Le dimissioni di Bossi. La fine di un’era?

umberto bossi

Umberto Bossi si è dimesso dalla segreteria della Lega Nord. Il Senatùr, il padre padrone di uno dei più antichi partiti della nostra Seconda Repubblica ha dovuto mestamente lasciare la scena, attraverso dimissioni irrevocabili, nel corso di un drammatico consiglio federale in via Bellerio.

Le dimissioni sono arrivate a seguito del cosiddetto “scandalo Lega” che riguarda il tesoriere del partito Francesco Belsito indagato da ben tre procure per riciclaggio e per appropriazione indebita.

Senz’altro si tratta di uno smottamento non da poco per la politica italiana. Sia per quanto riguarda il versante storico sia per quanto riguarda i futuri scenari.

Umberto Bossi è stato infatti il primo leader di partito ad identificarsi perfettamente con la sua creatura politica. Tanto che l’inserimento del suo nome nel simbolo elettorale del Carroccio (nel 2006 quando nel centrodestra si giocava alle tre punte) non sorprese i più.

La malattia del 2004 non aveva compromesso la leadership bossiana che si era limitata a rinunciare a ricoprire l’incarico di ministro delle riforme a favore dell’emergente Roberto Calderoli. Poi autore della Porcata. Ma senz’altro da tempo vi erano segnali di un calo di lucidità da parte di un leader che si era dimostrato da sempre lucido nel cogliere l’umore del popolo.

In questo senso l’elezione di Renzo Bossi al consiglio regionale della Lombardia nel 2010 per certi versi rappresenta l’inizio di una parabola discendente della Lega. O almeno di una certa idea di Lega.

Il familismo sfrontato che emerge in questa vicenda giudiziaria cozza coi cappi esposti da fieri parlamenti nordisti a Montecitorio e con slogan diventati ormai di dominio pubblico (“Roma ladrona”). Lontana l’epoca in cui la Lega Lombarda alle elezioni politiche del 1987 (non esisteva ancora la Lega Nord) sbraitava contro il centralismo dello stato ed eleggeva alla Camera l’architetto cattolico Giuseppe Leoni e al Senato l’Umberto nazionale (da qui il nome “Senatùr” anche se da tempo era un deputato). Per non parlare di quando nel 1983 corsero nella Lista per Trieste ancora galvanizzati dal pensiero e dall’azione politica di quell’autonomista valdostano che rispondeva al nome di Bruno Salvadori.

Come se un verginità tanto decantata fosse stata compromessa per sempre. Da qui il trapasso da un’era all’altra e l’epilogo della parabola bossiana.

Ma le prospettive? Già si parlava di un triumvirato che dovrebbe guidare il partito composto da Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti. Un tris tutto lombardo che tra l’altro avrebbe potuto creare qualche criticità per quanto riguarda il fronte venetista. Ecco infatti che si è deciso poi di optare per la Dal Lago da affiancare ai due ex ministri. Ex presidente della provincia di Vicenza ed ex capo del governo (sic) padano.

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E’ noto infatti che ultimamente la frattura tra gruppo lombardo e i nostalgici della storica Liga Veneta si è quanto mai acuita. Il caso Tosi ben lo testimonia. E a rasserenare il clima non è bastato il sostegno del leader Giancarlo Gobbo alle posizioni del Senatùr e la tattica ignava tenuta dal governatore Luca Zaia.

Nonostante questo fronte caldo non va sottovalutato un aspetto della questione: per quanto riguarda i suoi meccanismi di leadership la Lega Nord è un movimento politico a struttura complessa. Tanto che Bossi ricopriva il ruolo di segretario da anni ma non vanno sottovalutati il ruolo del coordinatore del partito (incarico ricoperto fino ad oggi da Roberto Maroni) e quello onorifico di presidente (Angelo Alessandri).

Questo per dire che non è escluso, e una certa parabola berlusconiana sembra far credere a questo scenario, che Bossi possa comunque atteggiarsi da padre padrone di via Bellerio pur non ricoprendo particolari incarichi politici.

Se così non fosse senz’altro assisteremmo alla fine politica di uno dei simboli della seconda repubblica. E al definitivo sgretolarsi della nota asse Berlusconi-Bossi.