Bolivia, Evo Morales confermato presidente

Bolivia, Evo Morales confermato presidente

 

La presidenza di un paese ricco di risorse naturali rimane nelle mani del presidente indio e cocalero che ha riconosciuto i diritti degli idios, nazionalizzato il gas e sdoganato la cultura tradizionale, indossando il tipico maglione di lana d’alpaca negli incontri diplomatici

 

Non c’è stata partita per gli oppositori che hanno cercato di sbarrargli la strada nella riconferma a presidente della Bolivia. Evo Morales ha vinto con una percentuale superiore al 60% le elezioni presidenziali che si sono tenute il 6 dicembre. Indio Aymara, Morales ha battuto Reyes Villa, il candidato appoggiato dalla così detta “mezza luna” formata dalle regioni che hanno votato per l’autonomia dal governo centrale e Doria Medina un imprenditore di successo appoggiato anche del presidente del Senato.

Morales vince le elezioni del 6 dicembre confermando i pronostici della vigilia. Le elezioni erano state concordate con l’opposizione a seguito dell’approvazione della nuova Costituzione, promulgata nel gennaio 2009, che riconosce l’identità e la specificità delle comunità indigene presenti nel paese. Oltre ad essere state validate da tutti gli osservatori internazionali, le elezioni si sono svolte applicando un modello biometrico (foto e impronte digitali) per scongiurare qualsiasi tentativo di frode elettorale. Morales era talmente sicuro della vittoria che già prima del voto ha convocato il suo nuovo governo per il 12 dicembre, dichiarando che le priorità in agenda sono la riforma della giustizia e la legge per l’autonomia. Quest’ultimo è un tema molto delicato ed importante. Il 6 dicembre infatti, non solo si è votato per eleggere il presidente ed i 166 componenti dell’Assemblea Plurinazionale (il nuovo Parlamento voluto dalla Costituzione approvata lo scorso gennaio), ma gli oltre 5 milioni di cittadini sono stati chiamati a votare una serie di referendum per l’autonomia a vari livelli (dipartimentale, regionale e indigena nei comuni). Questo è uno degli aspetti più importanti della politica portata avanti da Morales e dal suo partito, il Mas (Movimento al Socialismo), che è stato capace di non lasciare in mano all’opposizione di destra il tema dei processi autonomisti (posti in chiave prevalentemente secessionista delle aree ricche del paese e contro il governo centrale) ma che ne ha allargato i principi anche in funzione degli aspetti di identità indigena.

È bene ricordare infatti che la Bolivia è un paese ricco di risorse minerarie (litio, rame, metalli preziosi) e di idrocarburi, soprattutto gas naturale. Nel 2005 il paese è stato attraversato da una forte crisi ed instabilità a seguito della così detta “guerra del gas”. Si viveva infatti il paradosso (caso molto comune in quell’area del mondo) che, pur in presenza di grandi risorse e ricchezze, la popolazione viveva molto male perché i proventi dell’estrazione dei minerali e del gas andavano prevalentemente a rinforzare le casse delle multinazionali straniere che lì operavano. Questo ha portato ad una lunga battaglia popolare che l’allora presidente Gonzalo Sanchez de Lozada ha cercato di reprimere brutalmente. Ci furono infatti oltre 60 morti ma la protesta fu talmente grande che il presidente dovette riparare in fretta e furia negli Stati Uniti, dove attualmente vive. A seguito di questo, il parlamento decise di approvare una legge sull’energia che aggiungeva, al canone esistente del 18%, una tassa sulla produzione del 32%. Ma la battaglia è andata avanti. È sull’onda di queste proteste (e prima ancora su quelle del movimento sindacale dei cocaleros, i campesinos quechua e aymara coltivatori di coca della regione del Chapare, nella Bolivia centro-orientale) che Morales diventa presidente della Bolivia, il primo presidente indio dopo oltre 500 anni dalla dominazione spagnola. Appena eletto, Morales ha emanato un decreto che imponeva la nazionalizzazione di tutte le riserve di gas naturale (la Bolivia possiede la seconda riserva più grande del Sud America dopo il Venezuela, 747,2 milioni di metri cubi). Fatto questo simbolicamente avvenuto il 1º maggio 2006 in occasione della festa dei lavoratori.

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I risultati elettorali parlano di un successo che, a partire dalla riconferma della fiducia nell’operato del governo e del presidente, premia un’avanzata del Mas ed un’affermazione dei suoi candidati nella gran parte dei collegi del paese. La vittoria è netta a Cochabamba (centro del paese), Oruro (ovest), Potosì (sudest) e c’è un’avanzata anche in regioni quali Beni, Pando, Santa Cruz, Tarija, le regioni della cosiddetta “mezza-luna”, protagoniste delle rivolte “autonomiste” dei mesi passati, organizzate dall’opposizione che qui mantiene una significativa presenza. Decisivo per la vittoria il voto della capitale La Paz (ovest) e a El Alto(ovest), città simbolo della lotta durante le tumultuose giornate della “guerra del gas”. Tra i fattori che hanno permesso al Mas di crescere nei consensi c’è anche l’impegno da parte della Cob (Central Obrera Boliviana – il sindacato dei lavoratori della Bolivia), che ha deciso di rinviare il suo congresso a dopo le elezioni per impegnarsi in prima linea nella campagna elettorale a favore di Morales, fermo restato il divieto per i suoi dirigenti di candidarsi alle elezioni.

«Voglio ringraziare il democratico processo decisionale, la Bolivia dimostra ancora una volta il proprio impegno a favore della democrazia e per una rivoluzione culturale al servizio del popolo», ha dichiarato Morales appena eletto dal palco del palazzo presidenziale, nella storica Piazza Murillo, straripante di sostenitori. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto il buon esito della politica economica di Morales, che ora deve tener fede alle promesse della campagna elettorale quali aiuti alla maternità, all’educazione, ai settori rurali; un computer per ognuno dei 135.000 maestri; la costruzione ed il lancio del satellite Tupak Katari; l’industrializzazione del litio che si trova nel “salar de Uyuni”; la creazione di un’assistenza sanitaria per tutti ed una specifica assistenza agricola per i contadini; la costruzione di strade e centrali idroelettriche. Misure queste rese possibili dal prevedibile aumento di risorse dovuto all’incremento del costo delle materie prime.

L’astensione è stata del 6% circa mentre le schede nulle e quelle bianche erano dell’ordine del 2%, su 5,1 milioni di cittadini iscritti alle liste elettorali: segno questo di una ritrovata partecipazione alla vita politica del paese, dopo il ritorno alla democrazia del 1985. Tutto questo fa sentire Morales forte della giustezza della sua politica, che vuole continuare a sviluppare. «Ora – ha dichiarato – abbiamo una enorme responsabilità: accelerare ed approfondire questo processo di cambiamento politico, culturale, economico che ha ottenuto un appoggio di più del 60%. E’ un progetto non solo di un partito, ma di tutto il popolo».

 

di FRANCESCO MARINGIÒ