Aggiornamenti sulla situazione in Siria

Siria, la missione degli ispettori ONU si conclude domani mentre il fronte interventista si sfalda.

In queste ore, un premio Nobel della pace si trova di fronte a una scelta decisiva per gli equilibri geopolitici del Medio Oriente: intervenire nella guerra civile siriana o lasciare che il regime di Bashar al Assad continui a reprimere i ribelli?

I DUBBI DI OBAMA E I NUOVI “FALCHI” DEMOCRATICI

“Non abbiamo preso ancora alcuna decisione, ma quando e se la prenderemo, l’intervento in Siria sarà limitato, non vogliamo un lungo conflitto. Il regime di Assad riceverà un durissimo colpo”, ha annunciato ieri alla Pbs il presidente Barack Obama.

In effetti la cautela dell’inquilino della Casa Binaca è dovuta all’inconsistenza (non inesistenza, sia chiaro) delle prove sull’utilizzo di armi chimiche contro i civili siriani, che dovrebbero giustificare l’intervento internazionale in sede ONU.

L’importante rivista di politica estera Foreign Policy ha svelato che le prove in mano all’intelligence americana si basano su una conversazione intercettata di due funzionari siriani, nella quale parlano convulsamente dell’impiego di armi chimiche contro i civili. Ma Obama sa che – dopo le famose e false provette mostrate dall’ex segretario di Stato dell’era Bush Colin Powell – al Consiglio di Sicurezza ONU non basterà una comunicazione interna raccolta dai servizi segreti USA.

Dovrà comunque arrivare l’autorizzazione del Congresso, come ha precisato lo speaker della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Bohner. Mentre la leader della minoranza democratica Nancy Pelosi si è detta favorevole all’intervento in Siria, così come la consigliera alla sicurezza nazionale Susan Rice: insomma, contrariamente al 2003, i nuovi falchi nazionali non sono più gli elefantini rossi del GOP.

NON C’E’ UN FRONTE COMUNE EUROPEO

Ma la notizia del giorno è che la Camera dei Comuni britannica ha votato contro l’intervento in Siria (285 no, 272 si), grazie anche alle molte defezioni all’interno della maggioranza conservatrice e liberaldemocratica.

Era dal 1989 (operazione a Panama) che la camera bassa della Gran Bretagna non si opponeva a una missione congiunta con l’alleato USA. Ora il premier Cameron spera di poter avere la meglio in un’altra occasione. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno già annunciato l’intenzione d’intervenire anche senza l’ausilio dello storico alleato.

La Francia di François Hollande, che ha da poco incontrato il ministro degli Esteri Emma Bonino, si prepara a supportare l’intervento in Siria ad ogni costo.

In un primo momento, l’inquilino dell’Eliseo aveva affermato che un’eventuale risposta militare ad Assad avrebbe dovuto avere il mandato ONU. Ma – come riportato dal quotidiano Le Monde – l’escalation delle ultime ore ha convinto il socialista Hollande a seguire l’esempio del suo predecessore Sarkozy, uno dei primi sostenitori della No fly zone nei cieli libici.

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Angela Merkel e Vladimir Putin rimangono sulle stesse posizioni: no all’intervento. Guido Westerwelle, ministro degli Esteri tedesco, ha spiegato che la costituzione federale limita le partecipazioni del paese nelle missioni militari all’estero. Comunque sia, a Berlino, “non è stato chiesto d’intervenire”.

Mentre il vice ministro degli Esteri russo Gennady Gatilov ha ribadito che la il suo paese opporrà il veto alla probabile risoluzione ONU che autorizzerà un intervento internazionale contro l’alleato siriano, così come la Cina (entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, l’organismo vertice del Palazzo di Vetro). Nonostante l’opposizione sino-russa, continuano le riunioni tra i cinque membri permanenti ONU.

L’Italia, forte delle parole dei ministri Bonino e Mauro (“Parteciperemo soltanto se ci sarà un mandato ONU, ma non è scontato”), attende alla finestra le decisioni degli alleati atlantici. “Anche se sembra più lento, più duro e a volte sembra non riuscire, la tenuta della pressione diplomatica e della politica è l’unica soluzione perseguibile” ha spiegato il responsabile della Farnesina e attacca: “Una consultazione preventiva tra i membri dell’Ue sarebbe stata utile”.

 

TURCHIA E ISRAELE, L’OPPOSIZIONE MEDIORIENTALE AL REGIME DI DAMASCO

Colpire la Siria significherebbe destabilizzare un’area da sempre molto calda.

Gli interessi di Damasco sull’instabile Libano, le tensioni degli ultimi mesi alla frontiera turca tra Ankara e il regime di Assad e, in ultimo, l’alleanza sciita con l’Iran nucleare potrebbero innescare una guerra regionale che coinvolgerebbe inevitabilmente Israele. E il governo di Tel Aviv ha subito dispiegato le batterie missilistiche Iron Drome nella capitale amministrativa dello stato ebraico.

Il premier Benjamin Netanyahu ha avvisato Assad: “Non siamo coinvolti nella guerra civile in Siria, ma voglio ripetere che se qualcuno tenterà di danneggiare i cittadini di Israele l’esercito risponderà molto duramente”.

Intanto il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu ha avuto un colloquio con l’omologo britannico William Hague e il segretario di Stato USA John Kerry.

Davutoğlu non è convinto dell’opzione militare e ha invitato i due paesi ad “accrescere il dialogo con la fazione dei ribelli siriani”, ma non è facile, data la forte frammentazione. Proprio in questi minuti, il quotidiano turco in lingua inglese Hürriyet Daily News ha pubblicato la lista del presunto arsenale chimico in possesso del regime siriano.

In attesa della pubblicazione del rapporto degli ispettori ONU, in missione in Siria, Obama e l’Europa discutono sul da farsi. Riusciranno a non ripetere un altro Iraq?