Monsieur le Président

Monsieur le Président

 

L’Italia, e gli italiani, ne hanno viste tante. Dittature, guerre mondiali, guerre civili, terremoti, alluvioni e riforme.

Da quando i nostri nonni hanno scelto il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica nel 1946, ed espulso i monarchi ed i loro eredi (salvo revocare questo atto qualche anno fa) il nostro Stato, pur acciaccato dalla crisi economica, è sempre rimasto saldo nella sua struttura formata dai costituenti.

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione; questo ci dice l’articolo 1 della Costituzione.

A parte il maiuscolo utilizzato per le parole Repubblica e Costituzione, teso ad informare tutti i cittadini delle successive generazioni che la forma repubblicana e la nostra carta fondamentale devono essere rispettate come valori fondanti del nostro vivere civile (tant’è che, a scanso di equivoci, i costituenti ribadiscono il concetto all’articolo 139: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale), il nostro ordinamento prevede che il popolo abbia la sovranità e la possa esercitare nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione. Questo è chiaro: solo nell’antica polis greca il popolo, e nemmeno tutto potendo votare solo i cittadini maschi che superavano la maggiore età, si recava nell’agorà e decideva direttamente le questioni essenziali dello Stato.

La sovranità quindi è demandata ai rappresentanti del popolo (anche se, da qualche anno questo non è più possibile) i quali siedono in Parlamento. Per questo motivo la nostra è una Repubblica Parlamentare dove il consesso popolare è messo al centro dell’agone politico; infatti il Governo, scelto dai cittadini, per poter operare deve avere “la fiducia” del Parlamento, senza la quale non può iniziare il suo mandato ed anzi, è costretto a dimettersi.

Da qualche anno siamo abituati a vedere la fiducia del Parlamento come qualcosa di scontato, ma nella I Repubblica non era così: le alleanze di governo non venivano fatte a monte prima delle elezioni, ma a valle all’interno del Parlamento, in modo tale da decidere solo successivamente la forma della coalizione che avrebbe guidato il Paese ed ottenere quindi la fiducia del Parlamento. Anche per questo motivo non era raro avere governi che duravano in carica qualche mese.

In questo frangente il ruolo del Presidente della Repubblica era, ed è tutt’ora, essenziale: l’articolo 87 della Costituzione prevede che: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”.

Un Capo dello Stato visto come arbitro e non come giocatore, che deve mettere l’unità del Paese al primo posto, senza farsi tentare da logiche di partito o di appartenenza ideologica, capace di essere una voce di equità e di forza anche nei periodi più bui del vivere democratico.

Il semi-presidenzialismo, invece, è tutto un altro genere di forma di Stato. Ha la sua maggiore e famosa espressione in Francia, anche se la Russia ed altri, pochi, Stati europei l’adottano (più che altro viene adottato in Stati asiatici od africani).

In questa forma repubblicana il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dai cittadini, con un voto distinto ed autonomo da quello per il Parlamento, nomina e revoca il Primo Ministro (il quale, insieme al governo, può essere sfiduciato dal Parlamento), può sciogliere le Camere e, ovviamente, non è sfiduciabile.

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Non è la prima volta che l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi propone un cambio costituzionale verso la forma di governo transalpina e molti capiranno il perché. Egli si è spesso lamentato dei pochi (?) poteri che ha la figura del Presidente del Consiglio in Italia; logico quindi che guardasse con molta attenzione alla figura di Sovrano Democratico presente in Francia.

Appare quanto mai strano che in questo periodo di crisi dove, secondo il Censis, 9 milioni di italiani non si curano più per cercare di arrivare a fine mese, con la scure della Spending review pronta ad abbattersi sui Comuni e sui servizi essenziali, i nostri politici parlino di questo tipo di riforme costituzionali. Molti si aspettano, sempre con meno fiducia, i tanto sbandierati tagli dei parlamentari, sia nel numero sia nel loro stipendio, che dovrebbero, per forza di cose, avvenire con una seria riforma costituzionale. Invece le uniche riforme che essi hanno in mente sono quelle di concentrare sempre più forza e poteri in un’unica figura, lasciando del tutto fuori l’idea dei costituenti di un Presidente della Repubblica arbitro per farlo diventare giocatore a tutto campo.

Il PD, come spesso ormai accade, sta alla finestra, teso a fiutare gli umori dell’elettorato: anche se, viste le ultime uscite del partito sulle nomine AGCOM e RAI che hanno fatto esclamare a Prodi “la spinta di questo partito al suicidio non ha limiti” (corriere.it), non sembra più in grado di capire le esigenze minime dei cittadini. Bersani ha infatti detto che entro tre settimane si può fare l’accordo sulla legge elettorale, ma con il doppio turno, senza liste bloccate né semipresidenzialismo (almeno non in questo scorcio di legislatura).

Stranamente, gli unici ad appoggiare senza riserve il progetto del PDL sono i transfughi di FLI i quali, tramite Bocchino, fanno sapere di apprezzare la proposta di Berlusconi ed Alfano. Il tutto, letto con le ultime dichiarazioni di pezzi importanti del partito azzurro, vedi Giorgia Meloni, fanno pensare ad un riavvicinamento tra ex AN ed il partito di Fini.

Intanto, oltre due mesi sono passati da quando i presidenti di Camera e Senato si sono impegnati per attuare una riforma seria sul finanziamento ai partiti (peraltro,almeno in teoria, abolito da un referendum parecchi anni fa). Ma di questa,essenziale, riforma nemmeno l’ombra.

Insomma, in questa Italia industrialmente ai margini del G8, con la classe media sempre più povera, con una disoccupazione giovanile che tocca punte del 50% al Sud Italia, i partiti pensano ancora a spartirsi le nomine nelle società statali e ad attuare una riforma costituzionale di governo verso il semi-presidenzialismo che il nostro Paese, a parere di chi scrive, non può permettersi. Non possiamo togliere i pesi ed i contrappesi previsti dalla Costituzione soprattutto visto che gli Italiani hanno sempre maggiore fiducia nelle Istituzioni così come sono state plasmate dai costituenti, mentre la fiducia nei i partiti è ferma al 4%

Se i partiti continueranno con questa voglia di sopravvivere ad ogni costo ignorando le necessità essenziali del Paese a noi italiani non resterà che esclamare “Vive le Président!”

O no?