Rohani punta alla distensione: “Usa-Iran, un dialogo è possibile”

Lo “sceicco diplomatico” moderato Hassan Rohani, vincitore delle ultime elezioni presidenziali iraniane, dopo aver parlato al canale americano NBC, ha scritto anche al Washington Post: è il “nuovo corso” della politica iraniana?

“Dobbiamo darci la mano per collaborare costruttivamente in vista del dialogo nazionale: che si tratti della Siria o del Bahrein”. Sceglie le colonne di un giornale americano, il presidente Rohani, per candidarsi al ruolo di arbitro nelle sanguinose controversie del Vicino Oriente.

Dopo la Russia, anche la repubblica islamica che sotto la presidenza Ahmadinejad era considerata il più pericoloso tra gli “stati canaglia”, gioca le sue carte nella partita che si sta svolgendo in Siria. Ma non rinuncia a proporsi come interlocutore politico anche per quanto riguarda il Bahrein: dove le proteste della maggioranza sciita diventano sempre più pressanti e rischiano di inasprire ancor di più la repressione ad opera della monarchia filo-sunnita che regge le sorti del paese.

Rohani, eletto tre mesi fa e ancora poco conosciuto, sembra voler dare un nuovo volto alla politica iraniana: nessuna negazione della Shoah, al contrario augura un buon capodanno a “tutti gli ebrei iraniani” su Twitter, inoltre per lui l’11 Settembre è opera di Al Qaeda e non un complotto internazionale o un “inside job” come Ahmadinejad aveva affermato alle Nazioni Unite appena tre anni fa.

“La politica internazionale è cambiata” e “la guerra fredda in cui si perde tutti” appartiene al passato, sono troppe e troppo importanti le sfide della “nuova arena multidimensionale” in cui si svolgono i rapporti internazionali. Il messaggio a Obama è chiaro: “non puoi farcela da solo”.

Gli Usa hanno bisogno dell’Iran, e dei suoi alleati, per riportarsi in vantaggio nella Regione? Forse. In un’intervista alla ABC d’altra parte, Obama ha dichiarato di non sentirsi minacciato dalla Russia e che se Putin ha degli interessi nella Siria post-Assad ciò non disturberebbe gli obiettivi americani. Sicuramente l’Iran ha bisogno che le sanzioni che pesano sulla sua economia vengano notevolmente ridotte.

Anche se Obama ha dichiarato che “gli iraniani non devono pensare che, poiché non abbiamo colpito la Siria, non colpiremo l’Iran”, ammette pure che effettivamente il dialogo con Rohani è già cominciato attraverso uno scambio di missive che è partito dai complimenti per la vittoria alle elezioni del 14 Giugno, come conferma anche il ministero degli esteri di Teheran: lo scambio, di cui non si conosce l’effettivo contenuto e che potrebbe essersi limitato a “cerimonie”, è stato mediato dalla Svizzera che cura le relazioni statunitensi in Iran.

I due paesi, infatti, non dialogano dal 1979, dopo il sequestro di 52 ostaggi nell’ambasciata americana di Teheran. Era l’Iran di Khomeini, ancora protagonista della politica mediorientale (tanto che Time ultimamente gli ha dedicato una copertina) e di cui Rohani è diretta emanazione tuttavia, in qualche modo, anche molto diverso. Lui infatti ha vinto le elezioni sulla questione del lavoro giovanile e sempre più spesso apre alle libertà individuali, a internet.

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Davvero si vuole inaugurare una nuova collaborazione col “grande Satana”?

Alla NBC, Rohani, ha dichiarato, rispondendo a una domanda su Israele: “non svilupperemo mai armi nucleari, non vogliamo la guerra con nessuno ma pace e amicizia tra i paesi di tutta l’area”.

Secondo il giornale tedesco Spiegel, il presidente iraniano sarebbe disposto a smantellare la centrale nucleare di Fordo, la più segreta e inespugnabile, oltre a permettere le ispezioni dell’ONU e la distruzione delle quasi 700 centrifughe capaci di arricchire l’uranio oltre il 20% in suo possesso.

Gli Usa a quel punto potrebbero convincersi a ridurre le sanzioni e avrebbero un Iran alleato in Siria: Rohani toglierebbe l’appoggio a Hezbollah in Libano, principale sostenitore di Assad, e creerebbe le basi per una pace in cui tutti avrebbero il proprio tornaconto. Il 24 Settembre Rohani sarà a New York per recarsi al “Palazzo di Vetro” dell’ONU, a chi gli chiede se sarebbe disposto a incontrare Obama non risponde con un “no” perentorio. Il governo americano è pronto a fare questo passo?