High speed broadband: reward

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High speed broadband: reward

 

E’ un fatto consolidato che l’avvento di internet, il formidabile sviluppo delle comunicazioni, la crescita esponenziale dell’informatizzazione, le vette raggiunte dal software sono stati tutti elementi ciascuno dei quali determinante per un impetuoso sviluppo economico, produttivo e culturale.
La sinergia che essi hanno messo in campo è stato un ulteriore acceleratore che non ha affatto neppure rallentato la sua corsa rimanendo un formidabile incubatore di innovazione, nuove tecnologie, nuove professioni, diffusione della cultura, generatore di nuovi modelli di business in un inarrestabile turbinio.
In Italia sia BankItalia che ISTAT hanno redatto dei rapporti che raccontano la situazione italiana che non appare lusinghiera e soprattutto in funzione di un dato: la sempre più stretta correlazione tra il web, l’informatica, la comunicazione, le telefonia per esplicare appieno le loro grandi potenzialità, necessitano di banda larga. Serve il web ad altissima velocità. I limiti italiani, peraltro, risentono di altri punti di debolezza deducibili da rapporti Eurostat e confermati da una breve anlisi svolta dall’importante sito di recruiting on line Monster i quali rilevano da un lato la difficoltà delle imprese italiane a reperire sul mercato uomini dotati delle competenze adeguate e dall’altro segnalano la limitatezza del ricorso all’outsourcing utilizzato in larga misura solo dal grandi imprese e soprattutto banche ed istituzioni finanziarie.
Un altro grande cambiamento si profila, o meglio, per la velocizzazione dei processi, è già in corso: l’avvento del cloud computing. Il link a Wikipedia fornisce un primo approccio ma forse è utile provare a capire a cosa serve e quali difficoltà risolve il cloud computing. Supponiamo che un’impresa abia il suo centro di calcolo e la sua rete intranet fatti di server, terminali, cavi, accessi al web, software e quant’altro. Si tratta di una infrastruttura rigida. Intendo che la potenza di calcolo installata è fissa e non modificabile se non con ulteriori investimenti e relativi problemi di implementazione del nuovo hardware ai quali possono lavorare solo tecnici di alta specializzazione che, abbiamo prima sostenuto, non sono tanto facilmente reperibili. Un ulteriore passaggio è rappresentato che la potenza di calcolo da installare è commisurata alla potenza che serve nelle punte di attività. Si pensi al momento nel quale nell’impresa alla normale attività si aggiunge la necessità di calcolare le buste paga.
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Quella è la potenza che serve, la quale non viene pienamente utilizzata sempre. Le necessità di back up, di storage dei dati e della relativa sicurezza sono altretanti elementi critici. E’ intuibile che questo si ripercuote sui costi. Un ulteriore aspetto è la vorticosa velocità con cui l’innovazione dell’hardware e della potenza di calcolo procede in un processo che rende obsoleto l’hardware in tempi rapidissimi. Il software oggi largamente proprietario e costoso è soggetto al controllo quasi totale della software house con limiti di standardizzazione eccessiva che non consente le personalizzazioni necessarie o ritenute utili. Un ulteriore elemento è che l’utilizzo su larga scala dell’ICT accresce enormemente le necessità di contatti e dialogo di sistemi di imprese diverse, che devono avere la possibilità tecnica di dialogare tra di loto e questo è possibile a condizione di utilizzare delle interfacce di collegamento. Complicazioni e costi. Questo sintetico quadro, penso, aiuta a capire che la digitalizzazione e l’informatizzazione si stanno modificando nel rapporto costo/opportunità spostando l’equilibrio sul fattore costo.
Al quadro, va aggiunto un altro elemento: l’impresa è intrinsecamente dinamica ed orientata alla crescita, crescita che non può non riguardare anche il patrimonio informatico e digitale rispetto al quale pure va esercitata una funzine di previsione la quale oltre ad essere di per se stessa difficile, rischia di riportare la situazione a quanto prima detto ma ad un livello più elevato. Sottolineo che si parla di costi, efficienza e produttività. Ecco che alla rigidezza del sistema, al superamento dei colli di bottiglia prima esemplificati, pone rimedio il cloud computing. La nostra impresa non avrà bisogno di costosi e complicati sistemi di hardware e neppure di altrettanto costosi software. Si servirà dei server e del software che l’azienda di cloud computing mette a disposizione della nostra e di altre aziende, essendo in grado di fornire una vastissima gamma di servizi che la nostra impresa può utilizzare se e quando ne abbia bisogno.
Il modello organizzativo del cloud computing è quello dell’on demand vale a dire chiedo, utilizzo il servizio e pago solo il servizio che ho utilizzato e per il tempo durante il quale l’ho utilizzato. E’ lo stesso sistema che si trova sul web per i film o su Sky TV dove si veeonoi programmi a richiesta e si paga ciò che si vede. Vantaggi evidenti: non si immobilizzano capitali, non si corre il rischio di non avere potenza sufficiente, i costi diventano facilmente determinabili e flessibilità totale. In direzione del cloud computing si ì mossa pioniera anche in questo, Amazon, si stanno muovendo altri competitori tra cui Google ed è in dirittura d’arrivo il gigante >Microsoft con prodotti dedicati tra cui la piattaforma Microsoft Azure ed Office 2010 per iniziare. Questo taglia la testa al toro! Il futuro è cloud computing e d’altra parte, già nel 2007 l’istituto specializzato Gartner ha incluso il cloud computing tra le 10 tecnologie strategiche del futuro.
Ci sono alcuni “ma” tra i quali qualcuno, a torto, include la sicurezza dei dati oltre ad altri punti di debolezza. Il punto di debolezza vero, la strozzatura almeno per l’Italia è l’infrastruttura: l’utilizzo del cloud computing implica l’utilizzo del web e gli immensi volumi di dati richiedono altissima velocità, quella della fibra ottica non certo del doppino in rame. Adesso, rispetto a queste fantascientifiche ma concretissime tecnologie che utilizzano il web, pensiamo alle miseria dell’approccio italiano quello che demonizza i social network o quello vergognoso che, per favorire la TV tradizionale mette i bastoni tra le ruote al live streaming; pensiamo alla diffidenza che è emersa verso il popolo del web del No B Day guardato con sospetto per essere nato come iniziativa orizzontale. Pensiamo alle iniziative di controllo del web finora sventate. Pensiamo che come priorità si è scelto il vecchio del Ponte di Messina e non l’investimento nella rete. Pensiamo che questi spacciano il Ponte come volano di sviluppo privi di qualunque informazione di quali immense ed incomparabili possibilità di crescita il web e la digitalizzazione sono stati e saranno capaci. Bene! Qualcuno si aspetta qualcosa di diverso dalla prosecuzione del declino che l’allontanarsi da questa nuova ondata tecnologica comporterà?
di GOBETTIANO ed il suo nuovo sito