Il referendum mette a rischio la Costituzione?

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Il referendum mette a rischio la Costituzione?

Tra i vari argomenti di critica portati dai vari critici del referendum elettorale (in special modo dai partiti e dai comitati che sostengono l’astensione) ce n’è uno in particolare che merita particolare attenzione. L’argomento è il seguente: dal momento che, dovesse passare il referendum, il premio di maggioranza del 55% dei seggi andrebbe alla sola lista più votata, se questo premio spettasse al maggior partito di centrodestra quest’ultimo potrebbe facilmente accordarsi con gli altri soggetti di centrodestra presenti in Parlamento per approvare una eventuale riforma costituzionale con i due terzi dei parlamentari (il 66%), quindi senza dover passare per il referendum confermativo (che nel 2006 bocciò la riforma approvata a maggioranza semplice dal centrodestra).

La questione va affrontata con tutta la serietà possibile, visto che si tratta di un argomento che tocca dei punti fondamentali come la Costituzione e l’ordinamento dello Stato. Cerchiamo di capire se sia possibile il verificarsi di uno scenario del genere.

In primo luogo, bisogna sottolineare una cosa fondamentale: quando si parla di “dare alla lista più votata il 55% dei parlamentari” bisogna specificare che ci si riferisce esclusivamente alla Camera dei Deputati. Al Senato il premio del 55% dei seggi viene assegnato regione per regione: e se la lista più votata non prenderà il premio in tutte e 18 le regioni in cui può prenderlo, non avrà il 55% dei senatori; ma questo è, per usare un eufemismo, altamente improbabile, visto che le differenze sul comportamento di voto delle varie regioni sono ben note a chiunque si occupi di politica. Questo deve essere ben chiaro, dal momento che, particolare per nulla irrilevante, per approvare una modifica costituzionale senza dover passare per il referendum confermativo si ha bisogno dei due terzi non solo alla Camera, ma anche al Senato; è una conseguenza del bicameralismo perfetto.

Vediamo allora, a cominciare dalla Camera, se può verificarsi concretamente uno scenario del genere. Il 55% dei seggi va assegnato alla lista più votata, poniamo – senza far grosso sforzo d’immaginazione – il PDL; per raggiungere il fatidico 66% è necessario che, del restante 45% assegnato a tutte le altre liste, almeno l’11% sia assegnato ad altre forze abbastanza omogenee al PDL, ad esempio la Lega e l’UDC (entrambi parteciparono, insieme a Forza Italia ed AN, oggi PDL, all’approvazione della succitata riforma costituzionale varata nel 2005). Questo scenario è possibile solo se questi due partiti, soprattutto le Lega, prendessero insieme una percentuale considerevole, diciamo almeno il 15%. Questa situazione si è verificata alle europee appena trascorse, dove l’UDC ha preso oltre il 6% e la Lega più del 10%. Applicando i dati delle Europee 2009 al sistema di elezione per la Camera dei Deputati, modificato dal referendum, si otterrebbe la seguente situazione:

In questo scenario possiamo notare come, al di fuori del PDL, il voto alle scorse europee abbia subito una “tendenza al livellamento” delle altre forze rispetto al 2008, con l’aumento, in alcuni casi esponenziale, di Lega, UDC e Italia dei Valori. Notiamo anche come al PDL non basti accordarsi con la Lega per raggiungere il 66% dei voti, ma abbia bisogno anche dei voti dell’UDC, con cui raggiungerebbe il 68% (il totale dei seggi non fa 630 perché mancano alcune circoscrizioni estere in cui alle europee non si è votato, ndr).

Abbiamo dunque appurato che alla Camera il rischio che PDL, Lega e UDC (i componenti del vecchio centrodestra per intenderci) abbiano i numeri per cambiare la Costituzione, è concreto. Anche se per appurare ciò abbiamo dovuto simulare delle elezioni politiche basandoci sui dati di elezioni europee, più consoni, rispetto a quelli delle Politiche 2008, a simulare una situazione in cui questo rischio è oggettivo.

Passiamo al Senato. Sempre basandoci sui dati delle Europee 2009, otteniamo, a liste invariate, questa situazione:

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Anche qui bisogna ricorrere ad una certa approssimazione, non solo per quanto riguarda le mancate circoscrizioni estere, ma soprattutto per il fatto che per il Senato votano effettivamente meno cittadini che per la Camera (possono infatti votare i cittadini dai 25 anni in su).

Che percentuale raggiungono i partiti che alla Camera abbiamo visto raggiungere il 68%, cioé PDL, Lega e UDC? 202 voti su 309, senza contare i senatori a vita; dunque, non raggiungono, seppur di pochissimo, il 66%, anche senza considerare i senatori a vita, di cui almeno 4 su 7 molto probabilmente voterebbero contro insieme al centrosinistra.

Ma gli scenari che abbiamo considerato scontano il piccolo difetto di non essere realistici, non solo per il fatto di essere ricavati da risultati di elezioni europee (quantunque queste siano, tra tutte le tipologie di elezioni, le più “assimilabili” alle elezioni politiche); ma anche, e soprattutto, perché ignorano le conseguenze sul piano dell’offerta partitica che produrrebbe l’approvazione del referendum elettorale.

Abbiamo già considerato diversi scenari, considerando questa variabile, quando abbiamo applicato il guzzettum alle Politiche 2008; consideriamo ora il caso, oggettivamente più probabile, in cui invece di andare separati il Partito Democratico e Italia dei Valori formano una lista unica, e riconsideriamo i risultati sommando “brutalmente” i voti ottenuti da questi due partiti alle europee.

Per la Camera dei Deputati, non cambierebbe nulla perché PD + IDV non supererebbero comunque il risultato del PDL (34,1% contro 35,3%).

Per il Senato, invece, cambierebbe molto perché in diverse regioni il premio di maggioranza andrebbe al “Partito democratico dei valori” (come abbiamo definito, con sprezzo del pericolo, questa ipotetica fusione), facendo sì che si ottenga questo scenario:

In questo caso vediamo come non solo il PDL non abbia la maggioranza, ma sia ben lontano dal raggiungere il 66% dei seggi, anche contando sull’appoggio di Lega e UDC.

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Possiamo dunque concludere che, se venisse approvato il referendum elettorale (e la legge non subisca alcuna successiva modifica), il rischio di una maggioranza costituzionale di un solo orientamento sia scongiurato? No, non possiamo. Ma possiamo certamente asserire che la modifica referendaria della legge elettorale non espone automaticamente il Paese ad un rischio simile, e che questo rischio deriva invece da altri fattori, in primo luogo le scelte dei partiti su come rispondere alla nuova legge elettorale, ma soprattutto il rapporto di forza tra le varie liste che è in mano alle scelte degli elettori.

Salvatore Borghese