La fiaccola dell’autonomia si sta spegnendo.

Sono passati due anni esatti dalla nettissima vittoria di Raffaele Lombardo alla guida della Regione a statuto speciale siciliana. Una vittoria all’insegna del forte “vento di centrodestra” che colpiva il paese in quei mesi (ingiustificabile altrimenti la differenza dei consensi tra Lombardo nel 2008 e i voti ottenuti da Totò Cuffaro nelle precedenti elezioni, nel 2006) e all’insegna del nuovo patto Pdl-Lega-Mpa che, dopo la fine del “bi-coalizionismo all’italiana”, vedeva schierare alle elezioni politiche un grande partito nazionale di centrodestra e due partiti autonomi rispettivamente nel Nord e nel Sud d’Italia. Una vecchia modalità che Berlusconi conosce bene avendola utilizzata nella sua prima vittoria elettorale nel 1994 con il Polo della Libertà al Nord e il Polo del Buongoverno al Sud (alleato con il Movimento Sociale Italiano ancor prima della sua trasformazione in Alleanza Nazionale).


La grande vittoria del centrodestra nella varie elezioni del 2008 consacrò dunque uno scenario realisticamente spietato per il centrosinistra: a Berlusconi l’Italia, alla Lega il Nord, ad Alleanza Nazionale il comune di Roma e a Lombardo la Sicilia.

Ma da quei giorni dell’aprile del 2008 qualcosa è cambiato a Palermo: la giunta Lombardo, per quanto si sia sbizzarrita nel conferire nuovi incarichi a ras locali o a”dirigenti” disoccupati, ha già visto numerosi ribaltoni all’Ars siciliana.

Ben tre sono state le giunte di Raffaele Lombardo a livello regionale e, considerando che tutto ciò è avvenuto in meno di due anni, si potrebbe legittimamente sostenere che l’ex Presidente della Provincia di Catania ha preso gusto nel cambio delle guardie e nelle differenti varianti applicative del caro vecchio Cencelli.

Resta il fatto che tutti questi cambi non sono solo conseguenza di dissidi politici che si stanno registrando nell’isola tra le varie forze politiche. Ma qualcuno sostiene che gli stessi dissidi siano conseguenza dei mutamenti nella giunta (e qui ritorniamo alla figura di un Governatore fortemente desideroso di “cambiare tutto per non cambiare niente”, concetto a quanto pare intrinseco in gran parte della classe dirigente isolana).

Una motivazione ad un atteggiamento di questo tipo possiamo trovarlo nella particolarità, vera o presunta, dell’azione politica di Lombardo rispetto ai suoi predecessori di scuola Dc: anche Lombardo è un ex democristiano, allievo di Calogero Mannino, come Cuffaro e come altri governatori siciliani. E’ anche vero però che, a differenza di molti altri suoi ex colleghi, Lombardo è stato l’unico ad aver rotto col suo ex partito, l’Udc, ponendosi come leader di un nuovo raggruppamento politico. Unito dal collante dell’autonomia. A dir la verità un’operazione di questo tipo vide protagonista, nei primi anni ’90, l’ex sindaco di Palermo Ciancimino. Ma in questo caso Lombardo si è spinto così in avanti tanto da essere arrivato ai ferri corti con grande parte della coalizione di centrodestra

Dopo aver lasciato il partito di Casini la prima cosa da fare per Lombardo non era tanto quella di fondare un nuovo partito: semplicemente doveva dimostrare di essere bravo. Ecco dunque un’operazione politica complessa, degna di copiose tesi di laurea, nel corso delle elezioni comunali di Catania che riportarono il medico di fiducia di Berlusconi Umberto Scapagnini alla guida della città dell’elefantino contro l’ex sindaco Enzo Bianco sostenuto dal centrosinistra.. Lombardo infatti presenta svariate liste piene zeppe di suoi “amici” con simboli strani, mai visti e senza dubbio non conosciuti. Il risultato è un’alta percentuale per la somma di tutte queste liste che, all’insegna del pensiero e dell’azione politica di Lombardo, portano Scapagnini alla riconferma in comune.

L’ex medico Lombardo ha dimostrato dunque, nel corso delle comunali del 2005, di sapere attrarre un numero esagerato di voti. Indipendentemente dal simbolo, indipendentemente dalle proposte, indipendentemente dalle idee.

Indipendentemente, appunto. Da qui dunque parte il nuovo passo: non certo l’indipendenza della Sicilia, ma per l’autonomia. Lombardo fonda nel 2005 il Movimento per l’Autonomia, partito che non ha solo l’aspirazione di rappresentare una notevole realtà politica della Sicilia, ma di tutto il Mezzogiorno.

Un primo stop Lombardo lo subisce nel 2006 con risultati deludenti della lista unica Lega Nord-Mpa che si presenta nel 2006 con magri risultati alle elezioni politiche. Ma i magri risultati sono più per il Carroccio a dire il vero: Lombardo in Sicilia, anche questa volta, ottiene un altro grandissimo exploit!

E qui sarebbe necessaria una lunga digressione sulla perversità e sull’abuso che talune forze politiche hanno fatto del termine “autonomia” (in tal senso basta citare la nota Dc di Rotondi) alla stregua della storia di Frà Cristoforo nei “Promessi sposi” del Manzoni o della storia della rete fognaria parigina de “I Miserabili”. Discussione che forse si potrà intavolare in un’altra occasione.

Lombardo dunque prende voti, si distacca leggermente dai suoi eredi democristiani-doc (Cuffaro in primis), rivendica l’autonomia ma, come altri suoi predecessori, pare sia indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Alcune tradizioni sembrano permanere.

Lombardo si distacca ancor di più dai suoi eredi per l’alto tasso di litigiosità che riesce a causare all’interno del centrodestra: di fatto il Pdl è diviso in due parti, una sostenitrice del governatore e guidata dal sottosegretario Miccichè, l’altro che fa le pulci a Lombardo capitanata da Renato Schifani e Angelino Alfano (quest’ultimo ultimamente ha dichiarato: “non commento le dichiarazioni di Lombardo. Si tratta chiaramente di un uomo in difficoltà”).

Come collocare allora l’aitante medico catanese che minaccia di fare i nomi dei politici collusi con la mafia davanti tutta l’Ars, che dispensa favori a più non posso, cariche pubbliche e incarichi vari a presunti attivisti dell’Antimafia?

Le elezioni regionali e il risultato nel Sud d’Italia ci insegnano una cosa molto chiara: è finita, ed è stato bocciato dai cittadini, quella forma di politica meridionale che credeva che lo sviluppo del Mezzogiorno poteva avvenire solo con una forte partecipazione dell’amministrazione pubblica (i dati di Calabria e Campania ci insegnano questo). Ma la Sicilia pare non seguire questa strada, e non solo perché Regione a statuto speciale. La più grande connotazione della politica lombardiana nell’isola ci mostra una Sicilia dove non si dispensano cariche pubbliche o favori solo per allagare e mantenere un copioso sistema clientelare indispensabile per essere rieletti. Ma ci mostra un’isola dove il clientelismo e la “logica del favore” tende a divenire un vero e proprio sistema con tutti i suoi meccanismi. Tende a diventare quasi una teoria scientifica. Non tralasciando tra l’altro nulla delle cattive abitudini di certi politici siculi.

La questione meridionale tende sempre di più, ma lo era già dai tempi dei Risorgimento, ad essere una questione nazionale. Forse “la questione nazionale”.

In questi tempi, nonostante una parvenza di novità data dalla nuova ideologia autonomista, il divario tra Palermo e il resto d’Italia sembra allargarsi sempre più.

E anche la fiammella dell’autonomia rischia di spegnersi.