Serie A: i “vecchietti” issano una bandiera lacerata

Martedì, giorno di comunicati del giudice sportivo, giorno di chi tira le somme di una giornata di Serie A – la settima della stagione – volta al termine.

I riflettori sono già puntati alle nazionali: l’Under 21 di Di Biagio e la nazionale maggiore di Conte scendono in campo con nuovi volti e nuove idee.
Di nazionale, però, la Serie A sembra avere sempre meno.

Non è un caso, forse, che la capolista del momento sia guidata da un tecnico straniero. Quel Paulo Sousa che dal Portogallo ha portato grinta e qualità, in una squadra dove a mettere la firma sono giocatori d’oltralpe.
Il 3-0 casalingo sull’Atalanta porta le firme degli spagnoli Borja Valero e Joan Verdù, che insieme a Josip Ilicic hanno dipinto di viola il campionato.

Insieme a Ilicic, l’ondata slava porta gol e punti: Filip Djordjevic vale il 2-0 della Lazio sul Frosinone, raggiunto con una rete ed un assist, quest’ultimo per Balde Keita, che non ha rinunciato alla nazionale spagnola, pur potendo vestire l’azzurro o i colori del Senegal.
A qualche chilometro di distanza c’è invece Ivan Perisic, croato dell’Inter che con il colombiano Luis Muriel ha portato una X nel match in casa Samp.
E il solito Miralem Pjanic va a segno per la Roma.

E poi ancora giù con i gol dei sudamericani: Ryder Matos e Maxi Lopez in Carpi – Torino, Lucas Castro nel derby di Verona, Giancarlo Gonzalez, Allan, Paulo Dybala e Diego Perotti negli altri match.
Per continuare con Sami Khedira, Alvaro Morata, un doppio Gervinho ed Anthony Mounier.

Ma tra tutti questi colori, gli italiani che fine hanno fatto?
E’ la Serie A, nessun tricolore esulta più?

Ci sono. Sono pochi, ma ci sono.
La vecchia guardia è lì, alza la voce e tiene alta la bandiera: gli immortali Totò Di Natale e Alberto Gilardino vanno a segno ma non riescono a gridare vittoria, Big Mac Maccarone invece vale tre punti ed il prezzo del biglietto.
Tre vecchi baluardi, forse all’ultimo anno sui grandi campi della A.

Dall’altra parte ci sono giovani leve del nostro campionato: il sorprendente Alessandro Florenzi, l’ormai goleador Lorenzo Insigne e l’imprevedibile Eros Pisano.
Quattro gol in tre e speranze riaccese.

Numeri alla mano sono solo 6 giocatori, per un totale di 7 reti contro le 20 “straniere” registrate tra sabato e domenica.
Nemmeno la metà delle volte abbiamo esultato per finalizzazioni di italiani.

E’ un evoluzione? E’ il calcio globale che va in questa direzione?
Guardiamo in Europa.
Le inglesi arrancano in Champions e sfatano il mito del “campionato più bello del mondo”: nell’ultima giornata Arsenal e City schierano un solo inglese nell’undici titolare, 2 il Chelsea, 4 lo United. Nessun protagonista.
Nel PSG l’unico francese è Blaise Matuidi; il Monaco arriva a malapena a 2.
Le 5 squadre del record spagnolo fanno meglio: in Siviglia – Barcellona ce ne sono 9, il gol vittoria lo segna lo spagnolo Iborra; nel derby di Madrid giocano 7 “casalinghi”; per il Valencia l’unico gol è di Dani Parejo, un madrileno.

E indovinate un po’?
I campioni mondiali, i tedeschi, invertono la tendenza: Bayern – Dortmund la giocano 12 giocatori di casa, e i gol li fanno Muller e Gotze; il Leverkusen pareggia con un gol di Bellarabi, mentre Gerhardt e Zoller danno tre punti al Colonia; Volland e Verner segnano tre reti nel 2-2 tra Hoffenheim e Stoccarda, e Groß e Lex fanno la fortuna dell’Ingolstadt; Bell, Malli, Heller e Sailer e il conto sale a 15 reti, più della metà dei gol totali.

Notato qualche differenza?
E’ difficile fare previsioni per il prossimo Europeo, ma qualcuno sembra già essere pronto a mettere in campo tutte le sue forze, senza relegare i propri talenti a seconde linee e senza esaltare chi, in fin dei conti, non rende più del povero prodotto casereccio.

 

Luigi Forte