Se gli imprenditori non riescono ad assumere italiani

Del lavoro in Italia ci si lamenta da anni: vale per i disoccupati (che non lo trovano) e per i lavoratori (che lo vorrebbero migliore), come pure per gli imprenditori.

Alcuni esponenti del precedente governo Monti hanno cercato di galvanizzare a modo loro gli animi intorpiditi dei giovani&disoccupati italiani.

Ci hanno provato prima con il sottosegretario al lavoro Michel Martone, che ha qualificato come “sfigati” i laureati fuori-corso over 30, poi con le dichiarazioni del ministro Elsa Fornero (“Non siate choosy”, schizzinosi). Lo stesso ex premier Mario Monti si è lasciato andare a una confessione scioccante: “Che monotonia il posto fisso”.

Ma l’intervista dell’imprenditore veneto Giovanni Pagotto – proprietario dell’azienda Arredo Plast – concessa al Corriere del Veneto, potrebbe aprire l’ennesimo dibattito sull’effettiva intraprendenza dei giovani italiani nella ricerca di un posto di lavoro.

Giovanni Pagotto

In effetti le dichiarazioni dell’esperto imprenditore trevigiano fanno riflettere e smentiscono clamorosamente i luoghi comuni insiti tra gli aspiranti lavoratori sul calo delle assunzioni e sulla mancanza di richieste di occupazione da parte dei datori di lavoro.

Con molta delusione mista a incredulità, Pagotto ammette di aver visto e sentito l’impensabile: “Uno che viene al colloquio di lavoro accompagnato dalla mamma, l’altro che, al telefono, ti risponde che è interessato ma non prima di tre mesi perché sta studiando per la patente. Ma si può?”. Le offerte dell’Arredo Plast – leader del settore e maggiore fornitore della multinazionale svedese Ikea – non sembrano essere appetibili a giudizio dei candidati.

Eppure un altro episodio preoccupa ulteriormente Pagotto: “Pochi giorni fa avevamo contattato un neolaureato in ingegneria aerospaziale, ci ha detto che sarebbe venuto se lo avessimo mandato all’estero. Gli ho risposto che volevo rifletterci due giorni ma quando l’ho richiamato per annunciargli che lo avrei inviato alla nostra sede canadese aveva già trovato un altro posto in Germania. Questi in Italia proprio non ci vogliono stare”.

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La fuga di cervelli (o di manovalanza, è d’obbligo allargare il cerchio dei lavoratori espatriati) è un problema di cui la classe politica non si è mai fatta carico.

Ma è altrettanto vero che i dati Istat di maggio hanno registrato la crescita vertiginosa della popolazione Neet (acronimo di Not in Education, Employement or Training), cioè delle persone che non studiano e hanno rinunciato a cercare un lavoro o un tirocinio: +4,4% tra il 2011 e il 2012, +21,1% dal 2008, a inizio crisi. Mentre il tasso di disoccupazione ha superato il 20% (23,4%). Il dato più preoccupante è stato registrato nel Mezzogiorno: 1 giovane su 3 è Neet.

Tuttavia l’azienda del signor Pagotto sta ottenendo degli ottimi risultati grazie anche al contributo della manodopera straniera, più disposta a “rinunciare a un sabato o a una domenica al mese per far funzionare delle macchine che non possono rimanere ferme”.

Una buona notizia per l’imprenditoria italiana, sempre più restia a investire nel nostro paese, soprattutto per la presenza di annosi problemi che restringono gli spazi per i ricavi e impediscono le assunzioni a basso costo: “Burocrazia, tasse, costo del lavoro e dell’energia. Per rimanere competitivo, e per certi prodotti lo siamo più dei cinesi, le mie macchine estremamente automatizzate non devono fermarsi mai. A tre giorni da un ordine Ikea vuole i prodotti in ogni suo negozio d’Europa”.

La recente disputa nella maggioranza di governo sull’abolizione dell’IMU dimostra come al Parlamento sembri importare ben poco la denuncia di Pagotto (che non è isolata). L’abbattimento del costo del lavoro e l’alleggerimento del carico fiscale in busta paga per i lavoratori dipendenti dovrebbero essere le priorità di questa legislatura. Ma – diciamolo pure – ai Neet non serve alcun decreto per stimolare il loro orgoglio e stuzzicare il loro interesse: sull’intraprendenza e la voglia di mettersi in gioco il legislatore non può fare molto.