Da Reykjavík a Helsinki: l’affascinante prospettiva di uno stato federale del Nord Europa

Helsinki

Sono nei primi posti in tutte le classifiche che contano: sicurezza sociale, ricchezza pro capite, vivacità dell’economia, investimenti nella ricerca. Eppure nell’immaginario comune se ne stanno relegati in un angolo. Parliamo di Svezia, Danimarca, Norvegia, Islanda e Finlandia, i paesi nell’estremo nord dell’Europa, ma spesso considerati già all’oltre. Sono nazioni ricche, produttive, vivaci, che complessivamente stanno affrontando bene la crisi mondiale. Ed è proprio la crisi a mostrare quanto questi paesi godano di poca attenzione (giornalistica, politica, economica) e di come ne pretendano di più. Ormai lo dicono chiaramente.

La prova ce la danno Danimarca e Svezia. Helle Thorning-Schmidt, neopremier danese, e Fredrik Reinfeldt, suo omologo svedese, si sono incontrati la settimana scorsa. In quell’occasione Thorning-Schmidt ha fatto una dichiarazione: “Questo è l’inizio di una cooperazione: ci incontreremo spesso e affronteremo insieme le grandi sfide in Europa, alle quali contribuiremo con delle soluzioni”.

Se prese singolarmente, le voci dei paesi scandinavi non fanno molto rumore: messe insieme magari sì. E in un mondo dove le sovrastrutture nazionali hanno sempre più potere,  riuscire a farsi sentire diventa fondamentale. A oggi, Svezia e Danimarca vogliono voce in capitolo soprattutto per impedire che un gruppo ristretto di paesi con l’euro prenda decisioni vitali per tutta l’Europa. “L’intera Unione Europea dovrebbe assumersi la responsabilità di trovare soluzioni alla crisi dell’euro, e dovrebbe avere la possibilità di partecipare alle decisioni che vengono prese”, dice Thorning-Schmidt. “Il sistema bancario non è legato solo alla zona euro, è qualcosa che interagisce con tutta l’Europa” dice Reinfeldt, ripetendo ciò che Anders Borg, ministro svedese delle Finanze, ripete come un mantra da tempo: l’ipotesi da scongiurare è che siano poche nazioni con l’euro in tasca a decidere per tutti. La sponda danese, in questa battaglia, per Stoccolma può diventare preziosa.

L’asse dunque non è politico. Reinfeldt guida un governo di centro-destra, Thorning-Schmidt uno di centro-sinistra. Sono gli interessi comuni a far incontrare Danimarca e Svezia: e spesso gli interessi sono più solidi delle idee.

Gli interessi, poi, non sono solo legati al futuro economico europeo. Proprio questo lascia supporre che Svezia e Danimarca abbiano davvero intenzione di cominciare a parlare con una sola voce. Se fanno sul serio lo capiremo presto: il prossimo gennaio,la Danimarcaassumerà la presidenza a rotazione dell’Ue. Thorning-Schmidt dice di voler rimettere al centro dell’agenda di Bruxelles temi come il clima e la politica energetica, ela Sveziala pensa allo stesso modo. “Vogliamo coniugare le questioni ambientali e la crescita in Europa” ha detto la premier danese, “ed è interessante vedere che ci sono molti punti su cui Danimarca e Svezia hanno soluzioni alle sfide che abbiamo di fronte. È una buona base per i due paesi per lavorare strettamente insieme in Europa”.

Staremo a vedere. Helle Thorning-Schmidt è appena arrivata ai vertici della politica danese e nell’immediato futuro avrà molto da fare entro i propri confini. Avrà bisogno di tempo (anni?) per consolidare la sua posizione. E di conseguenza l’ipotetico duetto Svezia-Danimarca a oggi può diventare un bell’esempio di cooperazione politica, ma con tutta probabilità non sposterà di una virgola gli equilibri europei.

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L’embrione di una collaborazione tra i due paesi riapre però scenari interessanti. Parliamo di un’unione tra i paesi scandinavi, uno stato federale che da Reykjavík arriva a Helsinki, passando per Oslo, Copenaghen e Stoccolma. Vale a dire Islanda, Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia (più i rispettivi territori autonomi). Che ne verrebbe fuori? Sono i numeri a dirlo: una federazione con quasi 25 milioni di abitanti che andrebbe a piazzarsi dritta dritta tra il dodicesimo e il decimo posto nella classifica delle economie più forti del pianeta. Entrerebbe quindi a far parte del G20 e diventerebbe un interlocutore con quale i grandi del mondo dovrebbero fare i conti. In pratica otterrebbe proprio quello che Thorning-Schmidt e Reinfeldt vogliono: abbastanza potere per difendere i propri interessi. Ciascun paese, poi, si ritroverebbe inserito in un sistema più grande, in grado di proteggere e sviluppare le peculiarità nazionali. I cinque stati hanno infatti tutti caratteristiche diverse: semplificando,la Norvegiaè ricchissima di materie prime,la Danimarcasi regge sulle pmi, l’Islanda è una potenza nel settore ittico,la Finlandiaè leader nell’industria del legno e della cellulosa,la Sveziaè paese di grandi industrie.

Un’idea del genere avrebbe anche qualche solida base da cui partire. Su tutti l’esperienza del Consiglio Nordico, dove già siedono Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda e Finlandia. In sostanza le cinque nazioni sono già abituate a parlarsi e a prendere decisioni comuni. E poi c’è la lingua, che eccezion fatta per Islanda e Finlandia è simile nella penisola scandinava. Ma ci sono pure i problemi. Si dovrebbe dar vita a un parlamento e ogni paese dovrebbe avere una quota precisa di seggi (così come funziona nel Consiglio Nordico). E poi si dovrebbe eleggere un leader almeno a livello rappresentativo. Se è vero che questa figura potrebbe ruotare, è altrettanto vero che – ad esempio – agli  svedesi potrebbe non piacere l’idea di essere rappresentati da un finlandese, e viceversa.

Ma che ne pensano i diretti interessati? Un sondaggio di qualche mese fa diceva che il 40% dei cittadini dei cinque paesi sarebbe bendisposto nei confronti di un’unione federale. Tanti, ma comunque non la maggioranza. I favorevoli pensano che un’alleanza del genere rafforzerebbe ogni singolo stato, dando più voce alle esigenze del Nord Europa. I contrari vogliono invece difendere l’autonomia nazionale. E se la crescita dei partiti nazionalisti di destra nel Nord Europa ha un senso, c’è da credere che per un’unione federale di Islanda, Svezia, Finlandia, Danimarca e Norvegia quantomeno si dovrà aspettare.