Pablo Escobar, el patron del mal

Il vero Pablo Escobar a sinistra e l’attore Andrés Parra a destra

“Buon giorno signor colonnello. Ho due notizie per lei, una buona e una cattiva. La buona è che le offro 10.000 dollari al mese perché mi tenga informato sulle operazioni della polizia di Medellin. La cattiva è che se lei non accetta, le faccio uccidere sua moglie, sua madre, sua figlia Manuelita, suo figlio Pedrito, i suoi zii, i suoi cugini, suo nonno e anche sua nonna. E se sua nonna è già morta, la faccio disseppellire e uccidere un’altra volta”.

Il vero Pablo Escobar a sinistra e l’attore Andrés Parra a destra

A parlare è Pablo Escobar il famoso narcotrafficante colombiano, o meglio Andrés Parra, l’attore che lo interpreta in “Escobar, el patron del mal”, la serie televisiva che sta battendo ogni record d’ascolto in Colombia.

La prima puntata del 28 maggio 2012 ha avuto uno share medio del 62.7% con picchi di oltre il 70%, il che equivale a circa 11 milioni di telespettatori. Dopo oltre tre mesi di programmazione, gli episodi (79 in totale), trasmessi ogni sera dal lunedì al venerdì alle 21 su Caracol TV, continuano a riscuotere un successo sensazionale.

A pranzo tra colleghi, a cena tra amici, al bar tra semplici conoscenti, è assai probabile finire a parlare dell’ultima puntata del “Patron del mal” e anche chi aveva giurato di averne avuto abbastanza della storia di Escobar, ha finito per arrendersi e diventare un fan sfegatato, di quelli che si riguardano gli episodi su internet.

L’unicità del personaggio e della sua vicenda sono solo uno degli ingredienti del successo dello sceneggiato.  Si tratta infatti di una produzione ambiziosissima, con attori di grande valore (1300 in totale), curata in ogni dettaglio a cominciare dall’abbigliamento, gli interni, le automobili (in perfetto stile fine anni ’80) per finire con la somiglianza tra attori e i personaggi reali fin nel tono della voce o le movenze del corpo. Ma soprattutto, raccontare la storia di Pablo Escobar significa raccontare un decennio della storia della Colombia, dai primi anni ’80 fino alla morte del “Patron”, avvenuta il 2 dicembre 1993.

Al momento della sua morte, la rivista ‘Semana’ scrisse: “Ha reso impossibile la vita a tre Presidenti. Ha trasformato il linguaggio, la cultura, la fisionomia e l’economia di Medellin e dell’intero Paese. Prima di Pablo Escobar, i colombiani non conoscevano la parola ‘sicario’. Prima di Pablo Escobar, Medellin era considerata un paradiso. Prima di Pablo Escobar, la Colombia era conosciuta nel mondo come la Terra del Caffè. E prima di Pablo Escobar nessuno pensava che in Colombia potesse scoppiare una bomba in un supermercato o in un aereo in volo. A causa di Pablo Escobar, esistono in Colombia le automobili blindate e per questioni di sicurezza, si è modificata l’architettura. A causa sua, è stato cambiato il sistema giudiziario, si è ripensata la politica penitenziaria e si sono trasformate le Forze Armate. Pablo Escobar ha scoperto più di ogni altro prima di lui, che la morte può essere il più efficace strumento di potere”.

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Volendo fare un paragone, sarebbe come se in Italia venisse trasmessa una serie che raccontasse tutto quanto accadde negli anni cruciali dall’inizio di Mani Pulite (febbraio 1992) alle prime elezioni vinte da Berlusconi nella primavera del 1994, con attori che impersonano tutti i personaggi principali: Di Pietro, Craxi, Totò Riina, Falcone, Borsellino, Ciancimino, Occhetto, Berlusconi, Scalfaro, ecc.

Escobar nacque nel 1949 in una città vicina a Medellin da una famiglia modesta, ma non poverissima. Frequentò regolarmente la scuola (dove cominciò a fare affari vendendo ai compagni il testo dei compiti in classe rubati nella sala professori), ma comprese ben presto che le vie legali non gli avrebbero consentito di raggiungere l’obiettivo della sua vita: diventare immensamente ricco.

Iniziò con il contrabbando di sigarette e liquori, per passare poi al furto di auto, al traffico di marijuana e alle rapine. Fu fedele ad alcuni principi sin dal principio della sua carriera criminale: due erano le cose importanti: i soldi e la famiglia. In nome di queste priorità, esistevano solo due maniere per risolvere le questioni o rimuovere ostacoli: “Plomo o plata” (piombo o soldi). O ti fai corrompere ed accetti i miei soldi o ti faccio fuori, anzi faccio fuori la tua famiglia che – in Colombia come in Italia – è sacra e piú importante della propria vita. Vedi frase iniziale dell’articolo…

Una foto di Escobar giovane ed ancora senza baffi appena arrestato per traffico di cocaina a Medellin (Colombia). Uscirà presto dal carcere…

Ma il punto di svolta é la scoperta che in Colombia e dintorni era disponibile in gran quantità ed a basso prezzo un bene per il quale, qualche centinaio di chilometri più a nord (negli USA), viveva gente disposta a pagare un prezzo enormemente più alto: la cocaina.

In pochi anni, Escobar organizza con estrema efficienza la produzione e la spedizione di tonnellate di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti. Ad arricchirlo in maniera spropositata fu dunque una miscela di fattori: la sua capacità organizzativa e di leadership, la sua spietatezza, ma anche i milioni di consumatori statunitensi (di cocaina…) ed il parossistico proibizionismo che faceva (e fa) lievitare i prezzi della coca. “Todo lo peligroso se convierte en plata” è una delle frasi di Escobar: “Tutto ciò che è pericoloso diventa soldi”.

Sono anni di gloria per Escobar che – nonostante abbia già commesso ogni tipo di efferatezza – viene paragonato a Robin Hood ed è amato nei quartieri più poveri di Medellin. Al contrario dei classici mafiosi italiani, Escobar non si nasconde, né conduce vite da contadino. Tutt’altro: nella sua “villa” di campagna (ribattezzata: “Hacienda Napoles”) invita giornalisti, personalità, attrici, fa costruire un aeroporto ed allestisce uno zoo con circa 1.900 specie di animali tra cui giraffe, rinoceronti, ippopotami, ecc. che fa venire appositamente dall’Africa.

Tuttavia, fino al 1982, Pablo Escobar è ancora un personaggio semi sconosciuto in Colombia. La sua notorietà ed i problemi gravi, per lui e la Colombia, cominciano quando comprende che esiste qualcosa di meglio della “plata”: il potere politico. E decide di “scendere in campo”. Il suo proposito non è solo quello di farsi leggi “ad personam” che lo liberino dai peraltro timidissimi tentativi della giustizia di perseguirlo, ma anche quello di costruirsi una rispettabilità in quanto imprenditore, politico e cittadino.

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Si finanzia la campagna elettorale, fa costruire a spese sue case per i poveri della sua città (che lo votano in massa) e riesce a farsi eleggere in Parlamento. Presto però si scopre chi è questo strano signore venuto dal nulla e soprattutto si scopre l’origine della sua ricchezza. Una parte della politica, della stampa e dell’opinione pubblica reagisce e non ci sta. Si scatena una battaglia politica e mediatica contro di lui ed Escobar è costretto a dimettersi.

Da questo momento in poi, ha inizio una guerra sempre più dura e sanguinaria tra Escobar e una parte dello Stato e della società colombiana, a cui il narcotrafficante non perdonerà mai di non avergli permesso di diventare un politico ed una persona rispettabile. Non solo é costretto a lasciare il Parlamento, ma i suoi figli non sono accettati nelle scuole piú prestigiose e la sua famiglia rifiutata nei club piú eleganti del Paese. Di fronte ad ogni atto che giudica un sopruso nei confronti della sua persona, Escobar estrae un’agendina che porta sempre nel taschino della camicia e come un puntiglioso ragioniere, appunta un nome. Chi finisce su quell’agendina, finisce inevitabilmente morto: giornalisti, politici, giudici, semplici cittadini, uccisi uno dopo l’altro in un escalation terribile e senza limiti. La morte come strumento di potere e difesa.

La serie televisiva descrive con estrema chiarezza tutte le manovre “politiche” di Escobar: corruzione di parlamentari e poliziotti, infiltrazioni in ogni settore delle istituzioni, minacce, ammazzamenti, scambi di favori, trattative con pezzi dello Stato, ecc. ecc. Vengono svelati tantissimi retroscena assai istruttivi su come la politica e le istituzioni in generale si muovono e comportano.

 

Escobar durante un comizio politico nei primi anni ’80

Tuttavia la vicenda e la persona di Escobar costituiscono un unicum. La sua personalità megalomane (si considerava la seconda persona più importante al mondo dopo il Papa), aggressiva e priva del senso della vergogna, lo condurrà a non accettare alcun tipo di sconfitta, neanche nelle gare automobilistiche e – come un bambino capriccioso – a volersi vendicare di chiunque non volesse piegarsi al suo carisma. Di persone così, è pieno il mondo. Il grave è quando si ritrovano ad avere a disposizione immense quantità di denaro, appoggio sociale e potere

Nonostante tra i produttori e curatori del programma ci sia il figlio di un giornalista e la nipote di un politico assassinati da Escobar (rispettivamente Guillermo Cano e Luis Galan) e sia trasmessa da un canale televisivo dello stesso gruppo editoriale del giornale (“El Espectador”) che più di ogni altro combatté Escobar (che ne fece saltare in aria la sede), la serie è stata accusata di offrire un’immagine troppo indulgente del narcotrafficante. Che – secondo le critiche – risulterebbe in fondo simpatico e guascone, una specie di Doctor House, cattivo e cinico, ma in fondo amato dagli spettatori.

In realtà, il successo dello sceneggiato è tale e talmente inaspettato da avere suscitato invidie e reazioni da ogni parte: a criticarla sono spesso i gruppi editoriali avversari, incapaci di contrastare un fenomeno televisivo cosí dirompente. Anche la sorella di Escobar e alcuni sicari del “patron” hanno chiesto (inutilmente) il ritiro della serie perché – a loro dire – danneggiava la loro immagine. Infine, la sceneggiatura ha il merito di rappresentare senza veli ogni aspetto della vicenda, compresa la vita familiare e con gli amici. Si vede perciò un Escobar affettuoso con la moglie e i figli o scorrazzando in moto felice con gli amici per la campagna. Il punto é che anche i peggiori malvagi amano, si divertono e scherzano. Anche Hitler era dolce con il proprio cane e fu amato fino alla morte da Eva Braun (e non solo). In una visione semplicistica e quindi rassicurante del mondo, vorremmo invece che i “cattivi” fossero sempre tali in ogni minuto della loro esistenza, perché questo significherebbe che il “male” è solo loro prerogativa…

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Dopo il bruciante fallimento della sua carriera politica, entrano in gioco anche gli Stati Uniti. Il vero incubo per Escobar sarà infatti la possibile estradizione negli USA dove non può eliminare o intimidire giudici e poliziotti, né godere di appoggi e connivenze che gli garantiscono l’impunità in Colombia. Ma perché gli USA ce l’hanno con lui?Non tanto per bloccare il flusso di coca verso il loro territorio e salvaguardare la salute dei cittadini statunitensi, quanto per fermare il percorso inverso che compiono quantità enormi di dollari. I soldi che i cittadini statunitensi pagano per la coca – finanziando di fatto Escobar – sono diventati capitali ingenti che vengono sottratti all’economia USA. Il  narcotraffico è diventato un’impresa economica di tale portata da essere divenuto un problema per le finanze statunitensi.

Il motto di Escobar e dei suoi “soci” diventa: “Meglio una tomba in Colombia che un carcere negli Stati Uniti”. Pur di evitare l’estradizione negli USA, in particolare per impedire che la Colombia approvi una legge che consenta l’estradizione, Escobar farà di tutto. Dal negoziare con lo Stato a cui, nel 1984, proporrà di pagare l’intero debito pubblico di circa 10.000 milioni di dollari (!) in cambio della certezza di non essere estradato, fino a far esplodere un aereo in volo, uccidendo 107 persone innocenti, nel tentativo di eliminare un candidato presidenziale (César Gaviria) che avrebbe approvato l’estradizione e che si salvò non salendo su quel volo all’ultimo secondo, venendo poi eletto presidente (nel 1990).

Escobar arriverà a costruirsi un carcere a Medellin (nel 1991) e mettercisi dentro (ovviamente tra lusso sfrenato e comodità tutt’altro che ‘carcerarie’) pur che la Colombia non lo estradi negli USA. Le trattative con lo Stato avvengono allo scoperto ed ogni volta che si profila la possibilità che entri in vigore l’estradizione, Escobar piazza una bomba in qualche centro commerciale o minaccia di far saltare in aria i monumenti più rappresentativi del Paese (ricordate le bombe agli Uffizi e al Velabro del ’93?…).

“La muerte de Pablo Escobar” del pittore colombiano Fernando Botero (1999)

Dopo essere fuggito dalla “sua” prigione perché la polizia voleva spostarlo in un vero carcere, sempre più isolato ed accerchiato, Escobar muore sui tetti della sua città, Medellin, ucciso da una squadra d’élite della polizia colombiana. Prima di quella data, un numero impressionante di “servitori dello Stato” colombiano viene assassinato dai suoi sicari. La serie televisiva rende omaggio a molti di essi, in particolare quelli meno noti (come i nostri Rosario Livatino, Libero Grassi, Boris Giuliano, ecc.), che sono raccontati non solo dal punto di vista professionale, ma anche nella loro vita intima e familiare che viene sconvolta dall’orrore degli omicidi e delle stragi, suscitando commozione e forte coinvolgimento emotivo.

Molti giovani colombiani non sanno chi fossero questi loro compatrioti, i cui assassinii sono spesso rimasti ancora impuniti (…). Altri invece hanno dimenticato per lasciarsi alle spalle un’epoca oscura, quando oggi la Colombia vive un periodo di boom economico e grandi speranze. Tuttavia, nonostante lo Stato colombiano sia molto più forte e solido che in passato, le rotte del traffico della coca si siano parzialmente spostate ed il senso della legalità dei colombiani sia cresciuto, tanti dei problemi che permisero ad Escobar di mettere in ginocchio questo Paese, sono tutt’altro che risolti.

Il grado di corruzione, ingiustizia e violenza nella società e politica colombiana sono ancora troppo alti e pericolosi e consistenti porzioni di territorio sono ancora sotto il controllo di guerriglieri, narcotrafficanti o paramilitari. La serie “Escobar, el patron del mal”, oltre ad intrattenerci, ha anche il merito di riportare d’attualità, in maniera avvincente, ma anche chiara ed inequivoca, una parte della storia colombiana (che ha tante similitudini con quella italiana e non solo…) che è importante non dimenticare. Perché come diceva il filosofo spagnolo George Santayan e come recita una voce nella sigla della serie: “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”.

E adesso, scusate, ma vado a vedermi un capitolo di “Pablo”…