Ad un passo dal baratro

Il tragitto di questa manovra finanziaria è quanto mai stretto. È stretto per la complessa fase politica che sta vivendo il governo ed è stretto per la difficile situazione economica che in questo periodo attanaglia l’Europa. Dal punto di vista politico la situazione di Giulio Tremonti si è ulteriormente complicata: già sotto pressione da parte del “nocciolo duro di Forza Italia”, che gli rinfacciava una scarsa attenzione nei confronti della crescita economica e degli interventi compensativi, ad aggravare la vicenda si è aggiunto lo scandalo legato al deputato PdL, e suo ex collaboratore al ministero Marco Milanese, che ha gettato tra l’altro ombre sulla reputazione stessa del super-ministro come ben testimonia il caso dell’abitazione di via di Campo Marzio. Per non parlare poi di un certo nervosismo, ben poco celato da parte del premier, nei confronti del commercialista di Sondrio, e dell’atteggiamento della Lega Nord che, per quanto abbia ottenuto garanzie sulla possibilità di sforare il patto di stabilità da parte dei comuni virtuosi, da tempo non difende a spada tratta Tremonti come ai vecchi tempi. E se ci si pensa è forse questa una delle notizie più rilevanti della politica nostrana.

La manovra, blindata attraverso il voto di fiducia ma ancora non del tutto configurata nei suoi aspetti, si scontra contro un’opposizione desiderosa di discutere del rilancio dell’economia nazionale (in questo senso appare molto significativo l’incontro bolognese tra Bersani e Casini). La contingenza economica europea invece appare ancora più drammatica: per quanto infatti non esista una lettura unanime riguardante l’aggravio della crisi europea, e la sua conseguente instabilità dei debiti degli stati sovrani, il piano di austerity varato dal Parlamento da Atene e portato avanti dal nuovo governo ellenico non sembra tranquillizzare i mercati. Dense nubi coprono ancora le prospettive di crescita del Portogallo e negli ultimi tempi la situazione italiana sembra essersi aggravata.

La giornata di venerdì 8 luglio è stata una vera e propria Caporetto per la Borsa di Milano. Una crisi così acuta da spingere le istituzioni a far pressioni sul futuro presidente della Bce Mario Draghi che, in una dichiarazione nel primo pomeriggio, ha dovuto seminare sprazzi di ottimismo nei confronti della cura Tremonti sui conti pubblici. Il notevole calo della Borsa è dovuto all’instabilità governativa attuale, all’elevato debito pubblico e soprattutto alla bassa crescita. Insomma: tutte quelle cose prese di mira dalle agenzie di rating internazionali che però, per speculare sulla situazione italiana, si apprestano a fornire prospettive catastrofiche a mercati ancora aperti e a manovra non ancora ultimata. Da qui la presa di posizione della Consob, per ora unica nel suo genere, di richiamare all’ordine Moody’s e Standards & Poor’s e la proposta comunitaria di vietare pareri delle agenzie riguardanti i paesi “in crisi”.

Come si esce da questo stallo? Se si pratica un breve zapping tra i network giornalistici stranieri si potrà notare come l’attenzione in queste ore non si focalizza tanto sulla crisi dell’intera struttura comunitaria, ma specificatamente sull’Italia. Un’attenzione pari a quella che si registrò nei confronti della Grecia quando approvò il suo piano di austerity, con tanto di scontri fuori dal parlamento in piazza Syntagma, e a quella che ottenne il Portogallo nel corso delle sue ultime elezioni politiche. È la crisi politica che ha aggravato questa situazione e che ha reso facile la vita ad una speculazione in grado di portare in forte ribasso i listini italiani. Per non parlare poi di altri aspetti come quelli legati alla cosiddetta “Guerra di Segrate” che, a seguito della decisione della Corte d’Appello di Milano, ha portato ad una paradossale situazione dove perde il titolo Fininvest, per i soldi che deve pagare, ma al tempo stessa è negativo anche quello della Cir perché non ha ancora ricevuto i soldi!

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Ad uno stallo politico, che ha contribuito ad aggravare la contingenza economica, occorre dunque una risposta politica. In questo senso vanno colti gli inviti del Capo dello Stato e una conseguente maggiore pacatezza delle forze d’opposizione. L’Italia dei Valori proporrà correttivi e promette una valutazione sul merito. Il patto di Bologna Bersani-Casini mira a puntare sulla crescita attraverso un rilancio delle infrastrutture e delle liberalizzazioni (ma queste istanze possono avere seguito in un partito a tratti corporativo come quello di Casini?). Enrico Letta annuncia che il Pd in ogni caso non si asterrà e che il voto sulla manovra dipende dalla variabile legata al voto di fiducia. La stessa fiducia chiesta a gran voce dai plenipotenziari della maggioranza per dare risposte immediate e nette a questo attacco su tutti i fronti.

Bisognerà vedere in primis quanto Tremonti sarà disposto a ritoccare qualche aspetto del decreto: che il rigore dei conti pubblici sia importante e l’azzeramento del rapporto deficit/Pil un vincolo europeo lo pensano quasi tutti. Ma allo stesso tempo, e ciò lo sostiene anche il fronte sindacale, occorre fare crescita perché altrimenti resterà irrisolto lo strutturale problema dell’Italia col suo debito pubblico (che secondo le stime dovrà attestarsi nel 2014 al 108% a seguito delle misure draconiane di Tremonti!). Il tutto in un quadro dove Confindustria ricorda come sia fondamentale rivedere (ergo tagliare) parte della spesa pubblica.

Occorre un salto di qualità dunque della nostra classe politica. Una responsabilità capace di affrontare il merito della questione e capace di uscire al più presto da questa tempesta. Le nette decisioni sono le uniche che possono evitare un proseguo di questa intricata situazione. Ma questo non toglie che Tremonti, anche se è un “maestro” nel risanamento dei conti pubblici, dovrà presumibilmente prestare maggiore attenzione al tema della crescita. Perché probabilmente si troverà circondato da destra e da sinistra. Ma dovranno essere misure di crescita vera, e non il solito assalto alla diligenza di stampo clientelare (che tra l’altro ci ricorda molto la crisi della lira e l’uscita dallo Sme nel 1992). E su questo i cittadini potranno misurare la responsabilità della loro classe dirigente.