Recensione – Almeno una volta

Almeno una volta

Cristian Umbro è una persona (non lo definirò ragazzo, perché “ha trent’anni”, come ricorda nel libro) molto sensibile e sincera. Ha scritto ciò nella sua bella dedica alla mia copia di “Almeno una volta” (Edizioni Ensemble, 117 pag, 12 euro). Ma lo si evince anche da questa sua prima fatica letteraria.

E non solo persona sensibile e sincera. Ma anche innovatrice. Nel vero senso del termine. Intendendo, con questo quanto mai inflazionato aggettivo, una persona che ha ben chiaro, nonostante gli umani dubbi della vita, da che parte stare. Quale orizzonte scorgere, verso cosa tendere e, seppur meno importante, quale stile letterario scegliere per un’opera letteraria di questo tipo.

Infatti “Almeno una volta”, come ricorda la postfazione, non è un thriller ne tantomeno giallo. Nega anche la qualifica di libro d’avventura ma, essendo la vita molto simile ad un’avventura, secondo me assume perfettamente questa caratteristica.

Un racconto sulla vita che tende ad essere innovativo appunto proprio per lo stile della narrazione: il protagonista è il signor Nobili, ma non si conosce il suo nome coperto, per pudor di privacy, da una serie di asterischi. I più attenti alle vicende letterarie, o gli appassionati di storia della letteratura come me, non potranno in questa caratteristica scorgere lo stesso “stratagemma letterario” utilizzato da Victor Hugo nei suoi “I Miserabili” quanto parla, nella prima parte del libro, del vescovo di D. senza specificare, per motivi analoghi, di quale località si tratta (la storia, la geografia delle diocesi e la storia poi ci riveleranno che si tratta del vescovo della città di Digne). E come la città di D. è in realtà un modo formale per coprire il nome di una nota città francese, il signor *** Nobili è presumibile che sia l’autore stesso del libro. Il protagonista del racconto ha caratteristiche analoghe a quelle del suo ideatore e cenni autobiografici non mancano.

E’ un testo che da questo punto di vista aspira ad esprimere quello che un tedioso studioso della filosofia popperiana definirebbe come un “idem sentire”: nelle storie e nelle vicende di Nobili ci sono storie di tutti i giorni che molto spesso rispecchiano alcune vicende che tutti noi abbiamo avuto modo di vivere nella nostra esperienza terrena.

L’eccezionalità di certi racconti, il godimento nel leggerli e le chicche legate alla vicenda del protagonista sono tali, agli occhi del lettore, proprio perché è facilissimo identificarsi perfettamente col protagonista. Chi non ha mai avuto un amico che, emulando Blaise Pascal e la sua “Scommessa sui Dio”, è arrivato alla conclusione che non conviene economicamente farsi la tessera dell’Atac? Chi non ha un gruppo di amici fornito di particolari canoni e specifici riti d’iniziazione a tratti puerili come “la pisciata su Fabiola”? Chi non sostiene, almeno una volta nella vita, di aver fatto un goal destinato a rimanere nella storia del calcio se solo ci fossero state le telecamere in campo e se solo non si fosse trattato di una semplice partitella tra il San Basilio e la temibile Unione Sportiva Cabrini? E, molto più seriamente, chi non tende a riconoscersi almeno un po’ nei sentimenti di affetto che Nobili prova per Michela? O nella grande amicizia nei confronti di Sara, dai bei capelli rossi?

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Un sentire comune che si trasmette anche attraverso altre passioni. Molti i riferimenti cinematografici nel lavoro di Umbro (del resto ha tratto spunto dal purtroppo poco conosciuto cortometraggio di Antonioni sul Mosè di Michelangelo) e soprattutto una concezione della settima arte vista come dotata di una sua specifica autonomia e di una sua bellezza capace di brillare di luce propria. Una visione che mi sento di condividere. Anche se alla fine preferisco il “Quarto Potere” di Orson Welles al “Top Gun” di Tom Cruise, piccolo emblema dell’egemonia neo-con e reaganiana degli anni ’80 e stilisticamente molto meno innovatore del film del 1941 con Joseph Cotten e Dorothy Comingore.

L’unico rilievo che forse si può fare su questo tema è legato alla citazione dal film “Schindler’s List” che il protagonista coglie immediatamente dalla frase di una signora, ma che in realtà scopre solo dopo essere anche una frase del Talmud. In realtà non si tratta di una parte del Talmud. Ma proprio di una frase del Talmud inserita, proprio in quanto tale, nel film del ’93. Insomma, Nobili avrebbe comunque dovuto sapere che quella frase era un volontario riferimento a quel testo sacro per la religione ebraica. Ma questi sono dettagli.

 

Tutte vicende di vita vissuta raccontate dall’autore mentre compie un viaggio tra Roma e Genova. Genova, una città che più delle volte ho definito “adatta a scoprire noi stessi” e che lo stesso Umbro, così scrive, utilizza per una “resa dei conti” con se stesso. Accantonando per un attimo lavoro, obblighi e principali disposti a chiamarti al centralino della Metro Spagna per farsi dire come si scrive la chiocciola con la tastiera del pc.

In questo piccolo libro c’è la vita. C’è anche la politica, ma a tratti appare quasi “subalterna” alla vita. Nel senso che l’attività più nobile per eccellenza viene relegata al rango passionale del vivere civile (da qui la considerazione sullo stomaco che andrebbe utilizzato di più in politica) che rientra pienamente nella categoria della vita quotidiana di tutti noi.

In pratica ciò che rende bella la politica. E al tempo stesso una cosa gioiosa come la vita. Dotata di alti e bassi, di cocenti delusioni. Ma al tempo stesso qualcosa che vale la pena intraprendere e a cui forse sotto sotto nemmeno si può rinunciare.