La destra, la sinistra e l’inutile ricerca del “mito”

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La destra, la sinistra e l’inutile ricerca del “mito”

 

Mentre continua lo stallo sul tema riforme istituzionali e sulla legge elettorale (oggetto del colloquio Napolitano – Monti di sabato 12 maggio) la politica italiana si conferma come quanto mai attratta dai modelli provenienti dall’esterno. Come se la sua fisionomia non ancora del tutto definita, soprattutto a livello sistemico, necessiti di un esempio da seguire. Di una stella polare da osservare nel desiderio intrinseco di emularla.

E così la posizione del Partito Democratico e la sua linea politica sono stati molto influenzati dal turno elettorale di domenica 6 maggio. E non tanto per le presidenziali in Serbia, per le consultazioni nello Schleswig-Holstein o per il primo turno delle amministrative. Ma per la netta vittoria di Hollande in Francia e per lo stallo conseguente le elezioni legislative in Grecia.

Da una parte, un sistema di stampo semi-presidenziale, che nella sua formula legislativa adotta un sistema di tipo maggioritario ponderato dal famoso doppio turno e dalla soglia di sbarramento non “esclusiva” del 12.5%. Dall’altra, un sistema elettorale proporzionale che non solo ci mostra il quadro di un paese incapace di formare una qualsiasi maggioranza di governo. Ma anche capace di alimentare un movimento fortemente anti-sistema come Alba Dorata (il partito più di destra con rappresentanza parlamentare in Europa) e di ridiscutere accordi europei fondamentali per la tenuta stessa del paese.

E così l’intervista di Romano Prodi all’Espresso segnala a Bersani che la bozza Violante, più che l’originaria proposta del Nazareno, sulla legge elettorale è molto più simile al sistema elettorale ateniese che a quello parigino. E di conseguenza se si vuole utilizzare la Francia come modello occorre un cambio di passo.

Una presa di posizione, quella dell’ex premier, interessante (soprattutto per quanto riguarda lo sfacciato attacco al sistema elettorale tedesco) che però per certi versi trova d’accordo Bersani che seppur in maniera implicita segnala come la bozza Violante ora sia su un binario morto e lontana dalle vecchie aspirazioni dei democratici. Ma in effetti già da dopo il 6 maggio se ne parlava decisamente meno negli ambienti del centrosinistra.

In questa dinamica vi è un vecchio vizio della politica italiana: non tanto quella di tentare di esportare sistemi elettorali esterni all’interno del sistema stesso. Quanto quello di riconoscersi in un’esperienza politica tesa a dare un’identità a quelle forze politiche quanto mai sprovviste.

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Accadde anche nel 2004 con Zapatero. Un’esperienza politica non ricordata positivamente in Spagna anche se soprattutto a causa di criticità strutturali del sistema-paese. Ma una cosa analoga avvenne a destra anche nel 2007 con Sarkozy. E si è visto come è andato a finire.

In realtà il riconoscersi in questo modo in personalità politiche ed esperienze di questo tipo è quanto mai puerile se non ingenuo.

Perché si tende ad elogiare il personaggio, il leader. E come si sa “sic transit gloria mundi”. Mentre casomai la sinistra, più che elogiare il “socialismo dei cittadini” di Zapatero narrato in un libro-intervista di Aldo Garzia e Marco Calamai edito da Feltrinelli, avrebbe dovuto elogiare il sistema politico quasi perfettamente bipolare.

E lo stesso discorso a destra dove più che elogiare Sarkozy si sarebbe dovuto casomai elogiare il solido e celere sistema istituzionale transalpino. Per puntare poi anche in patria, volontà politica a parte, la carta del semipresidenzialismo.

Avere dei miti non è una colpa. E’ l’aspetto puerile della cosa che rischia di essere fatale.