Qualche insegnamento per Renzi da queste primarie

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Cosa ci insegnano queste elezioni primarie del centrosinistra del 25 novembre? Elementi quanto mai utili per capire cosa abbiamo vissuto nella giornata di domenica e come si arriverà al ballottaggio del 2 dicembre.

 

La partecipazione: la partecipazione popolare a queste primarie è stata senz’altro alta. In un periodo in cui dilaga il fenomeno dell’antipolitica (rappresentata plasticamente dal fenomeno Grillo e dal successo del Movimento 5 Stelle) e del populismo dilagante in Europa, l’Italia si è dimostrata terra della partecipazione sociale e politica. Da sempre l’Italia vede i suoi cittadini, nonostante alcuni stereotipi, interessarsi alla partecipazione politica e civile. Fattore evidente a partire dai dati dell’affluenza alle elezioni politiche nella storia della Repubblica. E anche in questo caso questa caratteristica si è fatta sentire tanto da risvegliare desideri di emulazione, probabilmente vani, in casa PdL.

C’è però anche da dire che la registrazione questa volta necessaria per poter voltare alle elezioni primarie ha svolto senz’altro un ruolo deterrente che presumibilmente ha allontanato parte dei cittadini alle urne. Per il Pd infatti hanno votato 3 milioni e cento mila persone. Un calo di oltre un milione rispetto all’unico caso comparabile, ovvero le elezioni primarie di coalizione del 2005. Se però consideriamo che quelle elezioni avevano un tasso di contendibilità nettamente inferiore rispetto a queste (Prodi allora vinse con oltre il 74% dei consensi) e che storicamente il tema della contendibilità della gara è fattore di maggior interesse tra la popolazione, possiamo notare come nonostante gli entusiasmi della mattina c’è stato un calo nella migliore delle ipotesi causato dalla contingenza politica ed economica. Nella peggiore deliberato.

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Il ruolo di Vendola: secondo alcuni opinionisti Nichi Vendola risulta essere il vero e proprio ago della bilancia per quanto concerne il secondo turno delle primarie. E non solo perché il suo 15% se sommato alla percentuale sia di Renzi sia di Bersani porterebbe i candidati al di sopra della maggioranza assoluta dei voti. Ma anche perché in questa situazione ci troviamo di fronte ad una platea elettorale ormai “chiusa” e incapace di espandersi per deliberata scelta regolamentare.

E’ scaduto infatti domenica 25 il termine ultimo per registrarsi a queste primarie. Di conseguenza, a meno qualche eccezione, la platea elettorale del secondo turno non potrà superare la quota 3 milioni e cento di domenica 25. Questo può consentire un ragionamento a tratti “alchimistico” delle dinamiche elettorali, coi candidati desiderosi di conquistare veri e propri “pacchetti di voti”, patrimonio dei candidati eliminati al primo turno, quasi fossero una realtà monolitica (del resto già si parla di dialoghi tra Bersani e Vendola).

Nonostante questo gioco di sommatorie rischi di danneggiare Renzi, il sindaco di Firenze non deve considerare come irrimediabilmente persi i voti vendoliani. Vi è infatti in quel, 15% un elettorato giovanile che potrebbe riconoscersi maggiormente, per paradosso, nel sindaco di Firenze che nel segretario del Pd. Stesso discorso per chi ha votato Vendola per motivi a tratti di puro attacco al “sistema dei partiti”. Al tempo stesso Renzi farebbe bene ad utilizzare in questa ultima settimana di campagna elettorale il tema del rifiuto dell’alleanza con l’Udc per veicolare su di séquegli elettori di Vendola che non sopporterebbero proprio un asse con Casini.

– La querelle sui dati e sull’affluenza: il quartier generale renziano sostiene di aver dati diversi rispetto a quelli nazionali. Dunque lo scarto tra Bersani e Renzi sarebbe minore rispetto all’8.8% ufficiale. Affermazioni che non trovano riscontri. Al tempo stesso nel corso della giornata di domenica lo stesso staff renziano ha ventilato l’ipotesi di un’affluenza superiore ai quattro milioni. Anche questo dato non ha ottenuto riscontri.

Che conclusione politica trarne: che quando hai il partito contro, sopratutto in questa fase, molto spesso se ne trae giovamento. Ma molto spesso per disporre di un personale politico e tecnico di un certo livello, per evitare situazioni del genere, occorre più che porsi come il candidato “al di fuori” del partito come il candidato di “parte del partito”. Ovvero come quella parte del Pd che rigetta la linea della segreteria Bersani. Altrimenti la mancanza di professionismo politico rischia di ritorcersi contro…

Il voto nelle regioni: nel suo discorso di commento al voto, Matteo Renzi ha evidenziato come la sua candidatura si sia affermata in alcune regioni e comuni rossi, dove secondo logica avrebbe dovuto trionfare l’apparato o comunque il segretario del maggior partito del centrosinistra.

Il dato però in realtà nasconde due aspetti. Uno negativo e uno positivo.

Quello positivo pone il tema della “continuità” di Renzi nei confronti dell’esperienza del Pd.

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Alcuni supporter a livello nazionale del sindaco considerano la proposta politica di Renzi quella più in continuità con lo spirito che spinse Ds, Margherita e partiti minori ad abbandonare le casacche del passato per dar vita ad un nuovo e rinnovato soggetto politico. Col consenso in zone a subcultura rossa Renzi può rivendicare il fatto che parte della tradizione della sinistra italiana sostiene lo spirito gradualista e continuista della vicenda politica della sinistra italiana. Mentre Bersani per queste persone  rappresenterebbe una regressione se non un vero e proprio passo indietro di stampo massimalista.

In secondo luogo però il rivendicare con orgoglio la vittoria in zone rosse rischia di cristallizzare Renzi su posizioni politiche e amministrative immobili se non stagnanti. Con la scusa che le “zone dove si vince sempre mi hanno premiato”.

La forza di Renzi invece risiede nel ribaltamento totale di questo paradigma. E il sindaco fiorentino può rappresentare il prototipo di quell’amministratore locale di centrosinistra che però si rifiuta di fissarsi sulle posizioni precedentemente prese da tutti i suoi predecessori, sforzandosi di riempire di contenuti nuovi l’efficiente macchina amministrativa che consenta alla sinistra di vincere in quelle zone. Per fornire ai suoi cittadini non solo la buona amministrazione, ma anche il sogno.

In questo senso appare quanto mai positivo per il sindaco di Firenze, giusto per fare un esempio, il fatto che Renzi abbia nella sua città il Partito Democratico fiorentino contro e schierato nettamente con Bersani.

Il Pd tradizionale – in questa rappresentazione – incarna la linea politica e amministrativa classica, Renzi la attualizza sempre all’insegna del progressismo italiano e in questo modo consente alla “tradizione” di non diventare “oppressione”, fornendo ai suoi cittadini sempre elementi nuovi per spingerli a gradire la sua attività politica.

In questo modo Renzi ha nettamente vinto in Toscana. In questo modo può vincere al ballottaggio.