesso di correre il rischio di dover togliere un suo fedelissimo alla giustizia. Infatti secondo la concezione del centrodestra (resta da capire se ciò ha effettivo riscontro nell’elettorato) Alfano ha una buona reputazione di politico giovane e preparato. In parole povere, appare presentabile. Da qui il tentativo di “svecchiare” il partito e di renderlo almeno apparentemente più dinamico. Infine la nomina di Alfano può essere letta non solo in prospettiva ma anche come “atto potenziale” del Pdl: da oggi è chiaro che potenzialmente può esserci una successione a Berlusconi. Resta da vedere se tutto ciò assumerà le vesti dell’iniziativa politica o di quella meramente comunicativa. E soprattutto bisognerà vedere come Alfano eserciterà questo ruolo. Perché, anche se può apparire come contradditorio, curiosamente un incarico nuovo di zecca di questo tipo all’interno di un movimento d’impronta berlusconiana può essere del tutto inutile (in quanto, come ha scritto Ferrara, alla fine decide tutto “iddu”) o una vera svolta del centrodestra e del sistema politico italiano. Sulla strada, magari, di un bipolarismo maggiormente maturo e capace di non prescindere da una singola personalità politica.