Taranto, è necessario scegliere tra occupazione e salute?

Taranto, è necessario scegliere tra occupazione e salute?

 

L’ambientalismo del fare, lo battezzò Veltroni nel lontano 2008, quando ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna elettorale. Un modello di ambientalismo che superasse la fase di esclusiva protesta, ed entrasse in una di proposta, che lanciasse la green economy come volàno dello sviluppo industriale italiano. Fino ad allora, infatti, malgrado l’alleanza elettorale che più o meno stabilmente univa Verdi e sinistra – in ottica piuttosto antagonista che di proposte comuni – unire difesa dell’ambiente e difesa dei lavoratori (dei posti di lavoro, si direbbe oggi) non è mai stato facile da un punto di vista concretamente programmatico.

D’altronde, non è detto che l’”ambientalismo del fare” avrebbe potuto essere una  stella polare per risolvere la grana che coinvolge la città di Taranto da diverso tempo e che da ieri la infiamma, dividendola in due fazioni ciascuna delle quali difende diritti che sarebbero anche fondamentali: quello di dar da mangiare alla propria famiglia, col proprio lavoro, da parte dei circa quindicimila lavoratori dell’Ilva e dell’indotto (di cui cinquemila maggiormente interessati dal provvedimento), e quello di non respirare diossina, per i cittadini, soprattutto per quelli che vivono nelle zone più esposte della città.

L’ordinanza di ieri, attraverso la quale il gip di Taranto ha posto sotto sequestro di sei impianti del complesso industriale dell’Ilva e tratto agli arresti domiciliari otto persone, a vario titolo responsabili, secondo l’accusa, di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose. La decisione, ha spiegato oggi in conferenza stampa il Pg di Lecce, è stata sofferta, ma obbligata: la magistratura ha l’obbligo di perseguire i reati, e all’Ilva – non di giorno, ma di notte – questi venivano commessi, causando disturbi, malattie e concreti rischi di morte nei tarantini.

Nella città pugliese i lavoratori dell’Ilva stanno bloccando il traffico sulle principali arterie cittadine, ed il richiamo dei sindacati al governo, affinché risolva la situazione è forte. Sulla stessa linea anche il mondo confindustriale, con Federmeccanica e Federacciai a paventare rischi importanti per tutto l’indotto e per gran parte del manifatturiero nazionale. A plaudire all’ordinanza sono naturalmente le associazioni ambientaliste, che ora chiedono di non dar vita ad uno scambio tra ambiente e occupazione. Il punto è infatti come conciliare il rispetto dell’ambiente alla questione occupazionale laddove non tutti i passi sono stati compiuti per giungere ad una più completa riconversione aziendale.

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Il governo, c’è da dire, si è mosso subito. Il ministro Clini, ieri in Puglia, ha siglato un protocollo d’intesa con Regione ed enti locali secondo il quale, con un finanziamento di circa 336 milioni di euro, si dovrebbe procedere al risanamento ambientale della città, ed ha fatto sapere – come ribadito oggi dal collega Passera – che interesse del governo è quello di evitare che si arrivi alle misure più drastiche, che si utilizzi il tempo necessario per spegnere del tutto gli impianti senza rischi, arrivando piuttosto a soluzioni che preservino anche l’occupazione dei tarantini, sperando tra l’altro che il Tribunale del Riesame valuti soluzioni diverse;  importante sarà però che – secondo le parole di Corrado Passera – si porti avanti, una volta per tutte, “il superamento strutturale delle motivazioni che hanno portato al provvedimento di sequestro da parte della magistratura”.

Mentre la città vive un profondo laceramento interiore, l’augurio è che gli strumenti che saranno adottati riusciranno a promuovere il rispetto dell’ambiente senza provocare crisi occupazionali.