I sondaggi tengono banco nei Paesi scandinavi

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Nella settimana in cui nei sondaggi cresce il divario tra governo di centrodestra e opposizione di centrosinistra, il premier svedese Fredrik Reinfeldt prova a dare il via al tentativo di rimonta. Lo fa insieme ad Anders Borg, il ministro delle Finanze che in molti indicano come prossimo leader dei Moderati e futuro candidato premier per il centrodestra.

Ma l’avvicendamento alla guida del maggior partito conservatore di Svezia non è cosa immediata. Reinfeldt e Borg avevano già smentito questa ipotesi nelle scorse settimane e in questi giorni sono tornati a farli. Borg ha ribadito che il leader è Reinfeldt e che non c’è motivo di pensare che ne prenderà il posto. Intanto si allarga la forbice tra governo e opposizione. Il blocco di centrosinistra sfiora la maggioranza assoluta e si ferma al 49,7% (laburisti in crescita al 35%). L’Alleanza per la Svezia è invece al 40% (Moderati in calo al 27,3). Aumenta la distanza ma i numeri in fondo sono gli stessi da mesi. La novità è che, dopo settimane passate ad annunciare una riscossa, la maggioranza di governo sembra essere passata dalle parole ai fatti. E uno squillo di tromba arriva dai Moderati. In questi giorni il premier Reinfeldt ha toccato il tasto ‘sicurezza’: occorre un giro un giro di vite contro alcuni reati, furti compresi. Il tema sicurezza guadagna dunque posizioni nell’agenda dei Moderati. Ed è un tema sul quale, dice Reinfeldt, l’Alleanza vuole marciare compatta. Poi ci sono tasse ed economia. E qui a tracciare la rotta è stato Anders Borg: protezione dei conti pubblici svedesi e sgravi fiscali per i redditi medio-bassi, al contrario di ciò farebbe il centrosinistra, che secondo Borg finirebbe per alzare le tasse. Può partire da qui la rincorsa della coalizione di centrodestra, a caccia di uno storico terzo mandato consecutivo. Di certo il vertice di Maramö, a fine febbraio, non aveva dato nessuna spinta positiva. Anzi: le riunioni dei leader dei quattro partiti di maggioranza erano state bollate da molti commentatori come poco più di un barbecue tra amici.

Ma in questa a fare più sensazione sono stati i Democratici Svedesi, la più a destra delle forze politiche a Stoccolma. Lunedì pomeriggio i vertici del partito hanno espulso dodici membri ritenuti troppo vicini ad ambienti di estrema destra. Alla porta è stato messo pure Patrick Ehn, politico di spicco della contea di Västra Götaland, che non ha accolto bene la decisione. Continua così la campagna di pulizia dell’immagine del partito, la politica del ‘tolleranza zero’ voluta dal leader Jimmie Åkesson e lanciata lo scorso autunno. Cosa succederà ora? Ci sarà una scissione? Il segretario del partito, Björn Söder, non lo crede ma non esclude neppure che alcuni possano seguire Ehn.

Democratici Svedesi protagonisti a Stoccolma, Partito della Sinistra Socialista protagonista a Oslo. Nel corso del congresso di Lillestrøm, una delle tre gambe dell’attuale governo norvegese ha usato toni forti. L’obiettivo è guadagnare un posto al sole e raccogliere frutti alle elezioni di settembre, dove tutti i sondaggi indicano che a prevalere saranno i conservatori. E il rischio, per il Partito della Sinistra Socialista, è mancare la soglia di sbarramento del 4%. E così ecco da una parte le proposte, come incentivare la formazione degli insegnanti e trasporti il più ‘verdi’ possibile. Dall’altra le critiche agli avversari: un governo formato dalle due maggiori forze conservatrici, Destra e Partito del Progresso, sarebbe capace solo di avviare privatizzazioni selvagge e aumentare le diseguaglianze. Il nemico numero uno, dice il Partito della Sinistra Socialista, è proprio il Partito del Progresso. Siamo alle schermaglie iniziali di una campagna elettorale non ancora entrata ufficialmente nel vivo, ma che promette di essere molto accesa.

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Scenari diversi in Danimarca, dove lo scontro è tutto interno al governo guidato dai socialdemocratici. Le ultime decisioni prese dall’esecutivo non sono piaciute a tutti. Proteste da alcuni deputati laburisti, proteste dal Partito Popolare Socialista (che potrebbe non far parte del governo nell’ipotesi di una futura legislatura di centrosinistra) e proteste soprattutto dall’Alleanza Rosso-Verde che appoggia la premier Thorning-Schmidt dall’esterno.

Dopo la presentazione del ‘pacchetto crescita’ e l’ipotesi di inserire tagli ai comuni nel prossimo bilancio, tutti i pruriti dell’Alleanza Rosso-Verde sono esplosi. Se è vero che è rientrato (almeno per ora) lo spettro delle elezioni anticipate, i rapporti restano però tesissimi. Nelle prossime settimane l’Alleanza Rosso-Verde potrebbe chiedere ufficialmente al governo un segno di discontinuità. Per ora si tratta di parole che servono a tastare il terreno, a vedere le reazioni. Che, per la precisione, non sono concilianti: la premier ha dichiarato che la politica del governo non è di stampo conservatore ma è semplicemente la politica che si ritiene giusta (e così la pensano in effetti molti imprenditori, come raccontato dal Berlingske Tidende). Ancor più diretto il ministro delle Finanze Bjarne Corydon: il governo non ha intenzione di tornare sui propri passi, l’Alleanza Rosso-Verde decida cosa vuole politicamente. Che si può tradurre così: l’Alleanza Rosso-Verde decida se vuole far cadere il governo e consegnare il paese alla destra.

La destra sarà quasi certamente la vincitrice delle elezioni islandesi, in programma a fine aprile. Un risultato che secondo la maggior parte degli analisti potrebbe allontanare l’isola dall’Unione europea e dall’ipotesi di adozione della moneta unica. O forse no. L’agenzia Bloomberg martedì scorso ha riportato l’opinione di Össur Skarphéðinsson, attuale ministro degli Esteri: “Tutti i partiti politici islandesi hanno detto di voler prendere in considerazione l’adozione di un’altra moneta. Alcune delle soluzioni proposte sono un po’ bizzarre, come quella del dollaro canadese. Ma se parliamo seriamente, allora c’è un’unica strada ed è quella dell’euro”. Parole che vengono da un membro del partito socialdemocratico, che a Bruxelles guarda con fiducia. Ma sono anche parole che  semplificano al massimo una questione complessa: o si resta con la corona (con tutte le due debolezze) o si adotta l’euro (e le regole comunitarie). A Reykjavík si dovranno prendere decisioni importanti, nel prossimo futuro.