L’intervista/Rothenberg: “Presidenziali in bilico, decisivi i confronti tv”

Rothenberg

Per la seconda puntata del nostro special sulle elezioni presidenziali Americane del 6 Novembre prossimo, incontriamo oggi Stuart Rothenberg, illustrissimo studioso di flussi elettorali e, insieme a Larry Sabato (con cui abbiamo avuto il piacere di conversare nella prima puntata ndr), uno dei più grandi politologi americani. 

Ex opinionista politico di CNN e CBS News, Rothenberg è ora editorialista elettorale di alcuni fra I più importanti quotidiani degli Stati Uniti fra I quali il “The Washington Post”, il “The Wall Street Journal”, il “The New York Times” e il “The Orlando Sentinel”. E’ anche commentatore per il famoso sito politico “Roll Call Politics” e redattore del suo personale portale di politica, l’ormai notissimo “Rothenberg Political Report”. 

Stuart è come sempre gentilissimo e ci accoglie volentieri per una breve intervista e per rispondere alle nostre domande e curiosità. 

Innanzitutto vorremmo iniziare con una domanda “ovvia”: chi vincerà le prossime elezioni Presidenziali? Lei ritiene giusto affermare che il Presidente Barack Obama sia il grande favorito, e praticamente certo di un secondo mandato?

Non so chi vincerà, è difficile prevederlo così in anticipo, 2 mesi in politica sono un’eternità. Ho tuttavia una quasi certezza: il Presidente non è affatto certo della rielezione, non è “shoo-in” per un secondo mandato. Se vogliamo dirla tutta, a mio modesto parere, non è nemmeno favorito. Ha un leggero vantaggio nei sondaggi, molto limitato, che potrebbe anche capovolgersi se I rapporti sulla disoccupazione dovessero essere negativi nei prossimi due mesi (l’ultimo è stato pubblicato venerdì e vede la disoccupazione ferma sopra l’8% ndr). Ritengo inoltre che i dibattiti fra i candidati, che cominceranno il 3 Ottobre, saranno fondamentali per decidere chi veramente vincerà. Gli americani non sono ancora convinti che Obama meriti un secondo mandato, quindi stanno considerando l’alternativa: Mitt Romney. Non sono però ancora convinti del fatto che Romney sia l’alternativa “da preferire”. Sarà una bella sfida. 

 

Quali saranno, secondo Lei, quegli “Swing States” che decideranno l’elezione? Ritiene credibile la possibilità, che molti esperti intravedono, che alcuni stati tradizionalmente democratici come Wisconsin o Michigan o tradizionalmente Repubblicani come Arizona o Texas possano cambiare “sponda” a causa di ragioni strettamente locali come l’alta percentuale di voto ispanico o il disagio delle “working class families”?

L’elezione si deciderà in Ohio, Florida, Virginia, Colorado, Nevada e Iowa. Alcuni commentatori aggiungono alla lista anche altri stati ma personalmente ritengo che questi saranno I possibili “tipping point states”. Per il resto nessuno stato che ha votato per John McCain nel 2008, quindi nemmeno l’Arizona né tanto meno il Texas, andranno né si avvicineranno ad Obama nel 2012. Di più, l’Indiana, che votò per pochissimi voti per Obama, è saldo nella colonna di Romney e appare che anche il North Carolina, nonostante la convention Democratica si sia svolta a Charlotte, seguirà a ruota. Personalmente ritengo che anche la Florida, nonostante il dibattito sul Ryan-budget e su Medicare, sia sul punto di votare per Romney, anche se sarà verosimilmente indecisa fino all’ultimo. E’ vero, qualcuno pensa che gli stati del Midwest possano vedere più favorevolmente il candidato Romney che il repubblicano tradizionale, anche per la sua storia personale e di famiglia (il padre di Romney fu Governatore del Michigan e Presidente di General Motors ndr) ma se ritengo possibile che il Wisconsin passi ai Repubblicani, non credo lo stesso accadrà con Pennsylvania o Michigan. Dovesse accadere, ci troveremo di fronte ad una vittoria confortevole da parte del candidato repubblicano. 

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Quale sarà il tema dominante di questi ultimi mesi di campagna elettorale? L’economia, come sembrano credere i repubblicani; Medicare come vorrebbe Obama oppure Obamacare, anche alla luce della recente decisione della Corte Suprema in merito?

Non v’è alcun dubbio, questa elezione si giocherà su economia e disoccupazione. Avranno un ruolo anche i dibattiti sulla personalità dei singoli candidati, la loro capacità di connettersi con “main street” (e Romney in questo parte sfavorito ndr) e le loro capacità di leadership. La riforma sanitaria è oramai relegata a argomento secondario. 

Sono in pochi, soprattutto in Europa, a sapere che l’ufficio del presidente degli Stati Uniti è “azzoppato” qualora in Congresso, e soprattutto al Senato, non vi sia una maggioranza dello “stesso colore”. Dopo aver conquistato la Camera ma aver fallito nel loro “assalto” al Senato, anche a causa di alcuni candidate impresentabili scelti durante il processo delle primarie, riusciranno i repubblicani a riconquistare anche la Camera Alta? E quale sarà invece l’effetto dei candidati dei Tea Party? Saranno un’altra volta loro a rovinare le ambizioni del partito che già nel 2010 dovette “subire” la scelta della base che incoronò candidati improbabili come McDonnell, Buck e Angle? Ed infine, quale è la sua opinione sui recenti sviluppi delle elezioni in Missouri e sui commenti di Todd Akin sullo “stupor legittimo”?

La battaglia per il Senato è ancora più indecisa di quella per la Presidenza. L’unica certezza è che nessun partito è favorite per la vittoria finale, che potrebbe andare a uno piuttosto che all’altro. Le sfide chiave per il controllo della camera Alta si giocheranno in Virginia, Nevada, North Dakota e Wisconsin. Se proprio dobbiamo individuare un “leggerissimo favorite” direi i democratici, ma molto dipenderà su quanti voti otterranno Obama e Romney in questi stati (è difficile, e sempre più raro, che un elettore voti Democratico per la Presidenza e Repubblicano per il Senato, o viceversa ndr). Per quanto riguarda le single sfide: è vero, i repubblicani stanno nominando candidati sempre più conservatori e vicini al Tea Party ma, a differenza del 2010, a questo turno vinceranno quasi tutti. Deb Fischer è certa della vittoria in Nebraska. Richard Mourdock non è il candidato ideale per nessuno, ma dovrebbe vincere in Indiana. Per quanto riguarda Todd Akin invece: è un disastro per I repubblicani. E’ riuscito a tramutare una vittoria certa in una probabile sconfitta. 

Parlando della Camera invece: Nancy Pelosi sostiene che i democratici abbiano il 50% di possibilità di riconquistarla. Lei è d’accordo con questa previsione o ritiene invece che John Boehner verrà confermato presidente a Gennaio? Per quanto riguarda il “gerrymandering” invece, chi ha vinto?

Il “redistricting” è stato un pareggio. Gli effort dei due partiti si sono annullati a vicenda e, secondo me, questa è una buona notizia per I Democratici che temevano conseguenze ben più gravi. Non sono tuttavia d’accordo con Nancy Pelosi: la battaglia per la Camera non è un “toss-up”. I Democratici potrebbero riconquistare qualche seggio, ma non si avvicineranno nemmeno ai 25 di cui hanno bisogno per controllarla. A meno di scandali di una certa portata, i repubblicani, e il loro leader John Boehner, manterranno la maggioranza. 

Un’ultima domanda. Come durante tutti i cicli elettorali, assistiamo a numerosi sondaggi da parte di altrettanto numerosi istituti. I sostenitori dei vari schieramenti si accusano a vicenda di influenzare i risultati e alcune “case” non sono ritenute dall’opinione pubblica poi così affidabili. Quale è la sua opinione in merito?

E’ vero, ci sono case sondaggistiche meno affidabili di altre. Ma molto si basa su opinioni personali. Per quanto riguarda le migliori, a mio parere, si dovrebbe guardare alla NBC News/Wall Street Journal oppure al Washington Post/ABC News. Per chiudere: nessun sondaggio può essere preciso al 100% perché I risultati di ogni singola elezione dipenderanno da chi si presenterà a votare, ed è impossibile prevederlo con certezza. Esistono poi diversi modi per “valutare” i dati raccolti, ma anche qui, non diamo fiato a polemiche …. Godiamoci queste elezioni che, sotto tutti gli aspetti, sono un vero “toss-up”.