La politica di Babele

La politica di Babele

 

Come e perché in Italia non abbiamo solo 60 milioni di ct della nazionale, ma anche 60 milioni di politologi e segretari di partito.

L’ego totalitario è un interessante volume di Anthony Greenwald, professore di psicologia alla University of Washington di Seattle. Come suggerisce il titolo il protagonista è l’ego, o meglio l’egocentralità: la tesi di Greenwald, che si innesta su solide basi filo/psico/sociologiche, è che il sé sia percepito come centrale nell’interpretazione degli eventi, più di quanto effettivamente non lo sia.

Il sé, sostiene Greenwald, è un costruttore di storie, in quanto svolge la funzione di osservare e registrare le esperienze personali, che danno vita a una personalissima visione non solo della nostra persona, ma anche del mondo che ci circonda. Visione che dunque per sua natura è viziata da bias, e che ce la fa rendere unica e soggettiva.

Naturalmente lo stesso personalissimo processo conoscitivo viene attuato nel nostro rapporto con la politica. Data la innumerevole molteplicità di touch point, ossia di canali, attraverso cui formiamo la nostra idea sulla politica, sui politici e sui partiti (dalle singole esperienze dirette, al mondo dei media, al confronto e al dibattito con i nostri pari), ne deriva che anche la nostra (di cittadini) costruzione della mappa politica è unica e soggettiva.

Dai dati Itanes sulle elezioni politiche 2008 abbiamo questa volta incrociato le autocollocazioni degli intervistati con le collocazioni che gli stessi intervistati hanno assegnato ai partiti politici. L’indagine prevedeva l’assegnazione di un valore compreso tra 1 e 10 in una scala dove ai due estremi si collocavano sinistra e destra, sia per sé stessi che per ogni partito politico. Da una valutazione quantitativa non è stato difficile passare a una qualitativa, assegnando i valori 1-2 per delimitare la sinistra, i valori 3-4 per delimitare il centrosinistra, 5-6 il centro, 7-8 il centrodestra e 9-10 la destra. Facendo per un momento due assunzioni: che il baricentro di una mappa politica di questo tipo si collochi al valore di 5,5 e dispieghi i suoi intervalli verso l’una e l’altra direzione in maniera lineare, e, naturalmente, che la dicotomia destra/sinistra non sia obsoleta. Si è deciso inoltre di trascurare una valutazione media generale, per meglio evidenziare le differenze tra le varie categorie considerate. Il risultato è la tavola seguente che ci permette di fare alcune considerazioni.

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Innanzitutto una piccola precisazione grafica: le icone accanto alla distribuzione delle percentuali indicano rispettivamente una distribuzione per incrocio inferiore al 25% (icona rossa), compresa tra il 25% e il 50% (icona gialla), uguale o superiore al 50% (icona verde). In questo caso la maggioranza del segmento di autocollocazione politica risulta concorde nell’individuare al partito una sua collocazione nella scala che parte da destra e termina con la sinistra.

Partendo da destra, il partito che alle politiche 2008 presentava come candidato premier Daniela Santanchè, La Destra per l’appunto, è riconosciuto come partito di destra dal 47,6% degli intervistati che si dichiarano di destra. Il risvolto di questo risultato è che il 52,4% di coloro che si autocollocano a destra non lo riconoscono espressione del loro stesso segmento politico. Percentuali simili per chi si autocolloca a centrodestra, e che salgono progressivamente spostandoci verso sinistra, ovvero l’estremo opposto: tra coloro che si collocano al centro lo collocherebbero a destra il 53,4%, il 72,6% invece di chi si colloca a centrosinistra, fino all’81,5% di chi si colloca a sinistra. Chi ha ragione? Chi si ritiene di sinistra e lo considera un partito “estremista” (essendo magari estremista egli stesso, collocandosi cioè nell’estremo opposto), o chi si ritiene di destra e poco vicino al “suo” essere di destra? La risposta, direbbe Greenwald, non c’è. Quello che però possiamo dire è che gli “estremisti” appena definiti tendono ad avere una visione più “estremista” anche della mappa politica e non solo delle persone, ragionando in maniera forse speculare.

Gli elettori di destra ritengono complessivamente più di “destra” addirittura la Lega Nord (il 48,7%), che anni fa Massimo D’Alema avrebbe definito “una costola della sinistra”, rispetto alla Destra. Tra gli elettori di centrodestra, invece, è il partito di Storace a essere considerato più radicale, sebbene quasi il 50% consideri la Lega appartenente al centrodestra. I due partiti risultano invece equivalenti nell’area complessivamente di centrodestra e destra per gli elettori di centro, centrosinistra e sinistra: di questi, tutti comunque considerano la Destra più “estremista” della Lega. Tuttavia, il partito di Bossi, rispetto alla Destra, si dimostra più camaleontico, riuscendo a far identificare un numero decisamente maggiore di intervistati con la propria parte politica. Per meglio dire: il 48,7% degli intervistati di destra considera la Lega un partito di destra (rispetto al 47,4% del partito di Storace), il 49,3% degli intervistati di centrodestra lo considera di centrodestra (rispetto al 27,7% per la Destra), il 21,4% degli intervistati di centro lo considera di centro (rispetto al 16,7%). Questo denota un bacino naturalmente maggiore (come poi confermato anche dai risultati elettorali), se assumiamo che un elettore tenderà a votare un partito che riconosce appartenente alla sua “parte” politica.

Ancor più camaleontico si dimostra il Pdl: oltre 6 elettori di destra su 10 lo collocano a destra, oltre 6 elettori di centrodestra lo collocano a centrodestra. La capacità di parlare in modo adeguato e rispondente alle aspettative di elettori di più parti politiche è un dovere per un partito che punti ad essere un polo all’interno della mappa, e a quanto pare la formazione nata dalle ceneri di Forza Italia e Alleanza Nazionale riesce a farlo con successo. Ragionando a specchio, il Pd si dimostra più debole, intercettando 4 elettori di sinistra su 10 (a considerarlo di sinistra) e meno di 6 di centrosinistra su 10 (a considerarlo di centrosinistra).Il Partito Democratico, in meri termini di autocollocazione, riesce invece a intercettare più elettori di centro rispetto al Popolo della Libertà (4 su 10, rispetto a 2 su 10). Ma deve scontare la concorrenza di Udc (che in questo segmento si dimostra molto più forte, quasi 8 elettori di centro su 10 riconoscono l’Udc al centro) e anche di Idv. Per il partito di Antonio Di Pietro si tratta infatti di oltre il 50% degli intervistati. Tuttavia, se l’Udc è considerato da tutti come saldamente collocato al centro (anche forse essendo di tutti il partito più da “prima repubblica”), l’Italia dei Valori si dimostra mutevole come il partito suo omologo a destra, e cioè la Lega. Se infatti questa riusciva a rendersi consonante agli elettori di destra e centrodestra, l’Idv si dimostra in grado di riuscirci (con numeri un po’ inferiori) oltre al centro anche a centrosinistra.

 

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Il Pd, insomma, nonostante i mugugni dei “suoi” centristi, nell’immaginario dell’elettorato è già ben piazzato al centro, dove come abbiamo detto c’è una grossa competizione, ma risulta scoperto a sinistra. Qui però Sinistra Arcobaleno, riconosciuta di sinistra dal 74% degli elettori di sinistra, nonostante la consonanza di posizionamento non riesce a dare risposte convincenti all’elettorato, visti i risultati delle ultime votazioni per le liste alla sinistra del contenitore guidato da Bersani.

Sulla base di questi dati possiamo dire dunque che esistono almeno cinque mappe politiche che collocano i partiti in maniera diversa, secondo l’orientamento politico dei singoli. L’incomunicabilità tra diverse parti politiche è allora più vera che presunta, ed è questo uno dei motivi per cui in Italia abbiamo non solo 60 milioni di commissari tecnici della nazionale, ma anche 60 milioni di politologi incompresi.