Obama vs Standard & Poor’s

usa 2010

Probabilmente si tratta della notizia più importante a livello economico tra quelle passate in secondo piano la scorsa settimana a causa della campagna elettorale italiana.

I nostri media hanno dedicato qualche titolo di rito, ma si tratta di un avvenimento più unico che raro: l’amministrazione Obama ha perpetrato una causa del valore di 5 miliardi di Dollari contro l’agenzia di rating Standard & Poor’s per aver scatenato la crisi dei mutui sub prime.

In maniera indiretta il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama accusa la più “blasonata” delle agenzie di aver dato il via a una vera e propria bolla che è deflagrata nell’attuale crisi.

Bisogna fare un passo indietro e capire che cosa significhi “mutuo sub prime“. Si tratta di prestiti ipotecari che vengono dati a soggetti che in passato hanno avuto una difficile storia di debitori. Si parla di persone che sono state insolventi o con un rapporto indebitamento/reddito troppo alto per poter accedere al credito a condizioni standard e per il quale è richiesto un tasso di interesse mediamente più alto del solito.

Nella prima metà degli anni 2000 negli Stati Uniti, la riduzione dei tassi di interesse voluta da Alan Greenspan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha aumentato molto velocemente la richiesta di immobili e molte banche hanno stabilito che, una volta saturato il mercato dei debitori “prime”, i più solvibili, avrebbero cominciato ad attaccare quello dei sub prime. Nonostante la loro probabilità di insolvenza risultasse nettamente più alta.

In quel periodo storico il mercato immobiliare era una vera miniera d’oro offrendo opportunità e guadagni non solo al settore edilizio, ma pure a quello del credito, assicurativo e a una schiera di mediatori creditizi che abbinavano vendite immobiliari con concessione di mutui.

Restava in essere il rischio di insolvenza che le banche avevano ben visto di trasferire su altri soggetti per mezzo delle cartolarizzazioni. Anche questo termine non è nulla di speciale e fa parte di una prassi che permette alle banche di cedere il credito a una seconda società in cambio di liquidità che quindi reinveste nel sistema. Purtroppo per gli Stati Uniti, gli introiti derivanti da cartolarizzazioni venivano a loro volte investiti in mutui sub prime e quindi ricartolarizzati.

Ma fino a qui tutto sarebbe stato normale se non che le società di cartolarizzazione, avendo in mano mutui con alto rischio di credito, hanno deciso di trasformarli in obbligazioni, ovvero, vendevano obbligazioni con sottostanti i mutui. Di fatto trasferivano a loro volta il rischio sugli obbligazionisti, incassando l’importo delle vendite di obbligazioni e speculando sul differenziale tra l’interesse che pagavano i mutuatari e il tasso riconosciuto ai sottoscrittori dei titoli.

Per evitare che il rischio si concentrasse solo su una tipologia di mutuo, le cartolarizzazioni sono state spacchettate per essere ricomposte differenziando a livello quasi infinitesimale i singoli mutui dentro di esse.

Una delle regole della finanza recita che la diversificazione degli asset porta a una riduzione del rischio perché riduce la correlazione tra gli stessi, peccato però che la base di tutto questo fossero i tassi di interesse. Iniziati a salire nel 2005 portando alle prime insolvenze all’inizio del 2007.

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Molti collegano la crisi dei mutui con il fallimento della società “Lehman Brothers”. Si tratta di un evento che ha segnato la fine della fase iniziale cominciata sui mercati nel luglio del 2007. La banca d’affari americana ha raggiunto il livello di default il 15 settembre 2008 in conseguenza a ciò che stava accadendo fin da oltre un anno. Si trattava infatti di un’emittente di quelle obbligazioni considerate assolutamente di qualità e derivanti dalle rimodulazioni di mutui cartolarizzati.

In tutto questo entra in gioco la società di rating Standard & Poor’s.

Questa società a capitale privato e partecipata da pezzi grossi della finanza mondiale era generalmente usata per dare giudizi al merito di credito delle aziende e qualsiasi emittente pubblico e privato.

Il cosiddetto rating è un giudizio sintetico che riassume la capacità di un emittente o un’emissione di far fronte ai propri debiti o obbligazioni, passando dal massimo livello di affidabilità definito con AAA fino alla situazione di default tecnico con la lettera D, nel mezzo una serie di sfumature (AA+, AA, AA-, A+ etc…) che permettono agli investitori di definire quali possano essere le probabilità di essere rimborsati.

Ebbene, alla luce dell’atomizzazione del rischio per mezzo di questa sorta di macedonia di mutui sub prime, Standard & Poor’s ha assegnato alle emissioni obbligazionarie derivanti un merito di credito massimo, ovvero AAA.

L’investitore medio, di fronte a una valutazione del genere era ovviamente più propenso a preferirla di fronte a altre emissioni.

La recente storia finanziaria racconta di come molte volte le società di rating (assieme a S&P ci sono anche Moody’s e Fitch) non siano state capaci di prevedere fallimenti eccellenti come Enron o l’italiana Parmalat, passando dal default dell’Argentina arrivando fino a Lehman Brothers che il venerdì prima del fallimento aveva un rating A- (più alto dell’attuale merito di credito delle emissioni italiane!).

L’accusa dell’amministrazione Obama nei confronti di S&P riguarda una certa leggerezza con cui è stato assegnata la AAA alle emissioni considerando che poi la stessa S&P aveva partecipazioni nelle società collocatrici e quindi un interesse in conflitto con le stesse.

Il segretario americano alla giustizia Eric Holder ha affermato che è stato richiesto un indennizzo di 5 miliardi di dollari, pari alla somma più alta mai chiesta in un procedimento civile negli Stati Uniti. Sembra che tra le 120 pagine depositate presso il Tribunale di Los Angeles sia citato anche un video girato da un dipendente della S&P dove, modificando il testo di una canzone di un famoso gruppo americano (i Talking Heads), e inserendo versi come “Attenzione! Il mercato immobiliare è fiacco, si sta raffreddando! La crisi del sub prime sta bollendo in pentola buttando giù la casa”.

L’impressione è che Obama, non avendo le armi sufficienti per regolamentare il mercato, ormai fuori da ogni logica finanziaria, può solo utilizzare questi mezzi per far rientrare le agenzie di rating in una ratio meno intrisa di conflitti di interessi e maggiormente votata a un vero e proprio servizio indipendente.

 

di Ivan Peotta