GOP: le ragioni della sconfitta, la chiave per il futuro

That’s it. Barack Obama ha vinto le elezioni presidenziali e governerà l’America per altri quattro anni.

Non è un mistero come le mie speranze fossero differenti. Credevo, e tuttora penso, che Mitt Romney rappresentasse una scelta migliore per gli Stati Uniti, che potesse portare una ventata di novità sul panorama politico Americano.

Ma questo non è, e non può essere, il tempo delle recriminazioni. Il Presidente in carica ha giocato, ha rispettato le regole ed è uscito vincitore da questa lunga (ma leale) battaglia, e a lui vanno i complimenti e gli auguri di buon lavoro da parte di tutti, democratici o repubblicani che siano.

Quattro anni fa il senatore John McCain, in un’altra triste notte per il partito Repubblicano, affermava: “Barack Obama è ora il Presidente degli Stati Uniti d’America, ed è anche il mio Presidente”. Quelle parole non potrebbero essere più attuali.

Questo è invece il tempo in cui il partito repubblicano dovrebbe fermarsi a riflettere. Non bisogna limitarsi nell’analizzare una sconfitta (la seconda consecutiva in una elezione presidenziale), per quella che è. Bisogna andare a fondo e capire il perché questo sia avvenuto.

Mitt Romney ha sicuramente fatto alcuni errori; la scelta di Paul Ryan come candidato vicepresidente non si è rivelata ottimale (basti guardare al margine in Wisconsin, o alla sconfitta sul filo in Florida) e alcune “gaffe”, in particolare quelle su Detroit o il 47%, gli sono costate care; ma la colpa non è unicamente sua. Molti commentatori di destra, da Rush Limbaugh a Sean Hannity, si stanno affrettando a dire come l’unico motivo per cui il GOP non ha vinto questa elezione è il non aver nominato un vero conservatore.  E lo stesso delirante commento è arrivato da Sarah Palin, forse non ancora soddisfatta per i guai causati al partito nel 2008.

Mai cosa potrebbe essere più falsa.

Il partito repubblicano ha perso perché è lentamente scivolato fuori dal “mainstream” popolare, così impegnato nella corsa a chi era più conservatore che si è dimenticato che le elezioni si vincono fra i moderati. La smania del tea party di sconfiggere i falsi conservatori ha effetto non solo sul Congresso, ma anche sulle elezioni presidenziali.

Basterebbe vedere i risultati di ieri sera in alcune delle sfide più sentite per Camera e Senato. Richard Mourdock, che aveva sconfitto il senatore moderato Richard Lugar nelle primarie di partito, ha consegnato al partito democratico il seggio senatoriale dell’Indiana, un tempo considerato sicuro. Todd Akin, l’estremista evangelico che sfidava l’impopolare senatrice Claire McCaskill, è stato sconfitto con un margine di ben 13 punti percentuali. E che dire invece di Allen West, eroe dei tea party, a cui è stato negato un secondo mandato alla Camera dai cittadini della Florida o della risicatissima vittoria di Michele Bachmann, ex candidata alle presidenziali, che ha sconfitto l’avversario democratico di soli 4.000 voti su 350.000?

Credono davvero Limbaugh, Hannity e la Palin che questi siano tutti segnali di come l’America voglia dei veri conservatori? O sono invece una sonora lezione al tea party che, così stando le cose, farebbe meglio a sparire dalle scene politiche consentendo una volta per tutte al GOP di avviare quel processo di rinnovamento così disperatamente necessario?

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Ma torniamo solo per un momento alle elezioni presidenziali. Molto, troppo spesso ci si limita a guardare il risultato dell’electoral college senza analizzarne le trendlines. Se è vero che Mitt Romney ha migliorato lo “standing” repubblicano in molti Stati, soprattutto nel midwest, è altrettanto vero che i risultati demografici dovrebbero far preoccupare, e non poco, Rence Preibus e l’establishment repubblicano.

Mentre Mitt Romney ha difatti vinto, con una maggioranza considerevole, il voto degli anziani e degli uomini caucasici, ha anche perso con percentuali bulgare le minoranze e l’elettorato giovane.

Barack Obama conquista il 95% del voto afroamericano, supera il 70% del voto asiatico e di quello ispanico, raggiunge il 60% fra la popolazione giovane, fra i 18 e i 29 anni. E’ mai possibile che il GOP si arrenda, senza nemmeno combattere, per la conquista di queste categorie?

Jeb Bush, ex governatore della Florida, ha detto ieri sera commentando i risultati che arrivavano dal suo stato: “se il partito repubblicano rinuncia ai giovani, rinuncia agli ispanici e alle minoranze non solo perderà la Florida, ma nel 2016 anche il Texas sarà uno stato blu, democratico”. Potrebbe essere pessimista sulle tempistica ma esiste davvero qualcuno, a parte la Palin e i suoi soci del tea party, che ci sia qualche possibilità di vincere in futuro “regalando” interi segmenti della popolazione al partito democratico?

Solo per fare un esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, potrei dire di come il voto ispanico deciderà, in un futuro non troppo lontano, non solo in Texas ma anche in altri stati che fino a poco tempo fa era solidamente repubblicani quali Arizona, Nevada e Colorado, mentre il New Mexico è già perso (nonostante venne vinto da Bush nel 2004). Il voto afroamericano invece è risultato decisivo in Pennsylvania e Ohio (il margine di Obama viene da due sole contee: Cuyahoga County – dove sorge la città di Cleveland – in Ohio, e Philadelphia County – dal nome dell’omonima città – in Pennsylvania), e presto potrebbe esserlo in Georgia, North Carolina, South Carolina e forse anche in Alabama e Mississippi.

Eppure al GOP le risorse non mancano: Michael Steele, ex presidente del partito, è afroamericano così come Tim Scott, deputato della South Carolina. Per non parlare di illustri “latinos” come Susana Martinez, governatrice del New Mexico, Marco Rubio, senatore della Florida, o Brian Sandoval, governatore del Nevada.

Per farla breve, il partito repubblicano è sulla cattiva strada. Sarà in grado di rendersene conto?

Se reagiranno in maniera costruttiva, cercando di capire le vere ragioni della sconfitta e cercando di risolverle, allora forse il GOP avrà un futuro. Se invece reagiranno in modo ostile, avvolgendosi sempre più nella spirale dell’estremismo e dell’ignoranza e stupidità politica rappresentati dai tea party o dagli evangelici alla Akin o Mourdock, saremo testimoni di una nuova era di vittorie per il partito democratico che durerà anni, se non decenni.

Disse un famoso nero americano di fede repubblicana: “nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa”. Firmato: Martin Luther King Jr.