Sulla definizione di Leadership. Prima puntata: La Lega Nord

Sulla definizione di Leadership. Prima puntata: La Lega Nord

 

Iniziamo con questo pezzo una nuova rubrica di Analisi e Cultura Politica. L’ambizione di questo sito non è solo di parlare di sondaggi ma anche quella di diffondere cultura politica, di dibattere, di analizzare e comprendere meglio le dinamiche di ciò che è davvero importante per la nostra comunità. Il primo argomento di cui ci accingiamo a parlare è la definizione di leadership. Chi è il leader di un partito? Che caratteristiche ha? Dopo una doverosa introduzione inizieremo col caso Bossi-Lega Nord ma parleremo successivamente di tutti i partiti principali dedicando ad ognuno di essi una puntata.

Tempo fa mi capitò di ascoltare una conversazione a proposito della politica e di che cosa significasse essere un leader di partito. Il leader secondo la definizione che ascoltai, e che mi sembrò molto convincente, era colui che era in grado di dare tutte le risposte relativamente all’azione politica del partito di cui è leader. Una dote di comunicazione e di sintesi almeno nelle risposte alle domande provenienti sia dall’interno che dall’esterno. I personaggi di secondo piano parlano di solito di uno o due argomenti che conoscono meglio ma soprattutto di cui sanno di essere autorizzati a parlare.
Invero molti personaggi di secondo piano a volte straparlano di argomenti di cui non tanto hanno scarsa conoscenza in generale, ma piuttosto sui quali non sono perfettamente in sintonia con il proprio partito.
Questo comporta semplicemente che non solo molte volte queste dichiarazioni vengono poi smentite dai fatti, ovvero non hanno alcun seguito operativo, ma che poi chi le ha pronunciate o prima o dopo perde quota o posizioni all’interno del partito stesso.
Quindi a meno che non si è colui il quale ha elaborato la linea politica su un particolare argomento, e si è quindi leader almeno relativamente a quell’argomento, difficilmente si riesce a dare risposte.
In questo la definizione sta più nei fatti e nelle conseguenze successive che nelle cariche formali.
Molte volte un “responsabile nominale” di un determinato argomento non sa e non decide proprio nulla, ma a decidere è qualcun altro meno noto.
Di solito quelli che hanno una carica senza aver il completo controllo della materia prima o poi questa carica la perdono.
C’è una doverosa eccezione a questo e non è una eccezione piccola, ma ci torneremo in una delle prossime puntate.

Chiarito questo punto se il leader è uno che sa dare molte risposte come si spiegano le posizioni di personaggi come Bossi e Rutelli che sembrano essere stati ignari di come venissero spesi i soldi nel loro partito?
E’ ovvio che anche il più grande leader non può sapere proprio tutto quello che succede, ma su come vengono investite le risorse di un partito beh non può non saperlo.
Volendo comunque dare credito alla loro versione dei fatti però a questo punto del ragionamento è chiaro che la loro leadership è a dir poco monca.
Come si può pensare di essere leader se non si controllano le risorse?
A cosa serve la strategia se non sai come vengono utilizzate le risorse che tu hai procurato?
Nei paesi anglosassoni usano dire “you can’t manage what you don’t measure” non puoi gestire quello che non misuri (o che non sei capace di misurare).
A questo possiamo aggiungere lo slogan di un vecchio spot “la potenza è nulla senza il controllo” e otteniamo che avere misura di ciò che accade e controllo della evoluzione degli eventi sono elementi indispensabili. Indispensabili ma come vedremo non sufficienti.

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E se non sai nemmeno quanti soldi entrano ed escono relativamente al tuo partito vuol dire che non hai alcun controllo su ciò che conta di più.
Che importa progettare una favolosa e innovativa ricetta per una torta, e procurarsi tutti gli ingredienti e le risorse necessarie, se non si riesce poi a seguire tutte le fasi della preparazione?
Il fallimento, senza controllo delle varie fasi, è inevitabile e denota una carenza di leadership esiziale per qualsiasi tipo di struttura o organizzazione, figuriamoci per un partito politico che è una delle strutture più complesse che si possano immaginare.

Misura e controllo. Senza di questi non si gestisce nulla. Ma questa è la definizione anglosassone di “manager”.
In Italia nel linguaggio comune, anche a causa di una cattiva traduzione, il manager è visto come “colui che comanda”. In realtà il manager non è il capetto, il bullo, quello che ha il potere e ci fa quello che vuole, bensì colui che “gestisce”.
E’ fondamentalmente un gestore.
Quello che “comanda” nell’accezione nostra è il proprietario -che cmq non ha quasi mai i modi da padrone che tende ad abusare del proprio potere come sembra essere il cliché di come si immagina una persona di “potere”, che poi il desiderio recondito da parte dell’uomo ci sia, di avere un potere, uno qualunque, per poterne abusare, è evidente. Pare che sia un inevitabile effetto collaterale di progettazione ed evoluzione genetica dell’uomo, che secondo alcuni ha permesso probabilmente di arrivare dove siamo, nel bene e nel male, ma non è questo il punto al quale volevo arrivare-.

Tornando al discorso iniziale eravamo partiti con una definizione plausibile di leader come colui che sa dare le risposte e abbiamo poi capito che ne era solo una definizione parziale ed insufficiente, ma nemmeno se aggiungessimo alla capacità di dare le risposte, su ogni cosa di rilievo per il partito, il fatto che tenesse misura e controllo di tutto basterebbe, perché costui sarebbe un grande gestore (un manager se preferite) ma non sarebbe necessariamente un leader. O per lo meno non basterebbe questo per garantirgli la definizione di leader.

Che cosa manca allora a questa definizione? Oltre al fatto scontato che debba saper comunicare con coloro che vuole rappresentare e che debba catalizzare su di sé l’attenzione, anche mediatica, facendosi portatore e sintesi del messaggio comune verso coloro che non appartengono (non ancora almeno) al proprio gruppo serve qualcosa altro, qualcosa di imprescindibile e che differenzia un vero leader da un semplice comunicatore o da un gestore.

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La visione del futuro, la fantasia, l’illuminazione, l’idea.

Un grande gestore (manager) vede il presente e lo gestisce al meglio, ma non imprime una direzione, non ha una missione che gli permetta di portare un gruppo, un popolo, una nazione verso un nuovo punto di equilibrio.
Qualche esempio? Mario Monti oppure Carlo Azeglio Ciampi. Fare quadrare i conti non è una missione almeno quanto non lo è tenere pulita casa. E’ un dovere che solo decenni di dissennata gestione della cosa pubblica hanno fatto diventare una cosa straordinaria.

Un altro esempio, che potrebbe essere visto sia come gestore che come leader, è Romano Prodi. Un grandissimo gestore, malgrado la rissosa coalizione che lo sosteneva, ma con almeno una idea/visione che ha avuto per la nostra comunità nazionale (che poi è stato l’unico “piano” che ha coinvolto l’intera nazione negli ultimi 30 anni a parte il piano di Rinascita Democratica della P2) e cioè l’ingresso nell’Euro realizzato nel 1998. E’ stata l’ultima volta in cui l’Italia è sembrata unita (a parte i mondiali di calcio ovviamente) stretta in un obiettivo comune. Non commento nemmeno le sciocchezze che girano in rete e che danno la colpa all’Euro della crisi attuale, è una cosa che ci ha permesso di non esplodere completamente in una guerra civile e chi dice il contrario è come colui che biasima l’antibiotico per aver fatto ammalare il corpo… nei secoli bui pensavano che le malattie si potessero curare con salassi e sanguisughe, ora ci sono quelli che pensano che la colpa della crisi sia dell’Euro. Ogni epoca ha i suoi idioti, che talvolta occupano anche, temporaneamente, posti importanti.
Se considerassimo l’ingresso nell’Euro come un nuovo punto di equilibrio sociale e non solo un fatto di dinamiche monetarie allora potremmo dire che Prodi è stato un vero leader nazionale, un uomo di stato (non dimentichiamo che ha avuto l’onore di presiedere la Commissione Europea per più di 5 anni), altrimenti possiamo definirlo solo come un grande gestore. Punti di vista in questo caso che solo tra molti anni, forse decenni avremo compreso appieno.

Quindi ricapitolando condizione necessaria ma non sufficiente per esercitare una leadership è quella di saper gestire il presente (secondo la definizione data prima di capacità di misura e controllo dell’azione politica), ma poi bisogna anche avere una visione proiettata al futuro, imprimere una direzione, guidare il proprio popolo la propria comunità esattamente come Mosè, vero archetipo del leader a tutto tondo.

Finita la lunga ma necessaria spiegazione sul concetto di leader accantoniamo Rutelli, che arrivati a questo punto non può certamente essere definito leader, per passare finalmente al protagonista di questa puntata

Era Bossi un vero leader?
Beh la visione del futuro c’era anche se un po’ confusa: autonomia, federalismo, secessione, accompagnata da un fiuto politico eccezionale e da un controllo totale sul partito (almeno fino al 2004), quindi la risposta è certamente sì, e tuttavia c’era un problema dietro quella leadership.
Bossi non aveva sostenitori ma seguaci!
Dei veri e propri seguaci, il suo movimento era vittima del suo stesso carisma, come era avvenuto per Mussolini.
Questo ti dà anche più forza nella tua azione, ma ti fa anche prigioniero.
Un uomo di stato come lo è stato Cavour, o come lo è stato De Gasperi (o anche Prodi se ritenete l’ingresso nell’Euro un nuovo punto di equilibrio e di stato) non avevano seguaci ma estimatori e sostenitori. Era un sostegno ragionato e non emotivo, razionale e controllabile, senza effetti collaterali come le endorfine che danno euforia come le droghe ma a differenza di esse le produce il nostro stesso corpo e quindi non creano dipendenza.
L’essere seguace invece ti crea dipendenza e ti porta fino alla negazione della realtà più evidente (i seguaci li si immagina di solito associati a delle “sette”). Questo genere di dipendenza non porta mai niente di buono.

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Bossi aveva ed ha dei seguaci che lo seguirebbero fino alla morte ovunque.
Di certo fino al grave problema di salute lui è stato pienamente ed indiscutibilmente leader della Lega.
Poi cosa è successo? L’ictus che lo ha colpito nel 2004 ha spezzato questo incantesimo.
Semplicemente gli è rimasto il carisma e la presa sul suo popolo (i suoi seguaci), ma il controllo e la gestione del partito sono finite nelle mani del “Cerchio Magico” ed ecco che veniamo al dunque.
Come molti hanno notato dal 2004 in poi la lega non ha avuto più un leader e nemmeno un “manager”, ma semplicemente dei proprietari, e tra i proprietari quella le cui decisioni hanno inciso di più è stata probabilmente Manuela Marrone, la moglie di Bossi nonché madre del “Trota”, la cui missione, la cui visione, da quello che viene fuori dagli atti giudiziari resi noti in questi giorni, non era guidare un popolo ma semplicemente sistemare i propri figli…