Dossier: il caso Ruby

caso ruby 2012

I nodi costituzionali da sciogliere nel caso giudiziario (e politico) che scuote l’Italia

Da settimane si discute del caso Ruby (reati di concussione e sfruttamento della prostituzione minorile) e, in particolare, se su di esso sia competente il Tribunale di Milano o quello dei ministri. Posta così, la questione si presta ad una erronea interpretazione dei fatti, non di poco conto ai fini di una corretta e completa analisi del caso. Ebbene, cerchiamo di fare chiarezza e procediamo con ordine. Come è noto, Silvio Berlusconi è accusato di aver fatto sesso in cambio di denaro con la minorenne marocchina Karima El Mahroug, in arte Ruby – sfruttamento della prostituzione minorile – e di aver abusato dei suoi poteri di Presidente del Consiglio per “liberarla” dalla questura di Milano – concussione – dove era stata portata in seguito ad una accusa di furto. Per il reato di concussione il Premier rischia da 4 a 12 anni, mentre per quello di prostituzione minorile da 6 mesi a tre anni.

L’ipotesi di reato

Gli avvocati di Berlusconi e la maggioranza di centrodestra in Parlamento sostengono che il Tribunale di Milano non sia competente a giudicare il Cavaliere, in quanto il reato di concussione sarebbe stato commesso “nell’esercizio delle funzioni di Presidente del Consiglio”, e che l’inchiesta deve ripartire quasi da zero davanti al Tribunale dei ministri. La questione relativa alla definizione del reato di concussione, ovvero se esso sia stato commesso o meno nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce al Capo del Governo, è di estrema rilevanza: essa è dirimente perché se il reato fosse davvero espressione dello svolgimento dei poteri presidenziali, esso costituirebbe un reato ministeriale e, pertanto, la Camera dei deputati potrebbe negare a maggioranza assoluta dei suo membri (maggioranza qualificata di 316 voti), la c.d. autorizzazionea procedere, garantendo a Berlusconi l’immunità. Dunque, se per il reato di prostituzione minorile si può argomentare ben poco nel senso di un loro svolgimento nell’esercizio delle funzioni di Presidente del Consiglio, diversamente accade per il reato di concussione: Qui infatti il nodo da sciogliere riguarda il momento in cui Berlusconi ha telefonato in Questura, intercedendo in favore di Ruby affinché la ragazza fosse data in affidamento alla consigliera regionale Minetti piuttosto che ad un centro di accoglienza, come avviene nell’ordinarietà dei casi. Il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, sulla dibattuta questione dell’“esercizio delle proprie funzioni” da parte del Presidente del Consiglio nel momento in cui ha compiuto la telefonata in Questura, e sulla conseguente contestazione di competenza, sottolinea come Berlusconi non abbia alcun potere specifico diretto sulle forze di polizia e che, anche sulla base di una valutazione del contesto in cui il reato sarebbe stato commesso, se ne deduce che l’intervento del Cavaliere non ha comportato nessun “abuso di funzione”, ma solo un “abuso di qualità”: in altri termini, si conferma la tesi secondo cui non si tratta di una fattispecie di  reato ministeriale.

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Quanto ai c.d. reati ministeriali, ovvero reati comuni, più spesso relativi ad abusi del potere esecutivo nei confronti della pubblica amministrazione, la relativa disciplina è contenuta primariamente nel disposto dell’articolo96 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1: se in precedenza si prevedeva che, per i reati ministeriali, il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri potessero essere messi in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune e giudicati dalla Corte costituzionale in una speciale composizione, dalla riforma summenzionata lo stesso articolo prevede che “Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”. Inoltre, secondo l’articolo 9, comma 3 della legge costituzione richiamata, l’Assemblea (Camera o Senato) può, “a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. Dunque, sebbene si riconducano i membri del Governo alla giurisdizione ordinaria, la previsione che subordina ciò ad una necessaria ed insindacabile “autorizzazione a procedere” da parte della Camera di appartenenza dell’imputato, pare riconfermare quell’assetto tipico delle guarentigie del potere che, correttamente concepito nei tempi in cui si affermava lo Stato di diritto legislativo, oggi in parte stride col carattere democratico e costituzionale dell’ordinamento italiano, soprattutto se valutato in comparazione con la maggior parte dei contemporanei sistemi democratici.

La competenza funzionale

Ad ogni modo, in attuazione dell’articolo 96 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, lo stesso testo dà vita ad uno speciale organo, comunemente detto “Tribunale dei ministri”, competente per i reati ministeriali: si tratta di un collegio speciale del Tribunale ordinario, istituito presso il Tribunale del capoluogo distrettuale della Corte d’appello competente per territorio a giudicare dell’illecito contestato, e composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di Tribunale o una qualifica superiore. Si noti che, teoricamente, potrebbe anche essere sorteggiato il pm titolare dell’azione, ovvero, nel caso di specie, la tanto criticata pm Boccassini. Ciò che rileva al fine di chiarire la questione attorno al caso Ruby, così come posta dalla maggioranza di media ed esponenti politici, è anzitutto un equivoco concernente la denominazione di Tribunale dei ministri, che lascia supporre una sua funzione giudicante e che può essere risolto solo dando uno sguardo alle norme e alle procedure. Nel caso di reato ministeriale, infatti, i relativi documenti sono trasmessi al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto della Corte d’appello competente per territorio, il quale, senza compiere nessun tipo di indagine, deve entro quindici giorni trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri e darne immediata comunicazione ai soggetti interessati, affinché possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. A questo punto, ricevuti gli atti, il Tribunale dei ministri entro novanta giorni, compiute indagini preliminari e sentito il pm, può decidere l’archiviazione del caso – il decreto non è impugnabile ed il procuratore della Repubblica può solo chiedere al collegio di svolgere ulteriori indagini, precisandone i motivi – oppure la trasmissione degli atti, con una relazione motivata, al procuratore della Repubblica, affinché egli chieda l’autorizzazione a procedere ai sensi dell’articolo 5 della suddetta legge costituzionale 1/1989. Ottenuta eventualmente l’autorizzazione a procedere, il giudizio di primo grado spetta al Tribunale ordinario del capoluogo del distretto della Corte d’appello competente per territorio e, nel caso di specie, al Tribunale di Milano.

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Il Tribunale dei ministri è quindi un collegio avente esclusivamente funzione inquirente: istruisce il processo e non ha a che fare con i giudici né col giudizio. In tal senso, il richiamo operato da Berlusconi al suo “giudice naturale”, facendo riferimento al Tribunale dei ministri e a ciò che dice la Costituzione in proposito, conduce a considerazioni improprie: la formula “giudice naturale” fa infatti riferimento a uno dei principi basilari dello Stato di diritto, che la Costituzione cita nel primo comma dell’articolo 25 nel senso che “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. La ratio alla base della norma è quella dell’imparzialità del giudice e della sua scelta: in sostanza, si stabilisce che i giudici devono essere scelti in base a criteri oggettivi di modo che non siano soggetti a discrezionalità e sia garantito che nessun cittadino possa essere perseguito da un organo appositamente dedicato dopo la commissione di un determinato fatto. Questo perché la legge deve indicare chiaramente i criteri di principio in base ai quali si può predeterminare quale organo giudiziario è competente a valutare una certa questione: il giudice naturale precostituito per legge è, quindi, il giudice competente secondo i criteri stabiliti dalla legge, ed è uno solo. Nel caso che vede protagonista il Presidente del Consiglio, il “giudice naturale” di Berlusconi è quello competente per il supposto reato di concussione: il Tribunale di Milano. Non può dunque essere il Tribunale dei ministri, i cui competenti, che hanno svolto le indagini, non possono oltretutto partecipare alle ulteriori fasi del procedimento.

Ora, se accusa e difesa non sono concordi sulla competenza, a chi spetta stabilire la ministerialità di un presunto reato? Il giudizio sulla ministerialità del reato spetta ai pm, perché sono loro che hanno in mano le carte e decidono se procedere o trasmettere tutto al Tribunale dei ministri. Si noti che ciò non significa che il Parlamento non abbia voce in capitolo, e proprio a questo proposito l’ultima sentenza della Corte Costituzionale in materia (n. 241 del 2009) stabilisce che “all’organo parlamentare non può essere sottratta una propria, autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria, né tantomeno la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale”. Non irrilevante è stata quindi la scelta della Giunta per le autorizzazioni a procedere che, a fronte della richiesta di via libera per la perquisizione negli uffici di Giuseppe Spinelli, contabile di fiducia del Premier, con decisione adottata 11 voti contro 8, ha rinviato alla procura di Milano gli atti del caso Ruby, sostenendo che il reato di concussione contestato “sembra di natura ministeriale” e, di conseguenza, mettendo un’ulteriore ombra sulla competenza ad indagare del Tribunale di Milano, quasi “veicolandola” al Tribunale dei ministri.

Il rito immediato

Il passaggio successivo delle vicende analizzate poteva comportare, da parte della Procura di Milano, la trasmissione del fascicolo al Tribunale dei ministri, oppure la rivendicazione della competenza. Come è noto, la scelta è stata in questo secondo senso. Il comunicato dell’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Cristina Di Censo, ha dato infatti notizia del decreto con cui si dispone, ai sensi degli articoli 453 e seguenti del codice di procedura penale, il giudizio immediato a carico di Berlusconi, per i reati di cui agli articoli 317, 61 n. 2 cp. e 81 cpv., 600bis co.2 cp., davanti al Tribunale di Milano, sezione quarta penale, in composizione collegiale per l’udienza del 6 aprile 2011. Si noti che lo stesso articolo 453 c.p.p. pone delle condizioni inderogabili: il pm procede con la richiesta di rito immediato “se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l’osservanza delle forme indicate nell’articolo 375, comma 3, secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato addotto un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile”. È questo proprio il caso del Presidente del Consiglio che, invitato a comparire a gennaio, ha deciso di non farsi interrogare. Il combinato disposto degli articoli 453 e 454 c.p.p. impone poi che il rito immediato debba essere chiesto entro 90 giorni dall’iscrizione nel registro della persona indagata. Ancora, al secondo comma, l’articolo 453 c.p.p. stabilisce che “quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato risulta connesso con altri reati che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario”.

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Si salta così l’udienza preliminare e si va immediatamente al dibattimento: essenziale nella decisione di procedere con rito abbreviato è la sussistenza della c.d. “prova evidente”.Nella parte del provvedimento in cui si parla dell’evidenza delle prove, il gip Di Censo spiega che l’evidenza probatoria si riferisce non alla prova della responsabilità a carico di Berlusconi, ma alla prova della fondatezza delle accuse contestategli. In sostanza, il gip chiarisce che c’è una prova della fondatezza delle accuse tale da poter sostenere le stesse in un giudizio di fronte a un Tribunale, che dovrà poi decidere sulla responsabilità penale del Capo del Governo: nel suo provvedimento, di circa 30 pagine, il gip precisa di non riferirsi alla “prova della responsabilità”, ma alla “fondatezza” dell’accusa. Sempre in tale documento, il giudice, citando sentenze della Cassazione, precisa anche che la competenza sul reato di concussione, la contestazione principale mossa al Premier, essendo stata consumata nella qualità di Presidente del Consiglio e non con l’abuso della funzione di Presidente del Consiglio, non spetta al Tribunale dei Ministri, come invece lamentato dai difensori di Berlusconi. Di seguito, il gip precisa la possibilità di procedere con rito immediato anche per quanto concerne la prostituzione minorile in quanto, secondo giurisprudenza e prassi, il reato più grave (concussione) attrae quello meno grave (sfruttamento della prostituzione minorile). Posto che i due reati sono connessi dall’aggravante dell’aver commesso il primo per occultare il secondo e che il rito immediato non comporta limitazioni dei diritti di difesa dell’imputato, il “trascinamento” dell’uno all’altro comportante un dibattimento davanti ad un Tribunale collegiale – concussione – anziché monocratico – prostituzione minorile – può in definitiva apparire più garantista per l’imputato. Nel decreto del giudice si individuano anche le parti lese nella stessa Ruby e nel Ministero dell’Interno: Ruby è persona offesa nel procedimento in relazione al reato di prostituzione minorile – il periodo di riferimento è da febbraio a maggio dello scorso anno, quando la ragazza non aveva ancora 18 anni; il ministero dell’Interno, invece, è parte offesa in relazione al reato di concussione ipotizzato in relazione alla telefonata che il Presidente del Consiglio fece nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 in Questura a Milano per ottenere il “rilascio” di Ruby. Ci sono anche tre funzionari della Questura di Milano come parti lese nel processo: si tratta del capo di gabinetto Pietro Ostuni, e dei funzionari Giorgia Iafrate e Ivo Morelli, i quali, secondo l’accusa, avrebbero subito pressioni da Berlusconi nel contesto della telefonata agli uffici di via Fatebenefratelli.

I possibili risvolti

Ora si tratta di capire se e come sia possibile impedire che il processo per concussione e prostituzione minorile a carico del Presidente del Consiglio arrivi a sentenza davanti al collegio, composto da tre giudici, che lo ha convocato per la prima udienza il prossimo 6 aprile. Diverse opzioni sono state citate da politici e dai media negli ultimi giorni in un mix di strumenti processuali a disposizione della difesa, interventi presso la Corte Costituzionale e leggi ad hoc. Anzitutto, per ritardare il processo, gli avvocati di Berlusconi hanno al momento in mano la richiesta di legittimo impedimento. A tale riguardo è bene ricordare che, dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la norma che congelava i processi al Premier e ai ministri per almeno sei mesi, sta ai giudici decidere se accogliere o meno la richiesta della difesa di rinviare l’udienza a causa degli impegni istituzionali del Presidente del Consiglio. Secondo alcuni media, pare vi sia anche una strada parlamentare, ovvero la possibilità dell’introduzione di una norma sulla “parità delle parti, dell’ufficio del pm e del difensore nel procedimento penale”, che costringerebbe i giudici ad accettare le liste di testi della difesa – presentate anche solo per esigenze dilatorie – magari sotto forma di emendamento al disegno di legge sul processo breve: approvata un anno fa dal Senato con la fiducia e rimasta sotto traccia in Commissione Giustizia alla Camera, la riforma sul processo breve è già riemersa e potrebbe andare al voto entro marzo a Montecitorio. Si noti che, sebbene il disegno di legge preveda tempi certi per i processi, scaduti i quali gli imputati vengono prosciolti d’ufficio, e la norma transitoria fa sì che esso si estenda a molti processi in corso, fra cui tre che vedono protagonista Berlusconi – Mills e Mediaset in primo grado e Mediatrade in fase di udienza preliminare – il processo sul caso Ruby, almeno quello di primo grado, potrebbe andare a sentenza comunque entro i termini di legge.

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Ulteriore alternativa è quella che potrebbe vedere i legali di Berlusconi, nel corso della prima udienza del processo il prossimo 6 aprile, chiedere ai giudici di accertare la loro incompetenza, sollevando un c.d. conflitto di giurisdizione, ovvero un conflitto tra due giudici in merito a chi dei due abbia competenza a trattare la materia e, nel caso di specie, tra Tribunale di Milano e Tribunale dei Ministri. In questo caso, che sospende di fatto il processo, per risolvere il nodo della competenza funzionale, ovvero del se, nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby, il Premier abbia agito o meno abusando della sua funzione di Presidente del Consiglio, e se quindi competente sia il Tribunale dei Ministri ed la Camera che eventualmente “autorizza a procedere” per via ordinaria piuttosto che il Tribunale di Milano, la patata bollente passa alla Corte di Cassazione. Un eventuale ricorso sulla competenza funzionale alla Corte Costituzionale, infatti, cadrebbe nel vuoto, respinto al mittente e dichiarato “inammissibile”, senza entrare nel merito del giudizio: il nodo è nell’articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale,secondo cui il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale “se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionale. Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione”. A tale riguardo, il Tribunale dei ministri, seppure istituito con legge costituzionale nel 1989, è un organo giurisdizionale, esattamente come la procura di Milano: non si tratta quindi di diversi “poteri” dello Stato, ma dello stesso e, di conseguenza, non c’è conflitto.

Diversamente è però possibile la sollevazione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, attraverso cui, in sostanza, la Camera dei deputati chiede alla Consulta di riconoscere che spetta agli stessi deputati, e non alla magistratura, accertare se un reato abbia natura ministeriale o meno. Seppure la Consulta ha dichiarato ammissibile nel giugno 2010 un ricorso simile sollevato dalla Camera e relativo ad un processo contro il Ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, si noti che se un tale tipo di conflitto dovesse essere sollevato, ciò non sospenderà il procedimento in corso a carico di Berlusconi ed inoltre, tra ammissibilità e decisione nel merito, mediamenteè necessario più di un anno prima che la Consulta si esprima, considerazione che fa presumere l’impossibilità di una conclusione della vicenda prima della fine della legislatura.

Infine, qualunque sia la nostra opinione circa le contemporanee vicende processuali che investono il Presidente del Consiglio, una cosa è certa: il livello dello scontro istituzionale e della crisi politica non accenna a scendere ed il detrimento ai danni della democrazia costituzionale italiana si fa sempre più evidente.

 


Si tratta dei reati di concussione: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni” e di sfruttamento della prostituzione minorile: “chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a € 5.164”.