Elezioni e politiche di bilancio: la settimana scandinava

Tasse, leggi di bilancio e stime di crescita: dalla Svezia alla Finlandia, passando per la Danimarca, questioni economiche e politiche si intrecciano in questa coda d’estate.

Nel frattempo tra una decina di giorni la Norvegia andrà al voto: urne aperte il 9 settembre. Una settimana e mezza per capire quale sarà il partito più grande nel paese, quali saranno gli equilibri nel centrodestra, quale governo guiderà la nazione per i prossimi quattro anni. Le questioni in sospeso sono tante.

Gli ultimi giorni di campagna elettorale ad esempio potrebbero essere molto complicati per Erna Solberg, che guida il Partito della Destra e sarà probabilmente il prossimo primo ministro norvegese. Il vantaggio però continua a ridursi. Già nelle scorse settimane i sondaggi avevano mostrato una crescita dei laburisti e un calo dei conservatori. Ora arrivano altri dati a confermare la tendenza.

Il premier laburista Jens Stoltenberg

Geograficamente gli elettori si stanno collocando senza troppe sorprese. Ad esempio il nord resta roccaforte dei socialdemocratici. Più di qualche analista comincia così a pensare che alla fine i socialdemocratici risulteranno essere ancora una volta il primo partito norvegese. Ma questo non sarà basterà al premier Stoltenberg per ottenere uno storico terzo mandato consecutivo: i quattro partiti di centrodestra vogliono infatti un cambio di governo e, quale che sia la combinazione finale, saranno quasi certamente in grado di mettere sul tavolo un peso parlamentare maggiore.

È sempre il tema delle alleanze a dominare la scena. Molti esperti sostengono che per la Destra sarebbe meglio tenere in squadra il Partito del Progresso, anziché avere all’opposizione una forza numericamente pesante e piuttosto agguerrita. Il fatto è che in qualunque modo la si veda, la politica dura e pura del Partito del progresso può rappresentare un problema.

La leader del Partito del Progresso Siv Jensen ad esempio ha proposto nei giorni scorsi un inasprimento delle leggi sull’immigrazione. Jensen ha spiegato che si è trattato soprattutto di uno stimolo per la Destra. E la domanda è proprio questa: come si comporterà Erna Solberg qualora il Partito del Progresso dovesse entrare nel governo e chiedesse di passare dalle parole ai fatti? “Sono proposte come queste” dicono dal Partito Cristiano Popolare “a dimostrare perché noi e i Liberali non possiamo governare con il Partito del Progresso”.

Una situazione del genere potrebbe giovare proprio al Partito del Progresso (che dimostra di trovarsi a proprio agio sotto i riflettori) e potrebbe giovare pure al centrosinistra. Del resto queste incertezze pesano, come ha scritto l’Aftenposten. Quattro anni fa le frizioni tra i partiti di centrodestra contribuirono alla vittoria della coalizione rosso-verde. Stavolta l’esito non sarà lo stesso, ma un tot di voti stanno lo stesso migrando altrove, spaventati dai timori di un’alleanza di governo di centrodestra incartata nelle proprie differenze e incapace di dare risposte al paese.

In Svezia invece alle elezioni manca ancora un annetto, ma tutti i partiti si muovono già in prospettiva. La scorsa settimana il premier Reinfeldt ha messo sul tavolo la sua proposta di riduzione delle tasse per i lavoratori. Qualche giorno dopo è toccato ai socialdemocratici attualmente all’opposizione: l’obiettivo è lasciare qualche soldo in più anche nelle tasche dei pensionati.

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La politica fiscale è un argomento che il leader laburista Stefan Löfven tocca con cautela e determinazione. L’aveva già detto in primavera, l’ha ribadito in questi giorni di fine estate: non deve passare l’idea che il partito socialdemocratico sia il partito delle tasse.

I laburisti si stanno però muovendo anche in altre direzioni. La scorsa settimana i quotidiani avevano svelato le strategie del partito di Löfven: entrare a gamba tesa nel dibattito sulle aree rurali, per rubare elettori al Partito di Centro e colpire quello che è l’anello debole dell’alleanza di governo di centrodestra.

Stefan Löfven, leader del partito socialdemocratico svedese

Il rischio per i centristi è enorme e la leader Annie Lööf lo sa: per questo ha reagito con veemenza, accettando la sfida e invitando i socialdemocratici a un confronto aperto sui temi dello sviluppo delle aree rurali: “Siamo pronti a discutere con loro in ogni villaggio, in ogni centro industriale, a ogni incrocio” ha dichiarato Lööf.

Nel frattempo ci sono questioni più immediate da gestire. Il ministro delle Finanze Anders Borg ha presentato la scorsa settimana la sua bozza di bilancio statale: fondi per stimolare la crescita e l’occupazione, insieme a un’attenzione agli equilibri delle casse statali. Ma il piano non è piaciuto né all’opposizione né ai sindacati.

A Copenhagen invece è di scena il balletto dei numeri. Il governo danese sarebbe infatti pronto a sforbiciare ancora una volta le previsioni di crescita. È quanto ha scritto il quotidiano Børsen. A fine anno scorso era stato detto che il 2013 si sarebbe chiuso con una crescita dell’1,6 per cento. Poi quel valore era stato abbassato a 0,7 e poi a 0,5. Ora pare che la crescita si limiterà a un modesto 0,2 per cento. Una cattiva notizia che va in controtendenza con quel clima di cauto ottimismo che si respira in Danimarca: la fiducia dei consumatori danesi ad agosto ha infatti raggiunto i livelli più alti dal 2007.

Anche in Finlandia sono le questioni economiche a prendersi i titoli. Il premier Katainen ha annunciato che non ci saranno nuovi tagli alla spesa pubblica, ma che la crescita del debito è un fatto che preoccupa. Dal Partito di Centro e dai Veri Finlandesi all’opposizione arrivano comunque critiche: tasse troppo alte, politiche economiche troppo restrittive, i problemi della Finlandia negli ultimi anni si sono aggravati.

Intanto Timo Soini,  leader dei Veri Finlandesi, guarda già avanti: in una intervista al Turun Sanomat ha dichiarato che vuole portare il suo partito nel prossimo governo e una volta lì spingerà per non sostenere più i piani di salvataggio europei delle nazioni indebitate. Solite parole, solito programma.

Secondo Soini, le elezioni del 2015 determineranno una situazione complessa: tre dei quattro grandi partiti del paese – laburisti, Partito di Coalizione Nazionale, Partito di Centro e Veri Finlandesi – dovranno alla fine governare insieme. La domanda è: quale partito tra questi quattro resterà fuori? Nelle previsioni di Soini, quel partito non è il suo.