Governi che nascono e governi che cambiano: la settimana scandinava

L’Islanda ha un nuovo governo. Dopo oltre tre settimane di colloqui, ieri i due partiti di centrodestra hanno ufficializzato l’accordo. Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, leader del Partito progressista, sarà primo ministro. Bjarni Benediktsson, che guida il Partito dell’Indipendenza, sarà ministro delle Finanze. Al Partito Progressista vanno quattro ministero, tra cui quello degli Affari Esteri. Cinque se ne prende il Partito dell’Indipendenza, che guiderà tra gli altri il dicastero degli Interni e quello della Salute.

L’esito è quello anticipato già da tempo ma i colloqui sono stati lo stesso più lunghi del previsto: Gunnlaugsson ha impiegato oltre tre settimane per sciogliere nodi che evidentemente erano più ingarbugliati di quanto immaginato all’inizio. E chissà, forse proprio per questo aveva fretta di comunicare l’esito positivo al presidente della Repubblica, una fretta che gli è costata cara: come ha riportato il Morgunblaðið, ieri mattina il neo primo ministro è stato fermato mentre viaggiava ben oltre i limiti di velocità.

Aneddoti a parte, i pilastri su cui si regge l’accordo di governo sono lavoro, economia e debiti delle famiglie. Per quanto riguarda la politica estera, il nuovo esecutivo non riprenderà i colloqui con Bruxelles per l’adesione dell’isola all’Unione europea fino a quando gli islandesi non si saranno pronunciati attraverso un referendum.

Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, primo ministro islandese

Per un governo appena nato, un altro sostituisce alcune pedine dopo un paio d’anni di vita. Siamo in Finlandia, dove il rimpasto di cui si vociferava da un po’ alla fine c’è stato. Le modifiche sono tutti di marca socialdemocratica, e del resto il partito di Jutta Urpilainen da settimane suggeriva di cambiare qualche faccia. Jukka Gustafsson lascia il ministero dell’Istruzione a Krista Kiuru. La guida del dicastero della Sanità e dei Servizi sociali va invece a Susanna Huovinen, che prende il posto di Maria Guzenina-Richardson. Pia Viitanen prende la delega della Casa e delle Comunicazioni.

Nessuna bocciatura, ha voluto precisare Jutta Urpilainen: i ministri uscenti hanno fatto un buon lavoro, è il momento giusto per passare il testimone. E potrebbe non essere finita qui, visto che Urpilainen ha annunciato che altre pedine potrebbero essere spostate di qui a poco. Non solo: la ‘staffetta’ ministeriale potrebbe diventare un’abitudine per i laburisti. Jutta Urpilainen ha infatti annunciato che in futuro potrebbe essere sempre più frequente sostituire i ministri dopo un paio d’anni.

Anche in Danimarca in estate potrebbe esserci un rimpasto di governo. Lo ha scritto il quotidiano Jyllands-Posten, secondo il quale la premier laburista Thorning-Schmidt vorrebbe in questo modo dare slancio all’esecutivo. Intanto proprio Thorning-Schmidt ha allontanato l’ipotesi di adozione dell’euro. Irrealistico, secondo la premier, un referendum sull’argomento nei prossimi anni: il legame che già esiste tra la moneta unica e la corona è più che sufficiente. Ciò non toglie, ha aggiunto, che Copenhagen resterà comunque al centro del progetto di cooperazione europea.

Le sue parole non stupiscono. Fare oggi in Danimarca un referendum sull’adozione dell’euro significa imbarcarsi in un’impresa destinata a fallire, considerato che la maggior parte dei danesi è contraria a ipotesi di questo genere. Un vento, quello dell’euroscetticismo, che soffia in tutta la Scandinavia. Nella vicina Svezia, ad esempio, un sondaggio di inizio maggio svelava come meno di un cittadino su dieci sarebbe disposto ad abbandonare la corona per la moneta unica.

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In Norvegia, invece, il clima è quello della campagna elettorale. Le elezioni sono in programma a settembre. Gli ultimi sondaggi pubblicati dal quotidiano Aftenposten mettono la Destra al comando e i laburisti del premier Stoltenberg in seconda posizione: altri istituti di ricerca, una decina di giorni fa, suggerivano posizioni invertite.

Erna Solberg, leader del partito della Destra

 

Ma questi sondaggi sono interessanti soprattutto per quello che succede a ‘centro gruppo’. Il Partito del Progresso perde qualcosa e scende all’11,9 per cento, che è praticamente quello che otterrebbero Partito Liberale e Partito Popolare Cristiano messi insieme. Non è un dettaglio. Erna Solberg, leader della Destra, ha spesso detto di voler formare un governo con tutti e quattro i partiti oggi all’opposizione, ma è opinione diffusa tra i commentatori politici che non le dispiacerebbe affatto tener fuori dall’esecutivo il Partito del Progresso, un alleato scomodo per dialettica, programma politico e ambizioni. Ma questo sarà possibile solo a due condizioni: la Destra deve ottenere un importante riscontro elettorale e il Partito del Progresso non deve andare troppo oltre la somma dei voti dei liberali e dei Cristiano popolari. Solo in quel caso, Solberg potrà un esecutivo a tre.

La strada resta però molto lunga, di tempo ne manca e la campagna elettorale può vivere altri stravolgimenti. Per ora si parla ancora di tasse. Il premier Stoltenberg la scorsa settimana era stato molto diretto: la pressione fiscale va ridotta. A distanza di qualche giorno, la Destra ha detto la sua: va bene abbassare le tasse, ma se qualcuno pagherà di meno, chi sarà a pagare di più? Secondo i conservatori (che non vogliono farsi rubare la scena su un terreno cruciale come quello delle tasse) la proposta dei laburisti è confusa. Stoltenberg ha ribattuto che il suo progetto è rendere il sistema fiscale sempre più equo. Insomma le schermaglie non mancano. E c’è da scommettere che non mancheranno neppure nelle prossime settimane.