Verso le elezioni in Catalogna. Uscire dalla crisi o uscire dalla Spagna?

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Verso le elezioni in Catalogna. Uscire dalla crisi o uscire dalla Spagna?

 

Barcelona, una capitale mondiale

Ricordo la prima volta che ho visitato Barcelona. Avevo appena 18 anni, era una città viva che pulsava futuro e speranza. Allora, era il 2005, ci vivevano 40000 italiani. La disoccupazione era un fenomeno assolutamente marginale. Non era frizionale ma poco ci mancava. Barcelona era un porto per migliaia di studenti Erasmus pronti a vivere i mesi più belli della loro vita in una città aperta al mondo.
Nel giro di un anno e mezzo ci tornai 5 volte. L’ultima volta mi vidi con un amico di Bologna che mi accolse chiedendomi se sentivo profumo di socialismo. Io sinceramente sentivo profumo di patatine fritte del McDonalds, ma poco importa. Nel 2005 la Catalogna era effettivamente governata dal tripartit PSC-ERC-ICV, una coalizione di sinistra guidata dalla sezione catalana del PSOE, che nello stesso momento governava anche a livello nazionale.

Barcelona, oggi

Non torno a Barcelona da ormai 3 anni. Nel frattempo, in questo periodo, ho visitato altre 15 città spagnole. Ma a Barcelona non sono tornato. Ho paura di vedere una città diversa. Ho paura di andare in una città nuova. Una città che non rappresenta più, per me, speranza di evasione, uno scoglio prossimo chiamato futuro. Barcelona, da tempo, rappresenta un altro punto della grande depressione europea. Un punto più malinconico, perché immerso nel mare della festa, della gioia e della spensieratezza che rappresenta il popolo spagnolo e chiunque sappia farsi travolgere dallo spirito di quella bella gente.

 

Direzione indipendenza?

Ma dove sta andando la Catalogna? Considerando il milione e mezzo (su 7) di cittadini che sono scesi in piazza nel giorno della Diada, la festa nazionale catalana, la direzione potrebbe apparire tracciata. Credo, invece, che quella manifestazione sia stata il momento di orgoglio del nazionalismo catalano ma che esista e si stia strutturando sempre più concretamente un antitetico movimento che desidera distanziarsi dalle ipotesi indipendentiste.
Ma chi sono gli indipendentisti catalani? Nell’ambito di chi si definisce indipendentista o “soberanista” o “catalanista” ci sono movimenti diversi con programmi anche molto diversi e con posizioni ideologiche profondamente diverse. Nell’ambito conservatore troviamo il partito di governo attuale, Convergencia i Unió, che in realtá sono 2 partiti (Convergencia Democratica de Catalunya e Unió Democratica de Catalunya) di cui uno è diventato indipendentista (CDC) mentre l’altro non lo è (UDC). CiU è anche il partito che ha governato ininterrottamente la Catalogna dal 1980 2003 e la governa di nuovo dal 2011. A sinistra, invece, abbiamo un partito ardentemente a favore dell’indipendenza (ERC, Esquerra Republicana de Catalunya) mentre gli altri 2 soci del vecchio tripartit hanno delle correnti indipendentiste, piú strutturate in ICV e minoritarie nel PSC.

Elezioni anticipate

Artur Más, l’attuale Presidente della Generalitat, ha convocato elezioni anticipate il 25 settembre, fissandole per il 25 di novembre. Una scelta dovuta, secondo quasi tutti i commentatori, al tentativo di conquistare una maggioranza assoluta nel Parlament, puntando tutto sul referendum per l’indipendenza. Sulle ali della grande manifestazione della Diada di cui si è detto sopra, il tentativo dell’attuale presidente è quello di concentrare l’attenzione dei cittadini sul tema dell’indipendenza evitando che ci si concentri sulle pesanti misure di austerity che anche il suo governo regionale ha messo in campo.


Proprio per questo l’intera campagna elettorale si è giocata sul tema della nazione catalana, sulle modalità e possibilità di un referendum (impossibile stante la Costituzione spagnola vigente), sulle conseguenze di una possibile indipendenza. CiU, se vogliamo dirla tutta, ha già conquistato il primo successo, definendo ed impostando l’intera campagna.
Nei sondaggi elettorali che si sono succeduti  è evidente come CiU sia molto vicina alla maggioranza assoluta ma si nota anche come paia in crescita anche il PPC, il più strenuo difensore della tesi dell’unità spagnola, ERC, il partito più indipendentista e Ciutadans, un partito di centro-sinistra molto simile alle posizioni di UPyD in ambito nazionale spagnolo e che è strenuo oppositore delle tesi indipendentiste. In altre parole – stando ai sondaggi politici – la vera frattura che determinerà il voto di queste elezioni è quella tra indipendentismo e “costituzionalismo” spagnolo.

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Il disastro socialista metafora della crisi?

Nel mezzo c’è il PSC, un partito capace di raccogliere 4 anni fa, alle elezioni politiche nazionali, piú del 40% nella regione catalana. Oggi secondo i sondaggi è sotto il 15%. Annichilito da una posizione non chiara sul tema dell’indipendenza, con la proposta del PSOE nazionale di uno stato federale che non funziona in un’epoca di radicalismo. Distrutto dalla situazione disastrosa del PSOE a livello nazionale, travolto nelle elezioni galiziane e basche (300.000 voti in meno) e con un leader, Rubalcaba, insultato dai propri militanti su twitter un giorno sì e l’altro pure.

Spappolato da lotte intestine che vengono dall’epoca degli 8 anni di governo quando fu incapace di gestire una coalizione rissosa con due soci fortemente spostati a sinistra. Infine, non credibile agli occhi di molti catalani per le politiche del governo nazionale di Zapatero: il fatto che i socialisti non abbiano saputo gestire la crisi ed abbiano invece avvallato politiche neoliberiste, di fatto contraendo la domanda interna e favorendo l’aumento di una disoccupazione che non si vedeva dai tempi della guerra civile, è una spina nel fianco per un partito che deve ritrovare la propria identità, probabilmente facendo un tuffo di umiltà.
C’è, quindi, un sicuro sconfitto: il PSC. Questo potrebbe portare alle dimissioni di Rubalcaba ed ad un Congresso anticipato del PSOE.

Uscire?

Ma la domanda che sorge spontanea, considerato tutto quanto sopra, è: la Catalogna ha bisogno di uscire dalla crisi o dalla Spagna? La sensazione, ma saranno i posteri a giudicare, è che questa campagna sia un esempio da manuale di come confondere un popolo, facendo dimenticare la fame (o la disoccupazione) inventando un nemico esterno (o, in un certo senso, interno). La Spagna è quella che ci ruba il pane. Non un modello di sviluppo sbagliato  avvallato anche dai partiti catalano (e soprattutto dal partito, CiU). Non la crisi europea. Non la speculazione edilizia. Non le banche che sfrattano le famiglie di nuovi disoccupati che non pagano il mutuo (di questo ne parleremo presto perché in Spagna sta diventando il tema centrale del dibattito pubblico, e giustamente data la vastità del fenomeno). Il problema è la Spagna.

Barcellona potrà tornare ad essere una porta sul mondo, ricca di lavoro, speranza e futuro. Anche votando sì ad un referendum sull’indipendenza, ma magari non oggi, magari in un momento in cui non ci sia la retorica patriottarda utilizzata come scusa per l’incapacità (anche del governo regionale) di governare la crisi.
Scegliere se essere indipendenti deve essere una scelta basata sull’identità, non una scelta di egoismo o di risentimento verso il vicino.