La confusione regna sovrana. Tranne che a Vasto

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Vasto rischia di diventare una location simbolo per la sinistra italiana.

Lungi dal paragonare il tutto agli storici incontri di Teano, ma alla festa dell’Italia dei Valori nella cittadina abruzzese si è avuto, anche dal punto di vista dell’immagine, la rappresentazione plastica di una probabile e futuribile alleanza di centrosinistra alternativa al governo Berlusconi.

Il dibattito a tre tra il padrone di casa Antonio Di Pietro, il leader di SeL Nichi Vendola e il segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani però è stato accompagnato da misteri e polemiche.

Di Pietro aveva avuto il coraggio politico di invitare gli altri partner della coalizione alla kermesse dell’Idv per ottenere un confronto diretto sui temi più stringenti dell’attualità politica. Quasi un modo per tagliare la testa al toro e impacchettare davanti ai media e alle forze politiche lo schieramento che l’ex pm predilige.

L’invito inizialmente è stato accolto in maniera tiepida da Bersani che in effetti il giorno prima era impegnato a Berlino, dove ha avuto modo di incontrare il leader dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel. Si profilava dunque, come un anno fa, la presenza di Rosy Bindi a Vasto che del resto, se escludiamo qualche strascico post elezioni regionali, ha molto spesso preso le difese di Vendola nel periodo in cui nel centrosinistra alcuni settori tendevano a mettere in discussione la sua ricandidatura alla guida della regione pugliese.

Col tempo però le incomprensioni sono state superate, complice forse la pubblicazione della notizia sui giornali, e a Vasto abbiamo avuto modo di osservare la troika Bersani-Vendola-Di Pietro ricevere applausi e ovazioni.

Tutto ciò ovviamente ha allarmato alcuni settori del principale partito d’opposizione e soprattutto ha visto la reazione sdegnata di Pierferdinando Casini che oggi come mai temporeggia e cerca di ragionare in chiave tattica per meglio definire la più conveniente strategia delle alleanza da adottare.

Il tutto però ben evidenza uno stato della politica italiana che più che di profondo malessere appare di profonda confusione. In molti infatti, sia a destra che a sinistra, non sanno che fare e tendono quindi a demonizzare scenari sistemici che rischiano di concretizzarsi.

Del resto è evidente come la situazione attuale del centrosinistra sia del tutto diversa rispetto a quella dell’opposizione al governo Berlusconi dal 2001-2006. Allora leadership (per quanto poi formalizzata dalle primarie del 16 ottobre 2005) e confini della coalizione erano chiari e gli unici dubbi potevano sorgere riguardo la peculiare situazione di Rifondazione Comunista e Di Pietro che erano corsi da soli alle politiche del 2001. In questo caso, almeno fino all’incontro di Vasto, i confini della coalizione non erano molto chiari ne tantomeno la leadership. O almeno: la partita delle primarie non avrà un esito scontato e certo almeno alla luce della situazione attuale.

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In questo senso non è tanto interessante la dichiarazione di Marco Follini secondo cui è quanto mai sbagliata un’alleanza di centrosinistra a tre gambe basata sul Pd, sull’Italia dei Valori e su Sinistra Ecologia e Libertà, ma la reazione di Casini.

L’Udc infatti in questa partita si trova tra due fuochi. E sostanzialmente deve compiere una scelta di campo. L’esperimento del Terzo Polo formalmente è ancora in piedi come ricorda lo stesso Casini (anche se in Molise l’Udc sosterrà il centrodestra, l’Api il centrosinistra e Fli nessuno dei due. Insomma: tana libera tutti). Ma a spingere maggiormente in questa direzione sono più che altro Fini e Rutelli, col primo ben consapevole che deve ritrovare una sua collocazione politica dopo il profondissimo strappo maturato nei confronti del PdL e di Berlusconi. Da qui un investimento e un afflato emotivo maggiore quando si parla di Polo della Nazione. Ma è evidente che Casini ha in mente disegni diversi. O comunque non ha una visione stereotipata o altamente idealistica di un ipotetico terzo polo. Per quanto forse lui sia il più legittimato a credere e a sostenere uno scardinamento dell’attuale assetto bipolare.

Alfano è stato designato alla guida del PdL per trovare un aggancio, a livello di alleanze, con Casini (vi assicuro: la sua nomina non è funzionale ad una sua candidatura a premier nel 2013 e le ultime sue affermazioni sull’intoccabilità di Berlusconi ben lo testimoniano) mentre lo stesso Bersani forse non chiude del tutto la porta alla sponda centrista.

Ma appunto, si diceva prima, la confusione regna sovrana sotto il cielo della politica. E la vulgata maggioritaria, per quanto informale, sostiene che si andrà a votare nel 2012. Si sostiene ciò non tanto per atti formali veri e propri (una crisi parlamentare) ma per lo spaesamento degli schieramenti in campo.

Basti pensare alla Lega che rispolvera la secessione. Un concetto che quando è stato al primo posto dell’agenda politica leghista ha visto il Carroccio diminuire i suoi consensi (elezioni europee del 1999). Per non parlare poi della misteriosa vicenda su quell’articolo di “Panorama” che critica pesantemente la moglie del Senatùr Umberto Bossi accusata di essere la manovratrice nell’ombra della politica leghista e di aver sostanzialmente sostituito il marito nelle scelte chiave di via Bellerio. Un articolo che ha spinto Maroni e Calderoli a chiedere chiarimenti a Berlusconi. Evidenziando però, forse inconsapevolmente, un paradosso: perché mai un settimanale di proprietà di Berlusconi come “Panorama” dovrebbe attaccare il “Cerchio magico” bossiano? Tradotto: perché Berlusconi dovrebbe essere intenzionato a colpire la corrente filo-berlusconiana della Lega?

Insomma, il disordine domina in questa fase. E l’incontro di Vasto rischia di imporre dei punti fermi, o comunque di formalizzare una base politica di per se già nota da tempo seppur implicitamente, che dovrebbe spingere molti attori politici a compiere gesti netti e irrevocabili.

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E quindi Casini deve sapere che in ogni caso alla sua sinistra ci sarà questo schema a tre di cui abbiamo parlato, la Lega Nord deve rispolverare la secessione perché minacciata dagli scandali berlusconiani, e il PdL deve trovare un modo disperato per rilanciare l’azione di governo e al tempo stesso tentare un sempre più difficile accordo con l’Udc.

Nel bel mezzo della tempesta si aggira pure lo spettro del referendum elettorale. A suo modo un altro tema che evidenzia una certa confusione dei principali attori politici.

Infatti il PdL teme come il fumo negli occhi il ripristino del Mattarellum e per bypassarlo, nel caso vengano accettati i quesiti, non esclude l’approvazione di una nuova legge elettorale gradita a Palazzo Grazioli.

Così come Casini ricorda che il Mattarellum è stato già utilizzato con scarso successo nel passato,  anche D’Alema, ad una festa del Pd di Ostia, ricorda come la riproposizione delle alleanze larghe sul modello dell’Unione sia superata. E di conseguenza sia sbagliato lottare per una riedizione del vecchio sistema elettorale.

Più confuso di così lo scenario non potrebbe essere: l’unico test elettorale politico che ha visto la vecchia Unione di centrosinistra tra gli schieramenti in campo era quello delle politiche del 2006. Quando si votò col Porcellum. Insomma: Mattarellum ed alleanze eterogenee non sono necessariamente collegate. Casomai potrebbe essere utilizzato, in chiave meramente propagandistica, il tema dell’uninominale che “costringe” i partiti politici a non presentare il proprio simbolo a scapito di quello della coalizione. Dimenticando anche qui però l’esperienza del Polo della Libertà e in quello del Buon Governo nel 1994 che schierava fieramente tutti i simboli nel reparto uninominale. E dimenticando ovviamente la presenza di un comparto proporzionale che, seppur esiguo rispetto alla quota maggioritaria, vede i partiti correre ciascuno col proprio simbolo.

Insomma, non si capisce che molto spesso un sistema elettorale è fondamentale per la creazione e il consolidamento di alleanze stabili e di governi in grado di durare. Ma si tende a sottovalutare che molto spesso sono le scelte politiche dei singoli partiti e dei singoli esponenti a condizionare un sistema politico, indipendentemente dalla formula elettorale. Lo testimonia bene a suo modo il caso del Porcellum: in due elezioni si è votato con questo sistema e in due situazioni del tutto diverse. E si è giunti ad una forma di semplificazione politica nel 2008 rispetto al 2006. Ma i tentennamenti parlamentari e l’umore popolare hanno nettamente bocciato questo sistema elettorale.

Occorre quindi, assieme al sacrosanto proposito di cancellare del tutto l’attuale sistema elettorale, tornare alla politica e capire che indipendentemente dai singoli sistemi e dai singoli schieramenti si possono vincere o perdere le elezioni a seconda della credibilità di una leadership, di un programma di governo e di valori condivisi in grado di appassionare i cittadini.