Regionali 2010: l’uso del voto di preferenza

elezioni regionali - Termometro Politico

Attraverso questo articolo ci proponiamo di analizzare uno degli aspetti più interessanti delle appena trascorse elezioni regionali: l’uso che gli elettori hanno fatto del voto di preferenza.

 

 

 

 

Cercheremo di vedere in quale quantità, nelle diverse regioni, gli elettori si sono avvalsi di tale strumento, e per farlo utilizzeremo i dati sul c.d. “tasso di preferenze espresse”. Con quest’espressione si intende la percentuale di preferenze espresse dagli elettori sul totale dei voti validi alle liste.

Confronteremo poi il recente dato con quello delle precedenti elezioni regionali per vedere se vi è stato un aumento o un decremento di questo fenomeno.

 

Prima di iniziare è opportuno ricordare che in 12 regioni su 13 nelle quali si è votato (unica eccezione la Toscana) vi era la possibilità di esprimere un voto di preferenza con cui scegliere uno dei candidati presenti nelle liste per il Consiglio regionale. Soltanto la Campania a seguito dell’approvazione della legge regionale n. 9/2009 prevedeva la possibilità di esprimere fino a 2 preferenze con l’obbligatoria alternanza tra i sessi.  La Toscana, invece, già dal 2005 ha deciso di sostituire tale strumento con una legge sulle primarie (l.r. n.70/2004) che permette ad ogni forza politica di organizzarle a spese della regione, col risultato che al momento del voto vero e proprio le liste sono bloccate.

Questa la tabella con i dati:

*Dato sovrastimato a causa della possibilità di esprimere fino 2 preferenze.

(Fonte: Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE) – Università di Firenze)

 

Passiamo adesso all’analisi dei dati iniziando dalle regioni del Nord. Tale zona geografica si presenta, in continuità con le precedenti elezioni, una zona in cui il “tasso di preferenza” anche se cresciuto molto dalle elezioni del 1995, si attesta comunque su percentuali piuttosto basse. Spicca, tra questi, il dato della Lombardia, dal quale si evince che su 100 elettori che esprimono un voto di lista valido solo 23 lo esprimono accompagnandolo con l’indicazione di una preferenza per un candidato. I tassi di preferenza del Piemonte e del Veneto sono invece piuttosto simili, rispettivamente 35% e 35,2%. Il dato della Liguria è invece più alto, precisamente del 42%.

 

Spostando l’attenzione sulle regioni del Centro, ed in particolare dell’ “ex zona rossa”, vediamo che il dato più basso spetta all’Emilia-Romagna (25,7%). Questo a dimostrazione che, in questa area, dove forte era la presenza del Partito Comunista Italiano, la preferenza partitica prevale ancora su quella personale. Non si può dire lo stesso, invece, per l’Umbria e le Marche che presentano valori decisamente più alti: 53% la prima e 49,4% la seconda. Da notare, inoltre, che in Toscana l’ultima volta che si è votato con il voto di preferenza, cioè alle regionali del 2000, il valore si attestava sul 28,6%. Per ciò che concerne il dato del Lazio, una regione con caratteristiche politiche diverse da quelle appena citate, vediamo che presenta un tasso di preferenza del 51%.

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Passiamo infine al Sud che continua ad essere, come lo era nella Prima Repubblica, la macroarea con il tasso di preferenza più elevato. Lo “scettro” del vincitore spetta alla Campania che per questa tornata elettorale ha fatto registrare un dato pari al 90,6%.  Ciò significa che quasi la totalità di coloro che hanno espresso un voto di lista valido lo hanno fatto esprimendo anche un voto di preferenza. Occorre comunque precisare che tale dato, rispetto a quello delle altre regioni, risulta essere sovrastimato dalla possibilità che gli elettori campani avevano di esprimere fino a 2 preferenze. Storicamente, infatti, le regioni del sud con una più alta propensione all’utilizzo del voto di preferenza sono la Calabria e la Basilicata, che in queste elezioni presentano dei “tassi di preferenza” rispettivamente pari a 84% e 85,9%. Fanalino di coda è invece la Puglia con il 75,7%. Un dato che, pur essendo più basso tra le regioni del Sud, risulta enormemente più alto rispetto a quello delle regioni del Nord e del Centro. Oggettivamente risulta difficile interpretare tali dati come una particolare propensione degli elettori meridionali di incidere sugli eletti e di esprimere un diffuso voto di opinione. Essi, piuttosto, sembrano essere il frutto di privilegiati rapporti personali che si instaurano tra il candidato e l’elettore, e che, inevitabilmente, danno luogo a rapporti clientelari ed a fenomeni come il voto di scambio. La qualità della democrazia, in questo caso, non può che risentirne.

Aggregando quindi i “tassi di preferenza” di tutte le regioni nelle quali si è votato abbiamo un dato totale del 54,2% (nel 2005 era del 56,1%). Ciò significa che in Italia, per le elezioni regionali, più di un elettore su due quando entra nella cabina elettorale ed esprime un voto valido, lo fa indicando il nome di un candidato.

 

Tale dato, anche se ancora piuttosto elevato, si presenta però per la prima volta dal 1995 in diminuzione. Fino ad oggi infatti il trend era sempre stato positivo, e questo indipendentemente dall’affluenza alle urne che, nonostante presentasse un trend discendente, vedeva al contrario un aumento costante del tasso di preferenza.

 

Per concludere, una piccola riflessione sul voto di preferenza pare opportuna. Come sappiamo tale strumento è oggi precluso per il rinnovo del Parlamento italiano, mentre è ancora utilizzabile per le appena analizzate elezioni regionali, per i comuni, e per il rinnovo del Parlamento europeo. Attualmente molto si sta discutendo sull’opportunità o meno di reintrodurlo anche a livello nazionale, e molte delle critiche che vengono fatte all’attuale normativa (l. 270/2005) sono oggettivamente fondate. Tuttavia, anche alla luce dei dati appena analizzati, bisogna tenere sempre presente che il voto di preferenza rischia di portare con sé una dose di corruttela e clientelismo. Molti dei suoi sostenitori sembrano ignorare tutto ciò, altri invece ne sono consci e definiscono tali distorsioni come un male minore comunque da sopportare.

 

La direzione da intraprendere potrebbe invece essere quella di uscire dalla contesa “preferenza sì/preferenza no”  per iniziare, piuttosto, a parlare di preferenza “come”.  E cioè di prendere in considerazione sistemi proporzionali a “lista flessibile” dove l’elettore può comunque esprimere un voto di preferenza per un candidato, ma l’ordine della lista presentata dal partito può essere modificato solo a certe condizioni. In Austria, ad esempio, per risalire l’ordine di lista occorre che un candidato ottenga almeno un sesto dei voti totali ottenuti dal partito in una data circoscrizione.