Four more years, la nuova squadra di Barack Obama

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Turnover alla Casa Bianca. Dopo neanche 48 ore dalla storica riconferma per un secondo mandato, Barack Obama si trova a dover affrontare le annunciate dimissioni di buona parte della sua squadre di governo.

Pochi minuti dopo l’annuncio della vittoria del Presidente contro Mitt Romney, la segreteria di stato ha confermato con un comunicato ufficiale la decisione di Hillary Clinton di lasciare l’incarico di “ministro degli esteri”. Sono passate poche ore e la stessa decisione è stata comunicata dal ministro del tesoro Timothy Geithner, ex presidente della FED di new York, fortemente criticato dal partito repubblicano e non solo per la sua gestione della crisi finanziaria.

Se le dimissioni ufficiali sono solo due, molte sono le voci che si rincorrono in queste ore su quali altri ministri sarebbero pronti a lasciare il loro posto. Sembra sicura la rinuncia da parte di Steven Chu, stimato premio Nobel per la fisica e ministro per l’energia, tanto voluto da Barack Obama nel 2008. Chu pagherebbe la sua “disgraziata” decisione di investire soldi pubblici nell’azienda di energie rinnovabili Solyndra. Fu proprio il fallimento dell’azienda a mettere in pericolo le chance di rielezione del Presidente, non più di dieci mesi fa.

Sembrano già firmate le dimissioni di una serie di altri ministri da Eric Holder, attorney general e ministro della giustizia, a Janet Napolitano ministro della sicurezza interna, la quale sembrerebbe intenzionata a ritornare in Arizona, stato della quale è stata governatrice, per sfidare John McCain per il suo seggio al Senato nel 2016.

Non sembra essere intenzionato a continuare neanche il ministro dell’Interno Ken Salazar, ispanico molto stimato da entrambi i partiti, il quale sembra voler tornare in Colorado per accettare un incarico in una azienda privata e prendersi cura del suo nipote autistico. E non è da escludere nemmeno un’altra illustra rinuncia, quella di Leon Panetta al Pentagono che sembra essere stufo di fare il pendolare fra Washington e la California, dove ancora risiede.

Davanti ad una così lunga lista di ministri in partenza, Barack Obama dovrà inevitabilmente e rapidamente chiedersi chi potrebbero essere i loro successori ed alcuni nomi già circolano fra gli “insider” e i lobbisti a Washington D.C.

Partendo dalla segreteria di stato sembra che a sostituire Hillary Clinton possa essere colui che era stato ad un passo dalla nomina nel 2008: il senatore del Massachusetts ed ex candidato presidente del partito democratico contro George W. Bush, John Kerry. Dalla sua parte sicuramente il ruolo importante giocato in campagna elettorale, dove ha interpretato il ruolo di Mitt Romney nella preparazione per i dibattiti presidenziali. Tuttavia, la paura degli strateghi del partito democratico è che la sua nomina, e successiva rinuncia al seggio senatoriale del Massachusetts, possa spalancare nuovamente le porte di Capitol Hill a Scott Brown, recentemente sconfitto nel suo “re-election bid” dall’eroina liberal Elizabeth Warren.

L’altro nome “sussurrato” per Foggy Bottom sarebbe quello dell’ambasciatrice alle Nazioni Unite, afroamericana molto stimata dal Presidente, Susan Rice. Mentre Kerry però potrebbe essere facilmente confermato in Senato anche grazie all’appoggio dell’ala più moderata del partito repubblicano, lo stesso non si può dire della Rice, la quale è vista dal GOP e dall’opinione pubblica come la principale responsabile della débâcle di Bengasi. Cosa deciderà Barack Obama? La linea del dialogo con l’opposizione nominando Kerry, o il muro contro muro preferendogli la Rice?

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A sostituire Tim Geithner al ministero del tesoro sembra poter essere invece Jacob Lew, ex direttore dell’ufficio di management e budget della casa bianca fra il 2010 e il 2012 e recentemente nominato “chief of staff” del presidente. Lew sembra talmente favorito che sono pochi i nomi alternativi proposti per una posizione tanto importante; l’unico outsider che potrebbe avere una chance sembra essere Erskine Bowles, già chief of staff del Presidente Clinton. Notevole è però il pressing da parte di alcuni strateghi di Obama, da David Axelrod a Rahm Emmanuel, che a Lew e Bowles preferirebbero un CEO di una importante azienda privata come Larry Flink di BlackRock, Tony James di Blackstone, David Cote di Honeywell o addirittura Eric Schimdt di Google.

Se Eric Holder decidesse davvero di rinunciare al suo posto da Attorney General, pressato anche dall’attuale indagine della commissione d’inchiesta del congresso sulle suo azioni legate allo scandalo “Hit&Run”, a sostituirlo potrebbe essere l’attuale governatore del Massachusetts Deval Patrick, afroamericano già vice ministro della giustizia con Clinton. Se però Kerry dovesse ottenere il posto alla segreteria di stato, difficilmente Patrick verrebbe nominato, altrimenti i democratici non troverebbero chi candidare contro Brown nell’elezione per il Senato. Nomi alternativi sarebbero quello del senatore di Rhode Island Sheldon Whitehouse o del procuratore di New York South Preet Bharara, giovane e di origini indiane.

La staffetta con Panetta al Pentagono potrebbe invece essere a vantaggio di Jack Reed, altro senatore del Rhode Island da sempre indicato come possibile ministro della Difesa. Tuttavia sembrerebbe che Reed dovrà rinunciare anche stavolta; Obama gli preferirebbe infatti un repubblicano moderato: l’ex senatore del Nebraska Chuck Hagel. All’interno dell’amministrazione però , sono in molti coloro che premono per avere la prima donna al ministero della difesa: Michele Flournoy, attualmente sottosegretario di Panetta. E gira ancora il nome dell’ex generale David Petraeus che però , pur avendo accettato la nomina a capo della CIA, rimane pur sempre un repubblicano fedele al proprio partito.

Il giudice Merrick Garland della corte d’appello di Washington D.C. sembrava essere il favorito di Obama per la corte Suprema quando, all’ultimo momento, gli venne preferita l’ex Dean di Harvard Elena Kagan. Barack Obama sembrerebbe voler farsi perdonare offrendogli il ministero per la sicurezza interna, ora di Janet Napolitano.

Infine, il ministero dell’Interno, dove a sostituire Salazar sarà sicuramente un “uomo del West”. Guidano la lista dei papabili il governatore del Montana Schweitzer, l’ex governatore del Wyoming Dave Freudenthal, l’ex senatore del North Dakota Byron Dorgan e, come unica donna, l’attuale governatrice di Washington Christine Gregoire.

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Chiudiamo chiedendoci, chi servirà Barack Obama anche in questo secondo mandato?

Storicamente sono pochi i ministri riconfermati dai presidenti rieletti; nell’esecutivo di George W. Bush per esempio l’unico ministro a restare in carica per otto anni fu il ministro del lavoro Elaine Chao. E sembra essere proprio il suo successore in quella carica, la ministro Hilda Solis, una delle poche riconferme.

Sicura di rimanere è anche Kathleen Sebelius, ministro della sanità protagonista del dibattito su “Obamacare”. Dovrà predisporre tutti i decreti attuativi, e gestire la transizione per l’entrata in vigore della riforma nel 2014; ma soprattutto proprio Obamacare le ha sbarrato la strada per la carriera che più avrebbe desiderato. L’ex governatrice del Kansas non ha mai nascosto la sua ambizione di rappresentare il “Sunflower State” al Senato ma ora, dopo aver dato appoggio incondizionato alla legge più controversa del Presidente, chi mai la voterebbe in quello stato così profondamente repubblicano?

Rimarranno al suo posto anche Shaun Donovan, ministro dei lavori pubblici e dell’edilizia e soprattutto Arne Duncan, amico d’infanzia di Obama, ministro dell’Istruzione ma, più di ogni altra cosa, giocatore di basket nelle regolari partite del giovedì col Presidente nei sotterranei della Casa Bianca.

Le “dodici fatiche” di Barack Obama iniziano oggi, e saranno proprio le sue prime nomine ad indicare quale sarà il suo approccio nei confronti dell’opposizione repubblicana. Uomo del dialogo o fonte di conflitto?