Unione Europea, la tassazione sui grandi businesses digitali

 

Nella riunione del G20, organizzata a metà ottobre 2020, i leader partecipanti hanno deliberato la proroga delle discussioni all’interno dell’OCSE – l’organizzazione che riunisce i Paesi più ricchi del mondo – per la definizione di un regime fiscale per i così detti digital giants – i grandi businesses digitali  – fino all’estate 2021.

 

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico è stata scelta, nel 2018, come forum per far concordare le principali economie mondiali su un approccio internazionale comune alla tassazione sul digitale. Quasi 140 Paesi, inclusi quelli dell’UE, gli Stati Uniti e la Cina, hanno trascorso gli ultimi anni a negoziare diverse proposte nel tentativo di evitare una frammentazione tra i diversi Stati. Sebbene fosse previsto un accordo entro la fine del 2020, diversi funzionari dell’OCSE coinvolti nelle negoziazioni hanno recentemente rilevato la necessità di posticipare almeno fino al giugno 2021 la definizione delle nuove regole, data la difficoltà nel conciliare i diversi interessi nazionali in un accordo politico.

 

Infatti, recenti dichiarazioni hanno confermato un clima di scontento generale specialmente tra i leader dei Paesi europei che, a seguito dei tanti rinvii dell’accordo all’interno dell’OCSE, hanno minacciato la via della soluzione nazionale autonoma. Ai margini dell’incontro del G20, il Ministro francese del Digitale – Cedric O – ha affermato che il Paese inizierà a riscuotere le tasse sulle grandi aziende digitali già entro la fine del 2020 – con un introito stimato intorno ai €500 milioni l’anno. Insieme alla Francia, anche Regno Unito, Italia, Austria, Repubblica Ceca e Spagna hanno già messo sul tavolo i loro piani per una tassazione nazionale, salvo posticipare la loro attuazione al momento in cui la negoziazione in corso per un regime internazionale comune dovesse fallire.

 

Di fatto, ciò per cui i Paesi dell’UE stanno spingendo è un accordo per definire le condizioni per tassare attori digitali del calibro di Amazon, Apple, Google, Facebook e Microsoft. Accordarsi su un comune sistema transnazionale potrebbe traslarsi in delle regole fiscali eque per il mondo digitale. Tale dibattito si è intensificato ulteriormente sulla scia della pandemia del COVID-19: sono in molti a sostenere che i giganti della tecnologia avrebbero tratto profitto dalla crisi economica in corso, pur continuando a essere tassati meno delle aziende tradizionali. Gli Stati Uniti, dal canto loro, si oppongono fermamente all’ipotesi di tassazione comune, ritenendola una “pratica discriminatoria ingiusta” (Robert Lighthizer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti). L’espressione “discriminatoria” non è affatto casuale nella dialettica americana sull’argomento: infatti la maggior parte di questi businesses ha sede proprio nel nuovo continente. Di conseguenza, l’amministrazione Trump ha cercato in tutti i modi di evitare una tassazione digitale unica, che andrebbe di fatto a nuocere gli interessi delle aziende americane. Invece, gli Stati Uniti sarebbero favorevoli ad un regime fiscale unico volontario, che al contrario è ritenuto da molti Stati inadeguato a realizzare un’era digitale equa.

 

 

Al fine di contrastare l’offensiva di Washington e rompere l’attuale stallo, l’alternativa per l’Europa è rappresentata dai Paesi africani: secondo esperti in materia, collaborare con questi ultimi significherebbe creare un fronte abbastanza solido da sbloccare la negoziazione. I Paesi africani – convinti che una tassa sui digital giants possa alimentare la ripresa dalla struggente crisi economica – sono infatti pronti a bypassare le prolungate negoziazioni all’interno dell’OCSE e ad agire unilateralmente, imponendo un proprio regime fiscale.

 

La Commissione Europea – incaricata dai Paesi UE di proporre un piano di tassazione europeo in caso di fallimento delle negoziazioni internazionali – è intervenuta per fermare la minacciata frammentazione, ritenendo valido il termine di metà 2021 per trovare un accordo. Tale termine, però, dovrà essere l’ultimo. Altrimenti l’UE porterà avanti i propri piani. Anche su quest’ultima opzione però, non vi è il sostegno da parte di tutti gli stati membri dell’UE: l’Irlanda e alcuni Paesi nordici hanno ostacolato il tentativo di creare una tassa a livello europeo che, secondo loro, avrebbe messo in svantaggio le loro economie basate sull’esportazione.

 

In termini pratici, l’introduzione di singole tassazioni nazionali darebbe inizio ad una guerra commerciale che porterebbe l’amministrazione statunitense a prendere contromisure (i.e. dazi sui prodotti in entrata dall’UE), creando una situazione ancora più critica data l’attuale condizione precaria dell’economia europea alle prese con la pandemia del COVID-19. Per tali motivi, nonostante siano sempre più desiderosi di procedere con le proprie tasse digitali nazionali, i Paesi dell’UE non possono permettersi il lusso di rischiare.

 

Per concludere, l’esito dei negoziati all’interno dell’OCSE dipenderà anche dalle elezioni presidenziali statunitensi del 3 Novembre 2020. Queste potrebbero determinare un netto cambiamento nell’approccio degli Stati Uniti alla questione nel caso in cui il democratico Joe Biden avesse la meglio sulla conferma del repubblicano Donald Trump.