La settimana scandinava tra sondaggi, riforme ed elezioni

Sondaggi, riforme ed elezioni: in Scandinavia la politica gira a pieno ritmo. In Svezia il premier Reinfeldt sta provando a risalire la china nei sondaggi, mentre in Norvegia ormai siamo a poche ore dal voto.

Danimarca e Finlandia invece discutono di bilanci, e Bruxelles chiede all’Islanda di prendere una decisione sui colloqui per l’adesione all’Unione europea.

In questi giorni il primo ministro svedese Reinfeldt s’è visto passare sulla scrivania l’ennesimo sondaggio negativo.

I suoi Moderati sono al 25,6 per cento. I laburisti lontanissimi al 34,4 per cento, i Verdi al 9,7 e il Partito della Sinistra al 6,9. Vale a dire: l’opposizione gode di buona salute e metterebbe insieme il 51 per cento dei voti. Maggioranza assoluta. Si votasse oggi, il centrodestra sarebbe pesantemente sconfitto. Sotto la soglia del 4 per cento finiscono i Cristiano Democratici, mentre il Partito di Centro si tiene appena a galla. L’Alleanza per la Svezia al governo dal 2006 raccoglierebbe il 39 per cento: dodici punti di ritardo.

Fredrik Reinfeldt, primo ministro della Svezia dal 2006

Serve una svolta, e per il governo questa svolta sta in un taglio delle tasse. Dopo la riduzione fiscale annunciata per i lavoratori, Reinfeldt ha presentato un piano per lasciare più denaro anche nelle tasche dei pensionati.

Manca un anno al voto, ma in Svezia è già un susseguirsi di promesse. I Moderati provano ad abbassare le tasse a tutti, i Liberali vogliono allungare il congedo di paternità, i laburisti vogliono facilitare il lavoro part-time per gli studenti.

In Norvegia invece ormai ci siamo: lunedì prossimo gli elettori sceglieranno una nuova maggioranza. Lo si dice da mesi e lo si ripete anche a poche ore dall’apertura delle urne: il grande favorito è il centrodestra, anche se gli ultimi sondaggi lasciano supporre che Destra e Partito del Progresso non saranno in grado di avere da soli la maggioranza.

Questo dà forza ai due partiti di centro oggi all’opposizione, i cristiano popolari e i liberali: i primi  sono pronti a far parte della squadra a patto che gli obiettivi economici siano messi nero su bianco; i secondi hanno cambiato rotta in questi giorni, aprendo alla possibilità di entrare in un governo di centrodestra anche senza la compagnia del Partito Popolare Cristiano – nei  mesi scorsi liberali e cristiano popolari avevano sempre vincolato la propria partecipazione al governo alla presenza dell’uno e dell’altro.

In Finlandia nel frattempo è arrivato il tanto atteso accordo sul mercato del lavoro: per i prossimi due anni i lavoratori troveranno qualche euro in più nelle buste paga. Il premier Katainen ha salutato l’accordo con soddisfazione, affermando che questo consentirà alla Finlandia di essere più competitiva e creare più posti di lavoro – anche se per molti economisti l’accordo appena licenziato non stimolerà la domanda interna.

Nel frattempo, il governo ha presentato il suo piano per la crescita, che prevede una ulteriore contrazione delle spese statali. “Riforme e cambiamenti possono essere dolorosi” ha dichiarato il premier Katainen, mentre accanto a lui il ministro delle Finanze Jutta Urpilainen spiegava come la priorità sia preservare lo stato sociale e creare nuovi posti di lavoro. A costi fatti, però, qualcosa nel welfare finlandese viene rimodellato: sono stati rivisti i congedi, ad esempio, e sono state ritoccate al ribasso le prestazioni per gli studenti. Il pacchetto arriverà in Parlamento in autunno.

Anche in Danimarca si discute di leggi di bilancio. E l’opposizione di centrodestra ha già detto con chi non intende dialogare. Con una lettera pubblicata sul Berlingske Tidende sul finire della scorsa settimana, Lars Løkke Rasmussen (leader dei Liberali), Kristian Thulesen Dahl (leader del Partito Popolare Danese), Anders Samuelsen (leader dell’Alleanza Liberale) e Lars Barfoed (leader dei Conservatori) chiudono le porte a una qualsiasi collaborazione con l’Alleanza Rosso-Verde, partito di sinistra che fornisce appoggio esterno al governo della laburista Helle Thorning-Schmidt.

Il parlamento danese

“La Danimarca ha bisogno di più posti di lavoro nel settore privato”, “più giovani nei corsi di formazione”, “la Danimarca ha una tassazione troppo elevata”, “la Danimarca è quasi in recessione”: questo il tono dell’intervento pubblicato dal Berlingske Tidende, un intervento che traccia una linea nettissima tra il centrodestra e l’Alleanza Rosso-Verde.

Va bene una collaborazione con il governo ma non si può scendere a patti con il partito guidato da Johanne Schmidt-Nielsen, dicono in coro Rasmussen, Thulesen Dahl, Samuelsen e Barfoed. “Ogni volta che l’Alleanza Rosso-Verde partecipa ai negoziati col governo” si legge in coda all’intervento sul Berlingske Tidende, “i costi per i danesi aumentano”.

Solo una decina di giorni fa, il Politiken aveva scritto che la maggioranza dei danesi vorrebbe che laburisti e conservatori lavorassero insieme per arrivare a un accordo condiviso sulla legge di bilancio.

L’Islanda invece è alle prese con il pressing di Bruxelles, che qualche giorno fa è tornato a chiedere all’isola di fare chiarezza sul destino dei colloqui per l’adesione all’Unione europea, ormai da mesi in stallo. La melina del governo di Reykjavík non piace alla Commissione. Intanto emerge che la maggior parte degli islandesi vorrebbe concludere i colloqui con Bruxelles: a pensarla così è il 53 per cento della popolazione. Se l’esecutivo dovesse dar retta a questi numeri, a quel punto la materia finirebbe quasi certamente sotto referendum.