Bersani si allea con Casini e frena la corsa di Renzi

Prima della direzione nazionale datata 8 giugno Pierluigi Bersani rispondeva spesso sferzante ai giornalisti, ogni qualvolta veniva balenata una domanda sulla coalizione da presentare nel 2013. Vuoi perché quel giorno si fosse assistito ad un ultimatum di Nichi Vendola e Di Pietro oppure a un tentativo di incalzo da qualche corrente interna al Partito Democratico il quesito saltava fuori e il segretario nazionale lo lasciava depositare al suolo allontanandolo con una battuta: “Ragassi, mica mangiano gli italiani con le coalizioni. Parliamo dei problemi economici, piuttosto”.

Infastidito forse. Da escludere però, alla luce dei riposizionamenti politici delle ultime ore, che l’argomento per lui fosse fumo negli occhi, da scacciare con la forza di una ricetta economica per uscire dalla recessione. Il gioco di sponda con Casini, si è condensato bene nell’intervista di stamane sul Corriera della Sera col segretario Udc pronto a riproporre lo spirito di un governo a coalizione ampia, senza il Pdl, con un’alleanza fra i più tradizionali rappresentanti del PPE nel nostro paese e quelli del PSE. Bersani si è limitato a rilanciare nel contesto odierno. Ma è stato il leader del Pd nella direzione di due settimane fa a fertilizzare il terreno parlando di primarie aperte e di un patto fra progressisti e moderati.

 Il resto si può dire che l’abbia fatto Berlusconi, autoescludendo il Pdl da una definizione comunemente accettata di moderati grazie alla campagna “ritorniamo alla lira” ben poco da PPE e molto da Nigel Farage, l’antieuropeista più famoso che siede al Parlamento di Strasburgo. Qualora lo avessero dimenticato gli italiani Berlusconi ha fatto capire una volta ancora che non si muove in un solco gollista di ressemblement delle anime centriste e di destra, bensì la sua parabola avrà come sbocco lo sparpagliamento. Casini non si è fatto pregare e ha cominciato a costruire ponti verso i democrat. E verso quel segretario all’apparenza poco propenso a concedere alla politica e alla sua immagine pubblica spazio a ragionamenti su formule e alleanze di governo.

Bersani in questo modo ha creato quasi un’illusione ottica. Quella di un Pd che come prima cosa discute dei programmi e soltanto alla fine dirime i dubbi sull’opportunità di un sodalizio con Sel piuttosto che con i centristi. Si muove fra una trama con Di Pietro e Vendola, un’altra con Casini senza escludere di allargare il fronte almeno ai fini delle primarie alla Federazione della Sinistra.

È la costruzione di una sinistra ad occhio nudo troppo eterogenea e contraddittoria. Sulla carta più instabile dell’Unione prodiana, anche questo è nitido. Ma conta soltanto questo alle porte di una campagna elettorale per le primarie? Probabilmente no. Il segretario Pd sa di avere di fronte due avversari piuttosto ostici da affrontare, perché carismatici e portatori – per ora – di un credibile messaggio di rinnovamento: alla sua sinistra, Nichi Vendola; alla sua destra Matteo Renzi.

 

E, mentre il primo è battibile facendo appello ad un potenziale di mobilitazione maggiore del Partito Democratico, il sindaco rottamatore può essere sconfitto imbrigliando la sua corsa con regole efficaci. Con un solo limite: Bersani non può permettersi col clima di antipolitica montante di riservare la selezione del vincitore ai soli iscritti ai partiti, ovvero ai signori delle tessere. Invece, ha un ampio margine di manovra in quello che sta facendo bene – tanto più che comunicativamente fa passare il messaggio sottotraccia –, vale a dire la costruzione del perimetro dei progressisti per il 2013.

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Ha il vantaggio per ora di poter decidere per il momento indisturbato su questo crinale. Renzi e i rottamatori preferiscono nicchiare e nelle dichiarazioni ufficiali sembrano gradire un po’ di tutto: dalle primarie di partito a quelle di coalizione. Giocando interamente di rimessa rispetto alle proposte del segretario. Non necessariamente questo è un bene. Ci sarebbe da chiedersi se Renzi possa davvero permettersi il lusso di fare il vero disinteressato sulle formule politiche del centrosinistra. Le primarie di partito e di coalizione prospettano anzitutto minori o maggiori possibilità di vittoria, specialmente se unite alla possibilità di un doppio turno – almeno su questo issue Renzi si è espresso chiaramente, votando per il turno unico.

Ma a campeggiare è un’altra preoccupazione: in caso di vittoria Renzi potrebbe davvero pensare di guidare la foto di Vasto allargata a Casini in nome del liberismo di sinistra? È possibile supporre che il suo successo vedrebbe gli altri soci della coalizione defilarsi un minuto dopo? Sono dubbi ben radicati nelle menti degli osservatori, che se sollevati a dovere nella campagna delle primarie potrebbero spingere gli elettori a credere nell’inevitabilità di Bersani quale candidato premier unificatore del centrosinistra in Italia.