Elezioni presidenziali in Islanda. Un voto scontato?

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Elezioni presidenziali in Islanda. Un voto scontato?

 

30 giugno 2012: gli islandesi andranno alle urne per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Sono elezioni che – tra le pieghe di un risultato all’apparenza scontato – nascondono motivi d’interesse: potrebbe essere stabilito un nuovo record, il momento dell’isola è assolutamente particolare, il personaggio principale ha segnato gli ultimi anni di politica islandese. E così, a due mesi e mezzo scarsi dal voto, in una campagna elettorale che non è decollata e che non è neppure detto che decolli, c’è più di un motivo per dare un’occhiata a cosa succede in un’isola distante da tutto.

Chi sono i candidati? Come capita spesso nella politica islandese, troviamo personaggi insospettabili, gente comune che ci prova. Tra coloro che hanno annunciato di voler correre si va ad esempio da un agente di polizia di Selfoss (Jón Lárusson) a un agricoltore attualmente in Norvegia (Hannes Bjarnason), da una giornalista (Þóra Arnórsdóttir, forse l’unico personaggio veramente noto) a un imprenditore di Reykjavík (Ástþór Magnússon, al terzo tentativo). Qualcun altro potrebbe inserirsi. Ma il rischio è che si tratti di semplici outsider visto che nella lista dei candidati c’è anche Ólafur Ragnar Grímsson, attuale presidente della Repubblica islandese, a caccia del quinto mandato consecutivo.

Classe 1943, Grímsson è presidente dal 1996. Dopo l’iniziale annuncio di non volersi ricandidare ha deciso di essere della partita. A giugno ci sarà. Studi di scienze politiche in Inghilterra e poi docente in Islanda, Grímsson ha fatto radio e tv, è entrato in Parlamento sul finire degli anni ’70, ha ricoperto l’incarico di ministro delle Finanze dal 1988 al 1991. Ma il suo nome è legato alla presidenza della Repubblica. E non può che essere così. Nel 1996 si candida e vince con il 41,4% dei voti. Nel 2000 non si fa avanti nessuno. Alle presidenziali del 2004 (segnate da una bassissima affluenza), sbaraglia la concorrenza. Nel 2008, di nuovo senza sfidanti, è automaticamente rieletto. Poi arriva la crisi economica. Il crollo bancario sembra decretare anche la sua fine: si ritrova attaccato da più parti, ma è tutta la politica dell’isola a essere travolta. Invece Grímsson resta in sella e sulla soglia dei sessantanove anni è pronto a farsi scegliere per l’ennesima volta.

In Islanda non ci sono leggi che fissano un limite ai mandati: e così andando a leggere la lista dei presidenti che ci sono stati in 68 anni di storia della Repubblica, si trovano appena cinque nomi. Sveinn Björnsson (dal 1944 al 1952), Ásgeir Ásgeirsson (dal 1952 al 1968), Kristján Eldjárn (dal 1968 al 1980), Vigdís Finnbogadóttir (dal 1980 al 1996) e appunto Ólafur Ragnar Grímsson. Se dovesse essere rieletto sarebbe un record, visto che supererebbe Ásgeirsson e Finnbogadóttir, entrambi in carica per quattro mandati.

Nella pratica più che nella teoria, il presidente della Repubblica islandese non ha molti compiti. Firma le leggi che gli arrivano dal Parlamento, tiene discorsi, rappresenta in sostanza il collante dell’unità nazionale. Una carica così piena d’onore che spesso vere e proprie competizioni elettorali non ce ne sono state: il presidente in carica che decideva di correre di nuovo era pressoché certo della rielezione. A sfidarlo solo qualche outsider di poco conto, o anche semplicemente nessuno. Come scrive il Reykjavík Grapevine, “la presidenza è stata sempre vista come una carica quasi regale, tanto che è considerato scortese correre contro un presidente che si ricandida”.

Forse, però, queste parole oggi hanno meno senso. Grímsson infatti non è stato un presidente come gli altri. Il ruolo lo ha ricoperto in un modo completamente nuovo. Ha impresso il suo marchio sui quattro mandati e più in generale ha cambiato il modo di guardare alla presidenza. È stato infatti il primo a ricorrere a un articolo costituzionale secondo il quale un presidente può decidere di non firmare una legge che esce dal parlamento, e indire un referendum popolare per sottoporre la norma al giudizio popolare. Una pratica, questa, sulla quale molti teorici politici si interrogano. Meno dubbi ce li hanno tanti deputati, che la considerano senza mezze misure un sgarbo al Parlamento. E Grímsson non ha mai avuto problemi a fare sgarbi al Parlamento. Nel 2004 non firma una legge sui mass media che alla fine verrà ritirata prima che venga indetto un referendum. Nel 2010 non firma una legge che autorizzava il rimborso attraverso fondi pubblici per i risparmiatori inglesi e olandesi coinvolti nel crack della banca online Icesave. In quel caso si va al referendum e la legge viene bocciata. A sorpresa, il presidente si comporta allo stesso modo anche dodici mesi dopo. A febbraio del 2011 il Parlamento licenzia di nuovo una legge sul crack della banca online Icesave: i deputati approvano il pagamento di circa quattro miliardi di euro come risarcimento per i risparmiatori stranieri. La musica è la stessa dell’anno prima. Andando contro le previsioni, Grímsson non firma e accoglie le richieste di un referendum popolare. Non un attacco al Parlamento, spiegherà, ma la consapevolezza di dover dare la possibilità agli islandesi di esprimersi su un tema che li tocca da vicino. Due mesi dopo i cittadini bocceranno l’accordo, ignorando gli appelli della premier Jóhanna Sigurdardóttir.

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Forse anche queste scelte hanno spinto molti cittadini a chiedere a Grímsson di ricandidarsi. All’inizio, infatti, il presidente sembrava non volerlo fare: nel suo discorso alla nazione per il nuovo anno aveva detto di non volersi ricandidare. Poi però ha cambiato idea. Una petizione online ha raccolto qualcosa come 30.000 firme (ricordiamoci che l’Islanda ha 320.000 abitanti): Grímsson si è fatto sedurre dall’ipotesi di restare seduto altri quattro anni su quella poltrona. Ha spiegato che occorre tenere saldo il timone di una nazione ancora in difficoltà, che c’è da difendere il ruolo del presidente della Repubblica, ha aggiunto che se le cose per l’isola dovessero aggiustarsi in fretta potrebbe chiudere la sua esperienza presidenziale anche prima del termine del mandato.

Vincerà? Probabile. È vero che il sostegno nei suoi confronti non è alto come un tempo ed è vero che molti elettori (soprattutto quelli di sinistra) lo hanno abbandonato; è inoltre vero che – come scrivono alcuni analisti politici – gli islandesi potrebbero essere stufi di lui. La giornalista Þóra Arnórsdóttir sembra avere un considerevole sostegno popolare alle spalle. Un recente sondaggio apparso recentemente su un quotidiano dava Grímsson al 27% ela Arnórsdóttiral 57%.

Ma Grímsson resta di diritto il favorito. Ha di sicuro cambiato il modo di guardare e di interpretare la carica di presidente e sarà interessante vedere cosa succederà quando deciderà davvero di farsi da parte o quando gli islandesi lo licenzieranno. La carica tornerà a essere semplicemente un posto d’onore? Molto potrebbe dipendere anche dalle maggioranze politiche che si formeranno di qui a poco. Il Partito dell’Indipendenza – che con tutta probabilità vincerà le elezioni del prossimo anno – potrebbe decidere di fare la guerra a Grímsson sulla base del principio che il presidente deve stare al suo posto. Da mesi, del resto, sull’isola si discute sui compiti che dovrebbero spettare e non spettare al presidente.

La prassi in Islanda vede la carica presidenziale come qualcosa al di sopra delle parti: chi ambisce a ricoprirla si lascia dietro il proprio passato politico per vestire gli abiti del difensore dell’unità nazionale. E basta. Le decisioni spettano ad altri. Molto a lungo è stato così, molto a lungo la presidenza è stata una sorta di poltrona d’onore sostanzialmente vuota. Tutto ciò fino al 1996. Poi è arrivato Ólafur Ragnar Grímsson