Lo stato della Turchia e la prospettiva euroasiatica

Turchia: in occasione dell’Europe day (9 maggio), il primo ministro turco Erdoğan ed un componente del governo, il ministro degli Affari europei Egemen Bagis, hanno annunciato l’imminente entrata nell’UE del loro Paese.

Una decisione che arriva da lontano, dato che già nel 1963 Turchia ed Unione Europea avviarono le loro relazioni, con la firma dei cosiddetti «accordi di Ankara».

Ma solo nel 2005, Ankara e Bruxelles hanno aperto i negoziati per la candidatura del paese anatolico alle istituzioni europee. Questa decisione è tuttora contrastata da molti partiti europei di stampo xenofobo (si pensi al movimento di Geert Wilders, leader del Partito per la Libertà, nei Paesi Bassi o al Front National di Marine Le Pen in Francia), tuttavia – come ha dichiarato qualche mese fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – l’Europa non può permettersi di escludere la Turchia dal progetto d’integrazione dell’Unione. Ma vediamo, in breve, qual è la situazione interna del paese e le mosse del governo turco in politica estera.

Innanzitutto, la Turchia si sta rivelando un’economia in forte espansione, il cui PIL crescerà del 3% quest’anno e del 3,4% l’anno prossimo (Ansa), in assoluto un risultato straordianario, se paragonato alla crescita zero dei paesi dell’Europa meridionale – su tutti, il vicino greco. E proprio la robustezza economica preoccupa i due motori d’Europa, cioè Germania e Francia.

In primo luogo, la concorrenza sarebbe troppo pericolosa, in quanto l’export turco (143,5 miliardi di dollari nel 2011) potrebbe minacciare, nel suo piccolo, quello tedesco, leader indiscusso del settore. In più, il legame tra Ankara e Berlino è particolarmente vivo, in quanto la Germania è storicamente la meta prediletta dell’immigrazione turca. Un elemento non trascurabile, se pensiamo che qui la manodopera straniera si forma, per poi sperare di far ritorno presto alla casa madre, ormai potenza emergente nello scenario mondiale. Ma ciò che non convince la cancelliera Merkel (e non solo) è il numero degli abitanti del paese.

Infatti, come previsto dal Trattato di Lisbona firmato nel 2007 da tutti gli stati membri, la ripartizione dei seggi al Parlamento europeo si basa sulla rappresentanza demografica. Per cui, i circa 71 milioni di abitanti (contro i quasi 65 milioni della Francia e gli 82 milioni della Germania, i più popolosi d’Europa) permetterebbero alla Turchia di acquisire un cospicuo numero di europarlamentari a discapito di Parigi e della stessa Italia. In aggiunta, il 30% della popolazione turca ha meno di 16 anni, una media altissima rispetto al 16% presente in Europa occidentale.

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Ma il miracolo economico della nuova Turchia è stato possibile grazie alle politiche intraprese da Erdoğan che, sulla scia dei suoi predecessori, ha aperto il mercato interno ad investimenti stranieri. I dati parlano chiaro : nel 2011 i flussi dei capitali esteri hanno raggiunto i 15,7 miliardi di dollari (Istituto per il commercio estero). Sono queste le cifre di un paese che tiene il passo delle potenze emergenti BRICS, a cui l’Europa del libero mercato non può più rinunciare.

Eppure, il governo non guarda soltanto all’Ue: pochi giorni fa, infatti, il primo ministro turco ha firmato un sostanziale accordo di pre-adesione all’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, organo intergovernativo che unisce Cina, Russia e i paesi dell’Asia centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, escluso il Turkmenistan). Si tratta del primo paese afferente alla Nato che vuole entrare a farne parte.

In effetti, come ha ammesso di recente il ministro degli esteri Davutoğlu, la posizione geografica occupata dal paese è tale da condizionare le alleanze e le politiche di collaborazione tra Europa ed Asia. Per questo motivo, la Turchia – sempre secondo il ministro – in futuro rivolgerà il proprio sguardo verso le popolazioni turcofone dell’Asia centrale, seguendo, in un certo qual modo, le orme del passato Impero ottomano. Ankara si candida a diventare il crocevia di culture diverse tra loro e di economie appetibili ai mercati del mondo occidentale.

Fabrizio Neironi