Mansioni inferiori nel pubblico impiego: quando sono legittime?

Mansioni inferiori nel pubblico impiego: quando l’assegnazione è legittima? Ecco qual è la risposta della legge sul punto.

Mansioni inferiori nel pubblico impiego quando sono legittime
Mansioni inferiori nel pubblico impiego: quando sono legittime?

Nel mondo del lavoro non sempre un lavoratore assunto, svolge poi effettivamente le mansioni per le quali ha ottenuto il posto in un’azienda. Ecco allora che rileva la problematica dell’assegnazione di mansioni inferiori nel pubblico impiego, le quali sebbene possano essere anche solo temporanee, esulano dal contenuto e dai compiti previsti nel contratto di lavoro ed anzi si aggiungono a questi ultimi. Vediamo più da vicino la questione.

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Mansioni inferiori: il contesto di riferimento

Preliminarmente, chiariamo che la legge non dà alla questione della legittimità delle mansioni inferiori (assegnate nel pubblico impiego), una risposta valida in tutti i casi. O meglio, non sempre tale assegnazione è di fatto illegittima. Infatti, sono determinanti le circostanze concrete e le mansioni effettivamente svolte, e sempre deve rilevare il bagaglio professionale del dipendente, il quale -possibilmente – va arricchito e non snaturato o in qualche modo danneggiato.

Insomma, la iniziale definizione delle mansioni è determinante e fondamentale in qualsiasi rapporto di lavoro, in quanto esse sono il contenuto della prestazione di lavoro che il dipendente si impegna contrattualmente a svolgere, a fronte del pagamento dello stipendio. In altre parole, il lavoratore subordinato ha tutto il diritto e l’interesse a sapere a priori quali saranno (e quali non saranno) i suoi compiti ed obiettivi in azienda. Le mansioni sono indicate in uno di questi tre documenti:

D’altronde, se è vero che l’assegnazione di mansioni inferiori è tale da poter produrre un pregiudizio alla professionalità del lavoratore, altrettanto vero è che l’azienda può avere, nel corso del tempo, esigenze differenti, con una contestuale possibilità che le mansioni possano – almeno in parte – essere modificate.

Mansioni inferiori: che cosa dice la legge?

Ebbene, in questo contesto assume rilevanza fondamentale l’art. 2103 del Codice Civile, dal titolo “Prestazione del lavoro“. Secondo questa disposizione, il dipendente deve svolgere le mansioni per le quali è stato assunto o quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia in seguito ottenuto oppure mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Come è evidente, esiste allora una possibilità di modifica unilaterale delle mansioni, da parte del datore di lavoro, detta “ius variandi”, applicabile però nelle condizioni definite da tale articolo.

La disciplina generale contenuta nel Codice Civile vale, tuttavia, soltanto se sono rispettati due specifici presupposti: 1) il demansionamento è legittimo se è in corso una variazione degli assetti organizzativi dell’azienda, che influisce sulla posizione del dipendente. Egli insomma, per continuare a lavorare nello stesso posto, ha bisogno di svolgere diverse mansioni; 2) al dipendente sono assegnate mansioni rientranti livello di inquadramento inferiore, ma comunque facenti parte della stessa medesima categoria legale.

Che succede nel pubblico impiego?

Quella vista finora è la disciplina generale civilistica sulle mansioni inferiori: nel contesto del lavoro del settore pubblico, rileva invece una normativa ad hoc, ovvero il d. lgs. n 165 del 2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche“). In base all’art. 52 di detto provvedimento, il lavoratore del settore pubblico deve essere adibito a compiti e mansioni per cui è stato assunto in PA o comunque a quelle ritenute equivalenti nell’ambito della classificazione professionale definita dai CCNL, o a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive.

Inoltre, per quanto attiene alle mansioni legate allo specifico profilo professionale, la PA può – a sua esclusiva discrezione – assegnare al dipendente un insieme di mansioni particolarmente idonee alle sue caratteristiche ed abilità. Al dipendente del settore pubblico non possono, in ogni caso, essere date mansioni inferiori oggettivamente e neanche se resti invariata la sua collocazione nell’amministrazione presso cui è impiegato.

In modo non dissimile da quanto visto sopra, tuttavia, la PA può in effetti servirsi dello “ius variandi” (adibendo il lavoratore a mansioni differenti), come facoltà attribuitagli nell’ambito della sua potestà di organizzazione, sempre rispettando due presupposti:

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Come può comportarsi il dipendente pubblico?

Pertanto costituiscono assegnazione di mansioni inferiori illegittime sia il caso dell’assegnazione a mansioni non equivalenti all’inquadramento contrattuale del lavoratore, sia il caso della sottrazione di quelli che erano compiti e funzioni svolte in precedenza, producendosi un danno alla professionalità del lavoratore.

Pertanto, in ipotesi di mansioni inferiori, il dipendente pubblico potrà rivolgersi al giudice, dopo aver tentato senza successo la conciliazione, al fine di richiedere la condanna nei confronti del datore di lavoro, così obbligato alla reintegrazione nelle mansioni svolte in origine e al risarcimento del danno patito. Secondo la giurisprudenza, tale danno assume tre diverse espressioni: danno alla professionalità, all’immagine e da perdita di chance.

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