La xenofobia al tempo della crisi

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Il “German Marshall Fund of the United States” promuove da quattro anni, anche grazie al sostegno di fondazioni nordamericane ed europee (tra cui l’italiana Compagnia di S. Paolo), il sondaggio d’opinione comparativo Transatlantic Trends on Immigration (TTI). Si tratta di uno dei pochi seri strumenti di indagine comparativa, in una materia, come quella dell’immigrazione, spesso consegnata a roboanti crociate giornalistiche − magari sull’onda di cruenti fatti di cronaca − più che a meditate analisi. Nell’edizione del 2011 l’indagine si è concentrata su Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna.

Agli intervistati è stato chiesto quale fosse la principale fonte di preoccupazione tra l’economia, la disoccupazione e la Primavera Araba; il dato che emerge è che l’acuirsi della crisi economico-finanziaria e l’emergenza Nord Africa non sembrano aver modificato l’atteggiamento verso l’immigrazione, rispetto a quanto emerso nelle tre edizioni precedenti del sondaggio. Continuano a prevalere, sia pure di poco (52% in Europa, con un picco del 68% nel Regno Unito, e 53% negli USA), coloro che vedono nell’immigrazione un problema anziché una risorsa – e che sovrastimano la presenza di immigrati nel loro paese − ma gli avvenimenti recenti non hanno alterato significativamente la percezione del problema. Piuttosto, i cittadini europei, scontenti di come i rispettivi governi nazionali gestiscono la materia, vorrebbero un ruolo più incisivo dell’UE nella gestione dei flussi migratori (ad esempio attraverso la definizione di quote di ingressi per ciascun paese). Dal sondaggio risulta poi come gli intervistati dimostrino un’apertura maggiore nei confronti degli immigrati con un alto livello di istruzione, anche se dovendo scegliere fra un immigrato altamente qualificato e un immigrato con bassa qualificazione ma con un’occupazione sicura la preferenza va a quest’ultimo.

Le conclusioni del TTI trovano riscontro anche nel caso italiano: si tratta di un esito tutt’altro che scontato, alla luce della politicizzazione esasperata che il tema immigrazione ha subito negli ultimi anni. Benché il questionario sia stato somministrato tra agosto e settembre − un periodo in cui alla fuga di massa dal Nord Africa veniva dato ampio risalto − dall’indagine è uscita confermata la tendenza a quel “declassamento” della questione immigrazione nella scala di priorità degli italiani che si era manifestata con nettezza già nelle due tornate precedenti del sondaggio. L’Italia figura anzi fra i paesi che mostrano più comprensione (è seconda, con il suo 68%, solo alla Spagna) verso chi lascia il proprio paese per sfuggire a condizioni economiche inumane.

Il ridimensionamento dell’allarme nei confronti dell’immigrazione è del resto attestato anche dall’ultima rilevazione (ottobre 2011) del sondaggio realizzato periodicamente dall’italiana SWG sui timori degli italiani. È plausibile che questo mutamento di prospettiva sia stato indotto innanzitutto dalla crisi economica, che ha conquistato e saldamente mantenuto il primo posto nella classifica delle emergenze. Gli italiani sono più preoccupati dal rialzo dei prezzi e dal rischio di perdere il lavoro che non dalla meno palpabile minaccia dell’orda di stranieri pronta a calare sulle nostre città. Lo stesso governo Berlusconi, del resto, negli ultimi mesi della sua attività ha ridimensionato la campagna allarmistica sugli immigrati, ben consapevole che altri pensieri turbavano l’opinione pubblica e che nel mutato contesto la caccia allo straniero cessava di essere elettoralmente redditizia.

Uno studioso del fenomeno immigrazione ha osservato: “L’estensione e la gravità del terremoto economico e finanziario hanno disinnescato, salvo poche e marginali eccezioni, ogni tentazione di imputare la crisi agli immigrati o di presentare la riduzione degli stock di immigrati come una ricetta di per sé efficace a contenere la crisi. Il fatto che la questione immigrazione, invece di arroventarsi, si raffreddi in una contingenza grave come quella che stiamo attraversando, dimostra come la crescita della xenofobia non sia un destino ineluttabile né un trend irreversibile”.

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Beninteso, i problemi non mancano: il TTI mostra infatti come l’Italia sia il paese dove l’infondata percezione che la presenza immigrata sia costituita soprattutto da irregolari è più diffusa (65% contro una media europea del 34%) e dove i cittadini appaiono più inclini a confondere l’immigrazione regolare con quella irregolare (30% contro una media europea del 18%) e ad ascrivere anche agli immigrati regolari l’incremento della criminalità, in entrambi i casi a dispetto delle statistiche (generosamente sciorinate dai media solo quando portano acqua al mulino dell’intolleranza).

In questo panorama ambivalente, c’è da chiedersi che effetto avrà, nel medio-lungo termine, la crisi economica; i dati diffusi dall’ISTAT sul mercato del lavoro italiano (relativi al terzo trimestre del 2011) non possono che suscitare una duplice preoccupazione: se nel 2008-2009 le turbolenze finanziarie internazionali hanno distrutto posti di lavoro occupati dagli italiani, ma non quelli occupati dagli stranieri, negli ultimi mesi gli autoctoni sembrano aver riconquistato qualche posizione (+ 39.000 unità), ma a spese dell’incremento occupazionale degli stranieri. È ancora presto, avverte Luca Ricolfi, per parlare di una vera e propria inversione di tendenza, ma il timore è che, per reagire alla crisi, gli italiani per un verso riducano il ricorso al lavoro straniero (ad esempio tagliando le ore di colf e badanti), per un altro verso facciano il possibile per lavorare di più, anche accettando occupazioni che negli ultimi anni sono state appannaggio degli stranieri.

Se la xenofobia non è un destino, non va dimenticato che la guerra fra poveri ne è uno dei carburanti più potenti; di questo, anche, occorrerebbe tener conto nel predisporre i pacchetti anti-crisi.

di Monica Quirico