Mario Monti e la concessione di Angela Merkel

Mario Monti e la concessione di Angela Merkel 

 

Finché vivrò non permetterò l’introduzione degli eurobond”. Angela Merkel quando si trova al raduno della sua Cdu-Csu o del suo alleato storico, i Liberali di Westerweller tende a galvanizzare i suoi con frasi molto impegnative sul mantenimento della rotta del rigore. Anche se questo significa – è successo non troppi giorni fa – tirare le orecchie alla Francia, che da ex partner privilegiato è passato con Hollande a paese rivale.

Scagliarsi contro la proposta chiave della campagna elettorale delle presidenziali francesi facendone addirittura una questione di vita e di morte è quanto in apparenza servirebbe per esacerbare le distanze fra la Germania e il resto d’Europa.

Una riproduzione, tra le altre cose, di due velocità di sviluppo, di gestione del debito pubblico e di politiche monetarie. In realtà ci sarebbe quasi da invocare un modello sociale comune all’Europa, se questa formula non fosse troppo vaga per l’estrema distinzione dei Welfare State di ciascun stato membro, contrastato da Berlino. Mentre nel resto dell’Unione si perdeva competitività e si preparava il terreno ad una stagnazione endemica, prodromica ad una decrescita latouchiana, il made in Germany conosceva la più formidabile fase di ristrutturazione della sua economia attorno a riforme del lavoro e una pace sociale impensabile in Italia appena si propone l’introduzione di una maggiore flessibilità nelle relazioni industriali.

L’eccezione tedesca rispetto al resto dell’Europa ha avuto un’insospettabile levatrice. Non si tratta di Angela Merkel, bensì dell’ex cancelliere tedesco dell’Spd Gerard Schroeder. L’attuale capo del governo, pur essendo della Cdu difende questa eredità politica socialdemocratica aggiungendovi la responsabilità fiscale per tutelare gli interessi economici e pure gli sforzi fatti dai tedeschi negli anni zero.

Pressoché contrapposto è il segno politico di sinistra che intende imprimere Hollande all’Europa, avendo come base di partenza proprio la Francia. Ancor prima di mettere in atto la sua vertiginosa giustizia redistributiva con l’imposta del 75% per i redditi sopra il milione di euro ieri ha varato un aumento del 2% del reddito minimo garantito. Venticinque euro lordi in più in busta paga. Per gli assunti col contratto di 35 euro il reddito arriverà fino a 1.450 euro circa.

Mettendo a confronto queste politiche e il retroterra culturale che le premettono unite agli interessi in perenne conflitto sugli eurobond lo scontro intercomunitario sarebbe una conseguenza logica ineluttabile. Poi, se a poche ore da un summit chiave la stessa Merkel ci mette del suo a infiammare le divisioni il destino dovrebbe essere segnato.

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Incredibilmente qualche spiraglio si sta aprendo. La cancelliera di ferro ha concesso una prima apertura all’utilizzo del fondo Salva stati per stabilizzare lo spread dei paesi più virtuosi. È un primo ammorbidimento e forse sarà anche l’ultimo, reso possibile con un ruolo di mediazione italiana svolto dal premier Mario Monti e frutto di una strategia di isolamento dell’ideologia del fiscal compact architetta da Hollande. 

Con gli occhi di un osservatore italiano, anche questo dovrebbe suonare molto contraddittorio. Mario Monti in Italia subisce a cadenza bisettimanale le fibrillazioni del Pdl e rumors sempre più insistenti sulla fine della legislatura anticipata. Sui mercati non è messo molto meglio e la stampa anglosassone, particolarmente sensibile al loro sentiment, ha propagato la sfiducia che regna sulle capacità riformatrici del governo tecnico. Nonostante ciò nelle cancellerie europee il governo italiano è tornato ad avere credibilità con le sue politiche impopolari, ma estremamente rigorose sulla gestione della finanza pubblica. E con i crediti guadagnati nei primi cento giorni riesce ora ad essere determinante per gli equilibri comunitari.