Renzi, D’Alema e quei passi indietro

Governo, D'Alema sulla staffetta di ieri e di oggi

Il passo indietro di Walter Veltroni, che ha annunciato la sua intenzione di non ricandidarsi alle elezioni politiche, e il mezzo passo indietro da parte di D’Alema, che ha assicurato il ritiro nel caso di vittoria di Bersani, possono seriamente aprire una nuova fase politica per quanto riguarda questa campagna elettorale per le primarie del centrosinistra. Almeno per quanto riguarda la dialettica interna al Pd.

Del resto soprattutto la mossa di D’Alema è stata finalizzata a costringere Renzi a passare ad un’altra fase di proposta politica. Fase che, dovendo accantonare il mero tema della rottamazione, secondo l’entourage bersaniano rischia di sfavorire seriamente il sindaco di Firenze.

Ma in primo luogo va capita nel vero senso del termine la mossa dalemiana: l’ex capo del governo ha dichiarato che in caso di vittoria di Bersani non chiederà alla direzione nazionale del partito la deroga per ricandidarsi in Parlamento. Una scelta che a detta di D’Alema gli consentirebbe di fare politica sostenendo Bersani al riparo da condizionamenti o da sospetti di secondi fini.

Una mossa che senz’altro gli fa onore, quella del dirigente politico che si schiera per pura convinzione su un candidato, e su questo Renzi non ha oggettivamente margini d’azione.

Lo stesso D’Alema però ha dichiarato che in caso di vittoria renziana farà battaglia politica, in quanto il sindaco fiorentino intende rottamarlo. Questo ragionamento può avere diverse letture, ma se si rimanda alla tattica politica possiamo coglierne un’accezione letteralmente drammatica per quanto concerne il fronte dalemiano.

La dichiarazione infatti può essere letta anche come un “ricatto” nei confronti degli elettori. Nel senso che se vince Bersani vi assicuro che faccio un passo indietro. Se vince Renzi questo passo indietro non solo non è scontato, ma vi prometto una battaglia politica. Ammesso e non concesso dunque che esista in Italia un elettorato “antidalemiano”, a seguito di questa dichiarazione, questo stesso gruppo elettorale, per paradosso dovrebbe essere spronato a votare Bersani anziché il “nemico” Renzi. Un aspetto tattico che se veritiero nasconde un forte velo d’amarezza in quanto si considera il proprio “ritiro” funzionale alla vittoria della propria causa.

Al tempo stesso la mossa di D’Alema nasconde altri due aspetti. Su cui però Matteo Renzi ha tutti i margini per rispondere.

In primo luogo questa scelta può togliere un argomento all’armamentario di Renzi che, basandosi troppo sulla rottamazione, con tutti questi ritiri rischia di restare a corto di argomenti. In realtà lo stesso Renzi – ed è la strategia di questo giorni – rivendica con orgoglio le mosse di Veltroni e D’Alema e in un certo senso può dire che grazie al dibattito da lui animato è stato ottenuto l’obiettivo della “rottamazione”. La base di fondo è che comunque il ritiro di Veltroni e D’Alema deve a maggior ragione spingere il sindaco a parlare di politica, programma e contenuti. Per evidenziare come egli non sia in realtà colui che vuole spaccare il partito, ma semplicemente un rappresentante della sua ala riformista e un argine contro il rischio di una deriva a sinistra, favorita dall’emergere di spinte massimaliste nel partito e dall’accordo elettorale con Sel.

In secondo luogo la mossa di D’Alema può avere anche l’aspetto della cosiddetta “rottamazione istituzionale”: può esistere dunque un modo per lasciare spazio ai giovani, con un passo indietro dello storico gruppo dirigente, senza sbraitare o chiedere rottamazioni. Una rottamazione alternativa, alla Bersani.

(per continuare la lettura cliccare su “2”)

Renzi a questa ipotesi ha ribaltato l’ottica affermando che comunque con questa mossa non viene meno nemmeno la leggittimità del candidato Renzi anche in quanto “rottamatore”. E  ha segnalato come in caso di vittoria di Bersani “sarà D’Alema a farsi da parte. In caso di nostra vittoria saremo noi a non candidarlo”.

In questo modo – parlando ancor di più di politica dopo i primi passi indietro, e continuando a rivendicare il suo ruolo di rinnovamento (che lo stesso Bersani potrebbe rivendicare dopo la mossa dalemiana) – la campagna del sindaco di Firenze non solo può continuare senza particolari o traumatici scossoni. Ma anzi può rafforzare l’equilibrio interno al Pd portando la sua candidatura a rappresentare delle istanze riformiste capaci di ribilanciare i dissestati equilibri politici del Nazareno.

Fermo restando che si tratta pur sempre di un candidato che ha deciso di partecipare alle primarie “senza se e senza ma”, nonostante il radicale cambio di regole rispetto alle elezioni primarie precedenti. E che ha giurato fedeltà al Pd e al suo schieramento non chiedendo posti e promettendo lealtà al candidato Bersani. Col risultato di ottenere, per risposta, che una sua affermazione porterebbe alla morte e all’implosione del centrosinistra.

La peggior accusa per un uomo politico.

Da qui la replica. Macché implosione del centrosinistra. Al massimo finisce la carriera parlamentare di Massimo.

Della serie: nessun rischio sistemico, le famiglie italiane nella peggiore delle ipotesi avrebbero fatto a meno della proficua attività legislativa dell’onorevole D’Alema.