Il Veneto alla prova del voto regionale post-Covid

È periodo di elezioni anche in Veneto: i prossimi 20 e 21 settembre gli elettori veneti saranno chiamati a rinnovare il consiglio regionale e a scegliere chi sarà il prossimo governatore della regione e i compiti che attendono la prossima giunta non si preannunciano semplici. Primo fra tutti il traghettare il Veneto verso la ripresa economica dopo la crisi scaturita dalla chiusura forzata della maggior parte delle attività lavorative lo scorso marzo (incombenza per la quale servirà anche l’aiuto del governo centrale) a causa dell’epidemia del SARS-CoV-2; e in secondo luogo l’annosa questione dell’autonomia: sono ormai trascorsi più di mille giorni dal referendum consultivo senza che Venezia e Roma siano giunte ad un accordo soddisfacente, nonostante le promesse del governo centrale (prima gialloverde, poi giallorosso) di voler arrivare ad un compromesso politico che piaccia ad entrambi i fronti. La questione è complessa e per giungere ad una soluzione appagante allo stesso tempo per lo stato e la regione è necessario che soprattutto chi sarà chiamato a governare il Veneto lavori di fino, aggirando le opposizioni delle regioni del sud e di quello schieramento trasversale a Palazzo Chigi e a Palazzo Madama che è ostile all’autonomia delle regioni a statuto ordinario e, in un’ottica più ampia, al federalismo.

Le ultime due tornate elettorali hanno visto uno Zaia vincente, cavalcante l’onda della tradizione politica veneta – di destra ma moderata, tant’è che, come abbiamo già avuto modo di dire in un altro articolo, Luca Zaia rappresenta un’ala piuttosto liberale e libertaria del Carroccio; ma se nell’ormai lontano 2010, il centrodestra ha vinto a mani basse sul candidato del centrosinistra, cinque anni fa nell’agone veneto, e anche nazionale, è entrato a gamba tesa il Movimento Cinque Stelle, scompaginando le carte in tavola e difatti togliendo voti alla destra e alla sinistra per indirizzarli in quel voto scontento di protesta tanto agitato dagli stessi grillini.

 

 

Queste regionali, però, saranno il vero banco di prova per l’amministrazione leghista in Veneto, soprattutto dopo l’ondata epidemica del SARS-CoV-2 che ha, nelle primissime settimane dell’emergenza, decretato tale regione come la seconda più colpita dopo la Lombardia di Attilio Fontana. La riconferma dell’attuale governatore trevigiano, però, è molto probabile vista la popolarità che lo circonda.

Il centrodestra punta su Luca Zaia: il cavallo vincente della Lega veneta

Le prossime elezioni venete si rivelano quindi fondamentali per il futuro della regione. Non ci dev’essere alcuna possibilità di errore per alcun schieramento che scenderà nell’agone elettorale politico; il centrodestra è però in vantaggio: governa la regione incontrastato da diverse legislature e grazie a Luca Zaia ha ampliato il consenso nel corso degli ultimi dieci anni, arrivando a formare una base elettorale solida e ben consolidata sul territorio. Uno dei punti centrali dell’agenda politica è il problema dell’autogoverno, inserito nello statuto regionale richiamando alla storica tradizione politica che ha da sempre caratterizzato la regione e i territori che furono della Serenissima Repubblica di Venezia. Dimenticarsi di realizzare questo punto, tema caldo e altamente sentito nei veneti, segnerebbe la fine della carriera politica di chiunque ambisca a diventare presidente della regione, ma non è così per el Doxe, il quale durante le dirette televisive quotidiane nel corso dei giorni dell’emergenza sanitaria non ha mancato di far presente ai giornalisti che “il Veneto ha dimostrato, con la gestione dell’epidemia, di essersela guadagnata a pieno titolo perché significa soltanto assunzione di responsabilità“.

Il Presidente del Veneto, Luca Zaia (Lega). Foto di repertorio

Arturo Lorenzoni all’attacco del Doxe

Discorso diverso ovviamente per il centrosinistra: in seguito alla débâcle della coalizione guidata dall’avvocato Alessandra Moretti (Partito Democratico, oggi eurodeputata nei Socialisti Europei) nel 2015, il PD si è ritrovato in seria difficoltà nel cercare un candidato di peso che riuscisse a sfidare Zaia; la scelta per la prossima tornata elettorale è ricaduta su Arturo Lorenzoni, Professore associato di Economia Applicata all’Università di Padova e vicesindaco del capoluogo euganeo; guiderà lui la coalizione di centrosinistra, dentro alla quale sono confluite le diverse anime del progressismo, dal Partito Democratico ad Europa Verde, passando per i liberal-democratici di Più Europa (insieme a Volt) fino al movimento indipendentista Sanca Veneta (cioè Sinistra Veneta), vicino ad Esquerra Republicana, il movimento secessionista catalano nato in seguito al referendum svoltosi in Catalogna nel 2017. La scelta di puntare su Lorenzoni, però, non è stata unanime: proprio nel PD infatti si sono registrati diversi mal di pancia, pur se la maggioranza dei democratici è risultata favorevole nel lanciare il vicesindaco civico come l’anti-Zaia della sinistra. Per un breve periodo si vociferava che il Partito Democratico volesse in alternativa puntare su Andrea Crisanti, Professore ordinario di Microbiologia anch’egli all’ateneo patavino, rumors smentiti però dallo stesso docente universitario, sebbene Lorenzoni non abbia nascosto a maggio il suo endorsement nei confronti del collega (tenendosi stretta, però, la candidatura).

La frizione più consistente tra i due schieramenti si noterà soprattutto sulla gestione dell’emergenza sanitaria degli ultimi mesi, per la quale il Partito Democratico regionale ha chiesto che fosse istituita una commissione di inchiesta per vagliare le decisioni prese dalla giunta nelle scorse settimane, soprattutto per quanto riguarda le RSA.

L’avversario principale di Luca Zaia: Arturo Lorenzoni, vicesindaco di Padova e candidato di punta del centrosinistra (Photo Credits: La voce di Rovigo)

Non solo centrodestra e centrosinistra: gli altri candidati

Oltre a Luca Zaia e Arturo Lorenzoni, ovviamente, in tanti tentano l’assalto a Palazzo Ferro Fini: tra questi ci sono gli ex compagni di partito dei democratici, i renziani guidati da Daniela Sbrollini, supportata anche da una sua lista civica e da un movimento autonomista; poi il Movimento Cinque Stelle, con Enrico Cappelletti; la lista prosegue con Paolo Benvegnù di Solidarietà Ambiente Lavoro, Patrizia Bartelle di Veneto Ecologia Solidarietà, Simonetta Rubinato (che si presenta con la sua civica Veneto Rubinato) e Paolo Girotto di Movimento 3V Libera Scelta; senza dimenticarsi del fronte autonomista e secessionista del Partito dei Veneti capitanato dall’attuale consigliere regionale Antonio Guadagnini, eletto tra le file di Indipendenza Noi Veneto (in appoggio, nel 2015, a Luca Zaia) all’inizio della scorsa legislatura. Il 2020 è l’anno del fronte venetista unito con il Partito dei Veneti dopo più di vent’anni di divisioni tra le diverse sigle che compongono le linee indipendentiste venete. Un lavoro di fino, ottenuto grazie al compromesso dei diversi leader di partito e in particolare del coordinatore del PdV Giacomo Mirto, compromesso che, però, non è piaciuto a tutti visto che uno dei partiti fondatori, il Popolo di San Marco creato da Davide Lovat, ha abbandonato la compagine subito dopo la formazione.

Come si vota

Le elezioni si svolgeranno i prossimi 20 e 21 settembre, rispettivamente dalle 7 alle 23 e dalle 7 alle 15; prevede l’elezione diretta del Presidente di Regione, del secondo candidato Presidente di Regione con più voti e di 49 consiglieri (per un totale di 51 seggi) che comporranno il Consiglio Regionale del Veneto; le circoscrizioni sono sette come le provincie e prevederanno ciascuna nove seggi, a differenza di Belluno e di Rovigo che invece eleggeranno due consiglieri a testa. È prevista la preferenza di genere: si può votare uno o due candidati, ma in caso devono essere di sesso opposto perché la scheda sia valida, altrimenti la seconda preferenza verrà annullata.
Se la coalizione del candidato presidente vincente otterrà più del 40% dei voti validi conseguiti da tutte le coalizioni, allora l’alleanza vincitrice avrà in mano 29 seggi, viceversa se i voti risultassero meno del 40%, i consiglieri sarebbero 27. È possibile il voto disgiunto, mentre la soglia di sbarramento per le coalizioni non può superare il 5% mentre quella del gruppo di liste il 3%.