Quando negli anni ’90 una patatina incendiò gli intestini d’America

È dai tempi di Human centipede che non vedevo orifizi sottoposti a una tale potenza distruttiva. Un’azienda produce sbadatamente una sostanza dietetica, il resto è un film di supereroi che si scrive da solo.

Siamo alla fine del 2000, negli Stati uniti. Una 37enne sta guidando in autostrada con i suoi cinque bambini, quando la pancia le manda fitte agghiaccianti. Non ha nemmeno il tempo di accostare: l’intestino espelle sul sedile tra grida inorridite dei pargoli. Una 29enne, al lavoro, accusa crampi addominali altrettanto paurosi. Chiede di tornare a casa, ma nei due chilometri che percorre semina tracce. Un bambino di 4 anni mangia una patatina fritta, poi la sua parte inferiore esplode con la potenza di uno stratoreattore. La madre lo cambia, ma il bambino replica.

E ancora.
E ancora.

Una 43enne è sul salotto di casa, guarda la sua trasmissione preferita; l’ignominia è subitanea, non fa in tempo ad alzarsi. La distanza dolore-espulsione è immediata quanto grilletto e sparo. Gli ospedali di ogni città americana vengono presi d’assalto da gente squassata da flatulenze simili a colpi di cannoni che causano svenimenti, i bagni dei locali diventano incubi arancioni sanificabili solo da un bombardamento nucleare. Una ragazza di 23 anni, dopo aver mangiato delle patatine, nota chiazze arancioni sulle proprie mutande. Contatta l’azienda e quelli rispondono “tranquilla, è normale”.

Ognuno di questi aneddoti è vero.

Cosa sta succedendo?

Siamo nella patria del popolo che deve scrivere “non respirare sott’acqua” sui bordi delle piscine, dopotutto. Qual è la causa di questa anal insurrection? Quale complotto si cela, nelle pieghe della nazione in cui è necessario scrivere che le bevande calde sono calde, che gli arachidi contengono arachidi? Per scoprirlo bisogna tornare al 1968.

Un cartello che potrebbe leggere anche un cieco

In un’azienda alimentare, la Procter&Gamble, il reparto ricerca e sviluppo riceve un incarico ambizioso: fare in modo che i bambini denutriti assimilino i grassi più velocemente. Biologi e ricercatori vanno a tentativi e ottengono l’effetto opposto: creano un poliestere del saccarosio che il corpo umano non è in grado di assorbire, ma con lo stesso sapore del grasso.

Stanno per buttarlo via, quando ai dirigenti sovviene che se il corpo umano non lo può assorbire, allora può mangiarne quanto ne vuole senza ingrassare. In una nazione che consuma più molecole di grasso che ossigeno, è una miniera d’oro. La P&G la brevetta con il nome di Olestra e la sottopone all’approvazione della FDA.

Nessuno sa come o perché, ma non ottiene l’approvazione.

Alla Procter & Gamble però hanno investito milioni, e continuano a sottoporgliela invano. Arrivamo agli anni ’90. Mentre la più grande truffa piramidale della Storia moderna fa ballare miliardi di ragazzine adolescenti, gli adulti hanno scoperto il fitness. Nelle pellicole di Hollywood è un’esplosione di bicipiti e addominali, glutei di marmo e corpi oltre il perfetto. Le palestre spuntano ovunque, vengono venduti attrezzi per allenarsi a casa, elettrostimolatori, cyclette, tapis roulant.

La parola d’ordine è dimagrire a ogni costo

Ma negli USA c’è un nemico letale e diffuso, e lo si incontra a tavola. La cucina statunitense è forse la peggiore del mondo quanto a calorie e valori nutritivi; ogni cosa saporita contiene zuccheri aggiunti e grassi idrogenati, mentre ogni cosa sana è pressoché insapore. Quando nel 1996 la P&G ripropone per l’ennesima volta all’FDA l’Olestra, vincono. Hanno solo l’obbligo di aggiungere un’etichetta con le avvertenze: può causare crampi addominali, feci molli e incontinenza rettale. Olestra inibisce l’assorbimento di alcune vitamine e altri nutrimenti. Le vitamine A, D, E e K sono state aggiunte in modo artificiale.

Le aziende alimentari statunitensi adottano l’Olestra in blocco e creano le versioni light dei propri prodotti. Su ogni pacchetto appare la dicitura che ha chiesto l’FDA, ma se avessi bisogno di una metafora per definire una persona che viene ignorata, il primo esempio che mi viene in mente è la guida di Windows, il secondo sono le etichette alimentari delle patatine fritte.

In Europa viene fatta un’interrogazione parlamentare se importarla, ma noi rispondiamo a risate. Gli americani ne trangugiano a tonnellate a feste, ricevimenti, matrimoni, aperitivi, cene a buffet e altri posti dove i bagni a disposizione sono uno o due al massimo. Il dramma si compie. I fortunati che riescono a raggiungere il water raccontano di aver partorito un sinistro olio arancione; le flatulenze, un tempo amiche affidabili, ora diventano una roulette russa con cinque colpi nel tamburo che disegnano sui pavimenti l’equivalente della passerella di Christo.

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Da ogni parte d’America arrivano racconti che iniziano con attività comuni tipo shopping, allenamento, cene, aperitivi e finiscono in drammatiche ritirate e suicidi sociali. Alle aziende che hanno adottato l’Olestra arrivano quasi 20,000 reclami. La FDA è imbarazzata nello spiegare che quel piccolo effetto collaterale accade quando si supera la dose consigliata di Olestra, equivalente a otto patatine.

A quel punto il 30% degli umani manifestano sintomi che si possono definire “the colera experience” con il fast forward. Può essere un gioco divertente da fare con gli amici; ti siedi in salotto, ognuno mangia dieci patatine e poi si fanno scommesse. Appena tre si alzano pallidi e sudati, si mostrano le chiavi del bagno e si fa partire l’asta al rialzo per chi la otterrà.

La FDA decide che si tratta di isteria collettiva, e che basta rimuovere l’etichetta di avvertimento per far sparire le doglianze, ormai diventate una corrente letteraria. Nel 2003 scompare ogni tipo di avvertimento, ma non il prodotto che viene usato tutt’oggi nelle Pringles light e altri abominii, anche dopo che Time, nel 2010, l’ha collocata nella top 50 delle peggiori invenzioni assieme ai WC a pagamento, le email di spam, Farmville e l’autotune.

Ci hanno fatto anche una puntata dei Griffin.

La Procter & Gamble, confidando nel fatto che le persone tendono a non diffondere certi aneddoti sugli effetti collaterali, ha costruito un’intera fabbrica per produrre Olestra, e l’ha riciclata come lubrificante e/o ingrediente per vernici. Ma oggi, dopo numerose modifiche, sta tentando di tornare negli scaffali. Qui un curioso articolo de La Stampa racconta che secondo l’università di Cincinnati l’Olestra “rimuove le tossine”.