Maestro tuttologo, maestro unico o maestro artigiano?

Sono un maestro di scuola elementare. Noi maestri della scuola elementare abbiamo fatto e facciamo veramente di tutto. Il Tempo Pieno poi è sempre stato il bacino preferenziale per le attività più creative. Con tutte quelle ore a disposizione.

Talvolta mi soffermo a riflettere sul concetto di tempo. Innegabilmente, il restare a scuola 40 ore a settimana permette una pianificazione delle attività più rilassata e a misura di bambino.

Ma perché questo tempo mi pare sempre meno? Prima inevitabile risposta: lavoro da quasi trentanni, sono prima di tutto le mie energie ad essere diminuite. Le idee mi vengono ancora, anzi, forse migliori, ma è la fase di applicazione che difetta.

Ricordo un’intervista al regista Pieraccioni di qualche anno fa. Gli fu chiesto che lavoro avrebbe voluto fare da grande. La sua risposta mi piacque molto: rispose che avrebbe voluto fare o il regista, come di fatto è avvenuto, oppure il maestro, oppure il falegname. Perché? Perché tutti sono lavori artigianali.

Proprio così: mi sento un artigiano. La fase intellettuale del lavoro si svolge (quasi) tutta al di fuori delle ore di insegnamento. La testa, e non il corpo, studia, programma, corregge, valuta, trova soluzioni, compila documenti, propone screening, test, progetti…ma nelle mie ore con i bambini mi metto il grembiule. Mi rimbocco le maniche e sudo.

Avete mai visto una classe elementare lavorare in palestra, in aula di musica, o alle prese con un’attività di immagine che preveda tecniche come collage, tempere e pennelli o creta? Non occorre nemmeno pensare alle cose più strane. Anche costruire tutti insieme un testo collettivo (cosa che si fa per esempio in seconda per imparare a scrivere un tema) è davvero fisicamente faticoso.

Allora, come dicevo, mettiamoci l’età che avanza e aggiungiamo le classi sempre più numerose, l’assenza delle compresenze e quell’altra bella trovata del maestro unico (ovvero il ritorno di un unico maestro per classe, come quando eravamo piccoli noi). Per capire il senso di questo concetto bisogna proprio sprecare qualche parola.

Con la Riforma Gelmini è girato di bocca in bocca questo termine, accompagnato da un bel grado di confusione. Ora la confusione non poteva che esserci, visto soprattutto che l’applicazione della nuova norma è stata necessariamente lasciata all’autonomia delle istituzioni scolastiche. Perché?

Ecco, la risposta non vi piacerà. Le strombazzate finalità parlavano della necessità per i bambini più piccoli e per le loro famiglie di avere punti di riferimento forti, un approdo sicuro, una maestra tutor che potesse accompagnare come un faro la formazione della piccola persona. Quando la Gelmini veniva intervistata su Raiuno a “Porta a Porta”, tutte quelle frasi fatte rotolavano dalla sua fronte a terra passando per la bocca come le bugie di “Giacomo di cristallo”.

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Lasciamo stare ora commenti troppo facili come per esempio: i bambini sono abituati al doppio organico già dalla scuola materna (già, ma anche, non è meglio avere 2 genitori, anziché uno?), il tempo pieno in ogni caso non potrebbe contare su un unico insegnante, pensa poi se quell’unico insegnante è una giovane donna che se ne sta tutto l’anno a casa in maternità oppure, sia mai, è proprio una persona che non piace.

Di fatto l’unico scopo era il taglio degli organici e qui arriviamo alla necessità di lasciare libertà di applicazione alle autonomie scolastiche. Infatti ogni dirigente scolastico ha dovuto fare i conti con un organico che diminuiva (tra l’altro progressivamente perciò rischiando cambiamenti troppo radicali l’anno successivo in qualche classe), con la necessità di togliere le compresenze alle classi. E soprattutto alle classi a tempo pieno dove erano di fatto più numerose e radicate, con la necessità di coprire le ore di lingua inglese con un utilizzo dell’organico completamente diverso da prima (non più con specialiste che insegnavano solo inglese in più classi, ma con specializzate che devono insegnare ‘anche’ inglese).

Il tutto condito con l’esigenza della continuità didattica, di evitare spezzettamenti di orario, di rendere gli orari fattibili evitando il più possibile i cosiddetti scavalchi (stesso insegnante in più scuole, deleterio per la qualità dell’insegnamento) e ultimo, anzi ultimissimo, di rispettare l’ormai affermata e comprovata specializzazione degli insegnanti nei diversi ambiti disciplinari

Già, perché intanto, a partire dalla riforma scolastica del 1990, i maestri così tanto tuttologi non lo sono più.

Con quella riforma di fatto si affermò un modo di lavorare che fino ad allora nella scuola elementare italiana era presente solo nel tempo pieno. Ogni insegnante prende un ambito disciplinare formato da più materie affini tra loro e insegna solo quelle. Le classi non a tempo pieno erano quindi abbinate due per volta (i cosiddetti moduli) e sulle due classi lavoravano tre insegnanti: uno per l’ambito linguistico-espressivo, un secondo per l’ambito logico-matematico e il terzo per l’ambito antropologico.

Si inserivano poi nelle classi: specialista di inglese e insegnante di religione. Nel tempo pieno le insegnanti rimanevano due, con un numero maggiore di materie di insegnamento a testa. Tutte le ore in eccedenza, andavano a formare il monte ore compresenze.

Rimane sempre vero che quando un maestro deve o vuole cambiare sede di lavoro deve accettare qualsiasi materia o ambito gli venga proposto, però è sempre stato cura e anche interesse dei dirigenti “accontentare” l’insegnante nella scelta per garantire un migliore servizio. Ora invece i criteri con cui devono essere assegnati i posti, non possono più badare a queste sottigliezze (anche qui però la sensibilità dei dirigenti riesce ancora a fare la differenza)

 

Maestro onnisciente come Leonardo? Vogliamo ricapitolare quindi i motivi per cui il tempo non è più lo stesso tempo di prima?

Prima due insegnanti (per una classe del tempo pieno) o tre (per due classi del modulo) parimenti presenti nella classe e assolutamente corresponsabili gestivano insieme il gruppo di bambini, con un numero di ore di compresenza variabile da 6 a 9 nella settimana, con assoluta parità dei carichi di materie e di turnazione oraria tra mattine e pomeriggi. Ora invece, con l’introduzione del cosiddetto maestro unico, capovolgete tutto.

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Pensate a un insegnante prevalente che insegna un numero aumentato di materie, ma con la necessità di assumere la turnazione peggiore con maggior numero di pomeriggi (ovvero meno mattine, ovvero meno ore ‘produttive’).

Un secondo insegnante che deve entrare in diverse classi assumendo un orario tipo “Scuola Media” per andare a insegnare le diverse materie ‘mancanti’ (può capitare italiano in prima, matematica in quinta), compresenze pressoché assenti e per le poche ore residue la presenza spesso di un terzo insegnante, la lingua inglese affidata a insegnanti che mai avevano scelto di insegnarla e che ammettono per primi di non essere in grado e aggiungiamo tutte le variabili che vogliamo riguardo spezzoni di orario da coprire dove necessario.

O tuttologo come al cabaret? Non so se sono stata chiara, ma se sentite un certo fastidio sappiate che è così che si sentono tutti i giorni, maestre e bambini.

Altro che insegnante unico: oggi, veramente, possiamo usare lo sprezzante termine tuttologo nella peggiore delle accezioni. In questa scuola, che non è più la scuola in cui mi riconosco, ma un tempo da coprire, cerchiamo comunque di proporre attività stimolanti per i bambini.

Perché una cosa è senz’altro vera. Il maestro sarà tornato tuttologo, come cinquanta anni fa, ma la società rimane complessa, anzi, lo diventa sempre di più, e una scuola all’altezza deve mantenere l’altissima professionalità acquisita lavorando in gruppo.

State comunque sereni, che le maestre della scuola italiana sono brave in tutto. Come le mamme.

Noi maestri artigiani la mattina partiamo con sega, pialla e martello dentro la nostra cartella. Ma cosa avete capito? Non abbiamo intenzione di piallarvi i figli. Gli attrezzi ci servono per tenere in piedi la scuola pubblica.