La politica estera del presidente Barack Obama

AAA STRATEGIA DI POLITICA ESTERA CERCASI

I gravi fatti egiziani di queste settimane hanno messo sotto accusa le scelte di politica estera dell’Amministrazione Obama, da molti analisti internazionali ritenute insignificanti, se non controproducenti.

Certamente il compito che è spettato al Presidente Obama è stato dei più ingrati: diventando Presidente nel 2008, ha dovuto raccogliere l’eredità delle due Amministrazioni di Bush jr. Le scelte di George Bush già avevano minato la credibilità internazionale degli USA con le due guerre intraprese nel giro di soli due anni, in Afghanistan e, soprattutto, in Iraq, con il fallimento politico e militare di quest’ultima, oltre agli scandali legati alle torture a Guantanamo e al carcere di Abu Ghraib.

La politica estera del democratico Barack Obama è stata senza dubbio segnata da alcuni eventi esterni che ne hanno segnato il corso, sullo sfondo di una crisi economico- finanziaria senza (o quasi) precedenti. Tra questi, la rielezione di Vladimir Putin a Presidente della Federazione Russa, dopo il ben più innocuo Medvedev, nel corso della cui Presidenza le relazioni con gli USA erano più miti di ora. Sfruttando la propria forza politica e carismatica, Putin ha di recente beffeggiato gli USA, accogliendo nel proprio Paese la talpa del Datagate, Edward Snowden, senza curarsi dei moniti di Washington.

Le imbarazzanti fughe di notizie

Le fughe di notizie avvenute prima con Wikileaks, poi con il Datagate, hanno messo a nudo le debolezze della potenza americana e le hanno fatto perdere parte della sua rispettabilità, creando enorme imbarazzo al Dipartimento di Stato, così come al Dipartimento della Difesa. Al contempo, le accuse di cyber-spionaggio mosse contro la Cina risultano fragili, poiché gli stessi USA hanno dimostrato d’aver “rubato segreti”, tanto ai nemici, quanto ai partner.

Il recente allarme di un possibile attacco alle ambasciate USA, che ha portato alla chiusura lo scorso 4 agosto di una ventina di sedi diplomatiche in una vasta area che si estende dall’Asia Centrale al Nord Africa, sembra essere più uno specchietto per le allodole che un allarme fondato. Il sospetto sorto in alcuni osservatori è stato che gli USA abbiano montato ad arte questo allarme, giustificandolo sulla base di intercettazioni tra i vertici di Al-Qaeda, raccolte dalla NSA, semplicemente per mostrare al mondo che le intercettazioni servono e sono essenziali per difendere i cittadini americani. Risulta difficile, infatti, credere che la NSA sbandieri ai quattro venti che stia intercettando le conversazioni dei leader di Al-Qaeda…

La palude mediorientale

Tuttavia, è lo scenario Mediorientale quello più complesso, dove l’Amministrazione Obama sembra essersi impantanata. Dallo storico discorso tenuto da Obama all’Università del Cairo il 4 settembre 2009, di cose ne sono accadute molte e altrettante aspettative sono andate deluse. Nel discorso del “New Beginning”, Obama, primo Presidente USA con origini musulmane, tendeva le mani al mondo musulmano. Quello stesso discorso fu menzionato dalla Commissione che poi gli assegnò il Nobel per la Pace: in esso, Obama mostrava di voler segnare una netta discontinuità con l’interventismo del suo predecessore. “Permettetemi di essere chiaro: nessun tipo di regime potrà o dovrà essere imposto ad una Nazione, da un’altra Nazione”.

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EGITTO. Il discorso del “Nuovo inizio” aveva galvanizzato l’opinione pubblica mondiale e suscitato importanti speranze nei popoli di molti regimi non democratici del mondo arabo. Su tutti, il popolo egiziano. Oggi quello egiziano è un popolo deluso, di fronte all’attendismo USA e alle vacillazioni mostrate da Washington sulla definizione di “colpo di Stato” riguardo la destituzione di Morsi a inizio luglio. Ad oggi, l’unica intimidazione mossa dagli USA all’Egitto è stata quella di un possibile taglio ai finanziamenti da 1 miliardo e mezzo di dollari annuali che da quarant’anni Washington versa al Cairo. Questi lauti finanziamenti servono all’Egitto non solo per l’acquisto di armi militari, ma anche e soprattutto per mantenere la stabilità ai confini con Israele. Un loro taglio sarebbe quanto di più dannoso potrebbe verificarsi. Tuttavia, riconoscere che c’è stato un golpe, implicherebbe la fine dei finanziamenti all’Egitto, secondo la legge USA.

I Fratelli Musulmani si sentono traditi dagli USA, che non stanno frenando le violenze perpetrate dall’esercito, mentre i loro oppositori si sono sentiti traditi quando l’allora Presidente Morsi violava apertamente i principi democratici, senza che gli USA condannassero tali abusi.

SIRIA. Gli USA sono rimasti alla finestra, e lo sono tuttora in alcuni dei conflitti più violenti e aspri del post- Bush. Accade in Egitto, come in Siria, dove la voce grossa fatta da Washington contro Bashar al-Assad non ha condotto a nulla. Anzi, a qualcosa ha condotto. Il vuoto di potere lasciato dagli USA è stato  colmato facilmente da altre potenze regionali: in Egitto è stato colmato dall’Arabia Saudita, storico partner USA, che finanzia, neanche troppo segretamente, l’esercito egiziano. In Siria, gli sciiti filo-iraniani di Hezbollah hanno finora potuto agire indisturbati, rafforzando l’asse anti-americano capeggiato dall’Iran e sostenuto dal governo di Assad. La passività degli USA risulta ancor più stupefacente nel caso della guerra civile siriana, che prosegue da due anni, con 100 000 morti stimati dall’ONU, migliaia di profughi che si affollano quotidianamente ai confini con la Giordania, la Turchia o il Libano, con il rischio di un contagio soprattutto nel Paese dei Cedri e con l’ormai concreta presenza di “infiltrati” tra le fila dell’una e dell’altra fazione. Nonostante i molti e reiterati proclami, Ginevra 2, la grande conferenza sul futuro della Siria, annunciata per primo dal Segretario di Stato USA John Kerry, non solo non si è ancora tenuta, ma non è nemmeno stata fissata una data possibile.

ISRAELE. Anche sul fronte delle relazioni con Israele ci sono molte pecche. Obama si è recato in Israele solo a marzo, per la prima volta da Presidente. E’ venuto a mancare un supporto deciso e veemente ad Israele, il quale ha proseguito con la politica di colonizzazione di Gerusalemme est e della Cisgiordania, contravvenendo alle indicazioni degli USA. Con l’avvio dei negoziato israelo -palestinesi, ripresi il 29 luglio dopo tre anni, sotto la supervisione di John Kerry, l’Amministrazione Obama sembra aver intrapreso un percorso più audace nelle relazioni con Israele. I negoziati non termineranno prima del maggio 2014, sarà un processo lungo, che non è detto che porterà ad una soluzione. Il dubbio è che, con i confinanti di Israele alle presi con guerre civili e rischi di contagio, i negoziati di pace promossi da Obama e Kerry conducano non ad uno stato finale, ma ad un equilibrio ancor più precario.

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Il doppio volto della politica estera di Obama

Eppure, il primo mandato è stato segnato anche da altri episodi, in direzione nettamente opposta a quella fin qui descritta: fu Obama che diede ordine ai Navy SEALS di catturare Osama Bin Laden, senza informarne la autorità locali in Pakistan; fu sempre l’ Amministrazione Obama a partecipare attivamente alla guerra in Libia, alla caduta di Gheddafi e, seppur meno apertamente, a quella di Mubarak; fu la sua Amministrazione ad insabbiare mediaticamente i fatti sulla morte dell’ambasciatore Stevens a Bengasi nel settembre 2012, in vista della rielezione.

Mentre il Premio Nobel Barack Obama lascia ancora aperta la prigione degli orrori di Guantanamo, ci si chiede come abbiano fatto gli USA a smarrire così brutalmente una strategia di politica estera, dopo l’89, sparpagliando i propri sforzi un po’ dappertutto, ma senza successi evidenti da nessuna parte. Forse Obama non si è circondato dei migliori consiglieri di politica estera, forse il cambio di Segretario di Stato condurrà ad una strategia più definita.  “Four more years” era lo slogan della campagna presidenziale 2012: Obama ha “Three more years” per dare un senso alla posizione degli USA sulla scena internazionale.