L’annus horribilis dell’Italia tra lavoro e università

La spirale di notizie negative che interessano il nostro paese, specie in materia di lavoro, sembra non volersi interrompere.

Dopo la pubblicazione dei dati Cna sulla situazione disastrosa dell’edilizia e della manifattura dello Stivale, è la volta della pubblica amministrazione (PA).

Stamattina la Cgil ha lanciato l’allarme precari: al 31 dicembre 2013, potrebbero non essere rinnovati 150.000 contrattiMichele Gentile, coordinatore del Dipartimento del pubblico impiego del maggior sindacato italiano, ha precisato che “se non saranno varati provvedimenti ad hoc, chi ha il contratto in scadenza il 31 dicembre e ha superato i tre anni con proroga, dovrà andare a casa lasciando scoperti servizi ‘stabili’ della pubblica amministrazione”.

Un problema non da poco, stando a quanto riportato dal sindacalista. Gentile traccia una via che possa affrontare di petto il problema: bisogna “con la massima urgenza costruire un percorso che riapra le assunzioni a tempo indeterminato con scelte mirate e che riveda lo sblocco dei contratti di lavoro a tempo determinato, nonché la chiusura di quell’obbrobrio giuridico rappresentato dai vincitori di concorso che non possono essere assunti”.

Ovviamente questo  avrebbe un impatto significativo nelle finanze statali, non troppo in salute in questo periodo di (pseudo) ripresa (l’ottimismo dei ministri Saccomanni e Giovannini è davvero encomiabile).

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Chi, invece, possiede già contratto a tempo indeterminato nella PA non può far festa né godersi le ferie.

Il “congelamento” degli stipendi porterà con sé una perdita di 4.100 euro nel periodo 2010-2014, una mazzata per dipendenti e famiglie.

La beffa non si conclude qui: l’ultimo Consiglio dei Ministri ha prorogato lo stop alla contrattazione e agli automatismi degli stipendi nel settore pubblico.

Repubblica ha descritto nel dettaglio i provvedimenti decisi nel CdM: la proroga riguarda non solo gli stipendi tout court, ma anche “il blocco dei trattamenti economici individuali; la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l’individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari d’incarichi dirigenziali; il limite massimo e la riduzione dell’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; i blocchi riguardanti meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, le progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e di quello in regime di diritto pubblico”.

Ma se la PA non vede davanti a sé un futuro roseo, all’Università italiana andrà peggio: secondo uno studio della società Datagiovani, dall’anno accademico 2007-2008 a oggi, le immatricolazioni ai corsi universitarie sono crollate vertiginosamente del 12,5% (38.340 matricole in meno). Le date prendono in considerazione due estremi fondamentali, ovvero l’inizio della crisi economica negli Stati Uniti (2008) e l’ultimo periodo del governo Monti (settembre 2012).

Scorrendo il rapporto Datagiovani, si notano le differenze tra il nord e il sud del paese: la moria di iscritti è più pesante nel Mezzogiorno e nelle isole (-20%), mentre è meno preoccupante nel Settentrione (-5%). La forbice si allarga confrontando il dato della Sardegna (-23%) e quello dell’Emilia Romagna (-4%). Tuttavia, il crollo d’iscrizioni al sud dipende – in minima parte – dalla scelta delle famiglie, che hanno deciso d’investire sul trasferimento dei figli nelle sedi universitarie di eccellenza del Centro-Nord: per Datagiovani i siciliani sono i più disposti a compiere questo passo.

Dunque il binomio lavoro-giovani – chiave di volta per ogni politica futura – fatica a entrare nell’agenda degli impegni (immediati) del governo Letta, come fu per i suoi predecessori. Il 2013 potrebbe diventare l’annus horribilis del tessuto sociale italiano e Imu, Iva e Tares rischiano di infierire prepotentemente sulla difficile situazione di numerose famiglie italiane. Si parlerà di nuovo – come fosse un refrain ormai consolidato – di “autunno caldo”, eppure di alte temperature sociali si sente parlare da vent’anni.