Ma la colpa non è solo di Prandelli

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La precoce eliminazione della nazionale italiana dal Mondiale sorprende e sconcerta milioni di tifosi. Dopo la debacle del 2010 arriva, dunque, un’ulteriore disfatta per i colori azzurri. E, se vogliamo, questa pesa ancor più della precedente, vuoi per le maggiori aspettative createsi soprattutto dopo il buon esordio contro l’Inghilterra, vuoi perché, volenti o nolenti, il secondo posto dell’Europeo del 2012 aveva illuso un po’ tutti. Le cause della sconfitta sono molteplici: palese involuzione del gioco, alcuni uomini sopravvalutati (Balotelli non è l’unico), condizione fisica del tutto inadeguata ad un contesto internazionale, convocazioni del Ct Cesare Prandelli da rivedere. Da ultimo, una direttore di gara, il signor Marco Rodriguez, non all’altezza della partita (l’espulsione di Marchisio è esagerata).

Ma la vera motivazione va ricercata nelle parole del commissario tecnico durante la conferenza stampa immediatamente successiva alla finale. Tra una dimissione e l’altra, Prandelli ha spiegato come, nel corso della propria gestione, la Nazionale sia riuscita in qualche modo a “mascherare e camuffare i mali del calcio italiano”.

Già. Il primo malato è oggi la nostra Serie A: un campionato sempre più mediocre e squilibrato, con appeal pari a zero in Europa e dove la qualità del calcio tende sempre più a livellarsi verso il basso. Basti pensare a come la squadra che da tre anni domina in Italia, la Juventus, appena oltrepassa il confine di Chiasso si ridimensioni e soffra contro qualunque avversario, che si chiami Galatasaray, Benfica o Real Madrid. Per non parlare delle altre: le due milanesi (10 Coppe dei Campioni in totale), ad esempio, vivono uno dei momenti più neri della loro storia.

Tutto questo non può che riflettersi sulla nazionale: il blocco Juve, che aveva fatto le fortune degli azzurri sia nel 1982 sia nel 2006 è apparso mai come oggi inadeguato a questi livelli. Quello che più lascia perplessi, tuttavia, è che all’orizzonte non si vedono né rose né arcobaleni: il ritornello del “ripartire dai giovani” tiene fino a un certo punto perché se i giovani sono quelli che abbiamo visto in Brasile (eccezion fatta per Verratti) non si va da nessuna parte.

I nostri under 25 non sono all’altezza dei pari età stranieri perché militano in un campionato che non è assolutamente competitivo. I più bravi, infatti, se ne vanno: Immobile è solo l’ultimo di una lunga lista che ha visto emigrare nell’ordine Balotelli, Santon, Verratti e Sirigu.

Le dimissioni di Prandelli hanno inoltre sancito il fallimento di un progetto tecnico piuttosto innovativo: quello del tiki-taka all’italiana, ovvero il tentativo di assorbire l’inimitabile modello spagnolo adattandolo alle caratteristiche dei nostri giocatori. Sembrava un nuovo inizio, vista la grande cavalcata di Euro 2012 che ha portato l’Italia al secondo posto. Si è rivelato, invece, un fuoco di paglia: è lo stesso tiki-taka, infatti, ad essere entrato in crisi sia a livello di nazionali (Spagna) sia a livello di club (Barcellona e, in misura minore, Bayern Monaco, strapazzato in Champions dal Real di Ancelotti).

Ad oggi, francamente, non si vede una via d’uscita: il futuro Ct, di cui per ora si ignora l’identikit, avrà l’arduo compito di rimettere insieme i cocci dopo una spedizione sciagurata come Brasile 2014. Auguri.