Il posto delle cose

Il posto delle cose

Molto spesso la politica è una dannata faccenda di collocazione. Per comprendere le reali dinamiche e i futuribili scenari di quella che senz’altro è “la politica più divertente del mondo” (record di cui andar fieri ma al tempo stesso marchio d’infamia) occorre molto spesso ripartire dalla condizioni preconcette e dalle reali idee sul campo che molto spesso si scontrano con la tattica e con la contingenza, tesa a favorire alleanze di convenienza o comunque innaturali.
Due piccoli esempi di questo elementare e forse scontato postulato sono giunti dalla settimana appena trascorsa. E hanno come set due eventi legati ai due principali partiti del nostro paese.

Il primo episodio è legato al Consiglio Nazionale del Popolo della Libertà del primo luglio. Un evento molto allettante per gli amanti della politica. Molti infatti sono stati gli elementi politici e di costume catalogabili pienamente nell’ampia e variegata galassia delle “berlusconate”. Ma tra tutti questi fenomeni di costume emerge anche uno specifico messaggio politico, di collocazione come si diceva prima, che dovrebbe far riflettere.

Andiamo per ordine: il sottoscritto ha avuto la fortuna/sfortuna di sentire integralmente gli interventi di Silvio Berlusconi e di Angelino Alfano. Tediato da una programmazione notturna di Radio Radicale, molto spesso concentrata più che altro su argute analisi riguardanti la legislazione sul testamento biologico, non vi nascondo una certa felicità nell’apprestarmi a sentire i due interventi capaci di stimolare l’interesse dall’ascoltatore seppur da ottiche diverse.

E dunque Berlusconi ha subito iniziato col botto: in primo luogo al secondo minuto ha nominato Traian Basescu, presidente della repubblica di Romania, citato come esempio di presidente europeo in carica dotato di scarsa popolarità. Successivamente Berlusconi ha detto la seguente frase “Analoga situazione si registra in Francia, dove la Merkel negli ultimi anni ha perso in molte regioni perdendo la maggioranza al Senato”. Insomma, una frase scorretta da molti punti di vista.

Un vero e proprio lapsus politico però forse è avvenuto dopo quando Berlusconi ha presentato il futuro segretario politico del Partito. Berlusconi infatti ha dichiarato: “Conosco Angelino da quando è stato fondato il partito”. Ora, le ipotesi sono due: o si riferisce al PdL, fondato nel 2009, o a Forza Italia. Se si riferisce al PdL la sua frase è un tantino lapalissiana: è ovvio che conosci Alfano dal 2009 se nel 2008 lo hai nominato ministro! Se invece si riferiva a Forza Italia…bè, se fossi un ex An mi preoccuperei e incomincerei a chiedermi se, accantonato il 70%-30%, sotto sotto mi trovo in una Forza Italia allargata.

Il discorso di Alfano invece aveva la particolarità di non essere scritto. Il ministro della giustizia ha parlato a braccio dando prova di una buona retorica considerando l’incipit del discorso basato su un elenco di “io credevo nel ‘94” (alla lotta contro l’oppressione fiscale, a due occidenti uniti per la libertà, ad un sud finalmente padrone del suo destino) per poi finire con “io ci credo ancora!”. Alfano ha elogiato Berlusconi non escludendo una sua ricandidatura nel 2013, anche questo un tantino lapalissiano, e ha citato “esponenti politici dalla indubbia popolarità” come Formigoni, Scajola e Matteoli.

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Siparietto interessante la votazione sulla modifica dello statuto con Berlusconi intenzionato a fare meno di vecchie formalità e Verdini che gli ricorda che “in sala c’è il notaio”. Modifica statutaria che passa col voto contrario di un eroico consigliere regionale friulano, Verdini che invita Berlusconi a far eleggere Alfano, dopo la modifica dello statuto, per acclamazione e il Cavaliere che esclama “Ah, ma bisogna ancora votare?” e il povero Alfano che gli spiega la differenza tra un voto sullo statuto e uno, plebiscitario, sul segretario. E infine un berlusconiano, e molto televisivo, “Evviva!” seguito da “Sono abbastanza commosso”.

Il messaggio politico che esce è che Alfano, almeno a parole, intende portare avanti un gioco di squadra. Nel suo discorso, citando determinati esponenti politici, è come se avesse formalizzato, se non riconosciuto, l’esistenza di correnti e componenti (o di sensibilità, come si direbbe nelle federazioni locali del Pd). Una mossa tesa a non addossarsi responsabilità eccessive come del resto ben testimonia la dichiarazione sulla premiership berlusconiana del 2013. Bisogna ora vedere se questa mossa aperta alle componenti può portare ad una “democratizzazione” del partito. E soprattutto se questo invito alla costruzione di una costituente popolare può dare prospettive al PdL anche nel dopo Berlusconi.

Come spesso accade, la definizione più arguta giunge da Gianfranco Rotondi che ha definito Alfano come un “Forlani tecnologico”, dando adito alla sua figura considerata competente ma non carismatica. Una definizione che ci fa molto ben capire la collocazione di Alfano e del suo soggetto politico. Come ha giustamente osservato Ilvo Diamanti, altro discorso si sarebbe fatto in caso d’elezione di personalità come Tremonti o Formigoni.

Anche nel Pd però una vicenda sta mettendo ordine allo stato e al posto delle cose. Ed è la legge elettorale. Il referendum abrogativo proposto dall’ex Pri ed ex Ds Stefano Passigli ha portato alla nascita di quella che Joseph de Maistre avrebbe definito come “La Forza della Reazione”. Una reazione tesa a preservare una cultura maggioritaria e bipolare. E qui tra Veltroni e Ceccanti notiamo Parisi in prima fila così come i prodiani. Categoria considerata quasi mescolata coi “bersaniani duri e puri” (favorevoli al referendum) dalle primarie dell’ottobre 2009. Dimenticando non solo la caduta del primo governo del Professore nel 1998 ma anche alcune dichiarazioni di D’Alema di tre anni fa contro “una visione della politica tesa ad affidarne la guida ad una classe di tecnocrati e non ai politici”. Insomma, a destra qualche risata e a sinistra la legge elettorale ben ci mostrano le dinamiche dei due schieramenti in campo e il naturale posto delle cose.