Politica in TV: informazione o propaganda? Un’introduzione.

Politica in TV: informazione o propaganda? Un’introduzione.

 

Nella scorsa puntata abbiamo visto che il principale mezzo che gli italiani usano per informarsi è la televisione. Già solo questo dato, ovvero la presa che il mezzo riesce ad avere su grandi masse di persone, potrebbe portarci a concludere quel che è ovvio: la televisione è uno strumento potente.

Lo è per una grande quantità di ragioni. Una televisione è un oggetto relativamente economico al giorno d’oggi (lo è comunque sempre stato, se escludiamo i suoi primordi): è quindi popolare. Offre, fra le tante cose, programmi di intrattenimento e occasioni di rilassamento: è quindi divertente. E’ creato e gestito per raggiungere la più vasta platea possibile; rifugge il concetto di “nicchia”. E’ dunque quel che si definisce un media generalista. Il consumatore finale non ha la possibilità di scegliere “la merce”, ovvero i programmi: può al massimo scegliere il “negozio”, il canale. E tutti gli spettatori sintonizzati nello stesso momento sullo stesso canale riceveranno lo stesso identico servizio.

La potenza del mezzo televisivo sta nella sua caratteristica unica: la televisione è un mezzo per tutti perché è l’unico che non necessita di decodificazione. Essa infatti recapita allo spettatore un insieme di immagini, non di concetti; e l’immagine è un oggetto an-alfabetico, ovvero non è in codice. Cerchiamo di capire meglio questo punto: per vedere, e anche per apprezzare, una fotografia, o un dipinto, insomma l’arte figurativa in genere, non serve saper leggere. Questo è evidente, eppure è un punto fondamentale che è importante ribadire: poi, certo, potrà entrare in gioco il livello culturale dello spettatore, la sua conoscenza dell’artista e della sua storia: ma resta il fatto che, al di la dell’effettiva comprensione dell’opera, non ci sono barriere fra un qualsiasi individuo e il dipinto da lui osservato. L’immagine è dunque molto diversa dalla parola scritta ad esempio, perché quest’ultima necessita di un processo razionale, mentale dunque, di decodificazione anche solo per la comprensione del testo. Per dire: se io non so leggere, io non posso leggere. Se io so leggere, posso leggere, ma posso anche sbagliare, non capire, devo comunque interpretare e immaginare ciò che leggo. D’altronde, nei processi la massima prova testimoniale è quella del testimone oculare proprio per questo, perchè era li e ha visto. Non c’è, quindi, il rischio che abbia capito male.

E’ banale osservare quanto tutto questo sia della massima rilevanza per la politica. Un politico che va in Tv trasmette agli spettatori ben oltre le sue idee o convinzioni. Attraverso la televisione viene trasmessa l’immagine complessiva del soggetto; non viene quindi presentata solo l’idea che ha il politico, un suo processo razionale su cui possiamo ragionare, ma il suo complessivo modello, l’ insieme delle sue immagini, suggestioni, comportamenti e modi di fare. Questo porta lo spettatore-cittadino-elettore a formulare un giudizio complessivo sulla persona del politico. Giovanni Sartori ha spiegato molto bene tutto ciò nel suo già richiamato saggio, “Homo Videns”.

Tuttavia queste osservazioni non hanno necessariamente conseguenze tragiche. Come tutte le macchine, la televisione è un mezzo: eventuali conseguenze dipendono solo dall’uso che se ne fa. Se si dispone di una informazione obiettiva, serena e libera, il fatto che essa divenga accessibile ad una grandissima platea di persone attraverso la televisione non è altro che una buona notizia. Ma vale lo stesso ragionamento che si fa per l’energia nucleare: è uno strumento versatile e potente che può essere usato con saggezza ed accortezza per la produzione di elettricità a basso costo, oppure per sterminare città ed esseri umani con la bomba atomica. Così, l’avere a disposizione un mezzo di comunicazione im-mediato, economico e senza barriere interpretative ha condotto nel corso della storia ad alcuni usi mirati e pericolosi.

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Benito Mussolini fece fondare l’istituto Luce (L’Unione della Cinematografia Educativa) subito dopo l’assassinio Matteotti, così da far imparare al popolo quali erano le regole del nuovo tempo che si preparava, e quale era l’unica Italia che tutti erano autorizzati a conoscere. Iniziò dunque una martellante campagna di cinegiornali propagandistici, trasmessi prima di ogni film; la televisione non esisteva ancora, ma già per il Duce la cinematografia era “l’arma più forte”. Alla stessa logica rispondono i cinegiornali di propaganda Nazista, e anche le produzioni della Russia Staliniana. In una di queste venne diffusa per tutta l’Unione Sovietica l’immagine di un colossale palazzo costruito in piena Mosca per celebrare la potenza della Rivoluzione Sovietica, con tanto di mastodontica statua di Lenin sul tetto: solo che il palazzo non esisteva, non fu mai portato a termine perché impossibile da costruire. Ma tutti lo videro ugualmente.

Eppure, è proprio recuperando alcune categorie… marxiste che giungeremmo alla conclusione che il mezzo televisivo, usato in modo distorto, è un potentissimo strumento di ideologia e di controllo delle masse, dunque di oppressione. E questo perché senza gli adatti strumenti critici e culturali, un cittadino-elettore non può intendere le cose diversamente da come gli vengono presentate: per riprendere la metafora del testimone oculare è come se, per mezzo delle immagini trasmesse, egli in ogni momento fosse li, davanti al fatto che si compie, davanti alla persona che parla. La vede muoversi, parlare, dichiarare: non c’è più bisogno, in apparenza, di nessun filtro o mediazione. A questo proposito Marshall McLuhan, il sociologo capofila della “Scuola di Toronto” che sul tema ha scritto pagine più che fondamentali, ebbe a dire che “ la televisione porta la brutalità della guerra nel comfort del salotto. Il Vietnam è stato perduto nei salotti d’America, non sui campi di battaglia del Vietnam.“

Anche Pier Paolo Pasolini, nel suo celebre intervento sulla civiltà dei consumi, conclude che la televisione è “uno strumento di potere e un potere essa stessa”, poiché è riuscita dove i fascismi avevano fallito, nella distruzione delle comunità particolari, dei rapporti umani, nell’asservimento dell’uomo al consumo e all’omologazione. Sebbene dunque influenzato dalla sua visione politica della realtà, il giudizio del più grande intellettuale della sinistra italiana sulla televisione è molto netto. Karl Popper (Cattiva maestra televisione) è ancora più lapidario: per fare televisione, dice, ci vorrebbe una patente specifica, così da evitare di fare danni.

Abbiamo poco fa accennato ad un elemento che riveste grande importanza all’interno della questione, ovvero quello degli strumenti critici e culturali a disposizione dello spettatore. Abbiamo inoltre sostenuto che l’immagine, essendo senza mediazione, non necessita di un approccio razionale ma si accontenta di uno emozionale: in realtà, la questione è più complicata. Lo stesso Sartori, che introduce la distinzione, chiarisce che questa è più una cattiva abitudine da non seguire che una regola matematica dall’applicazione automatica: è possibile, dunque, evitare un approccio acritico al mezzo televisivo. E in questo, la più grande parte della responsabilità sta nelle mani di chi la trasmissione televisiva la produce concretamente: andiamo allora ad approfondire questi aspetti. Dopo una veloce carrellata delle più eminenti opinioni in merito infatti il problema è chiarito a sufficienza nei suoi elementi teorici: rimane da vedere se e come esso si possa risolvere. Nel prossimo intervento cercheremo di approfondire alcune ipotetiche possibilità di intervento dal versante politico, culturale o giuridico.

di Tommaso Caldarelli, tratto dal suo blog personale.