Quell’aiuto non richiesto per i lavoratori

Uno dei leitmotiv della sinistra soprattutto riformista e moderata è quello per cui la precarietà dei giovani si può combattere rendendo conveniente l’assunzione a tempo indeterminato, e non remunerativa quella a progetto o a tempo determinato, quindi diminuendo il cuneo fiscale sul lavoro per i contratti a tempo indeterminato e magari aumentandolo su quelli precari.
La cosa potrebbe essere pensata, da un punto di vista più liberista, come la trasformazione della natura del contratto in una parte stessa del salario, e della paga, vedendo il contratto a tempo indeterminato come un benefit che compensi una diminuzione del salario, e la precarietà del contratto come uno svantaggio che sia compensabile con un salario maggiore. Il tutto senza intervento statale.
Il secondo governo Prodi pensò anche di agire in modo più esplicito e forzoso, rendendo obbligatoria la trasformazione del contratto a progetto in tempo indeterminato dopo 36 mesi. Il successivo governo Berlusconi ha di fatto depotenziato questo provvedimento. Le vittime della legge dei 36 mesi sono state non poche: allo scadere dei mesi è stato uso delle aziende proporre l’assunzione in nero o lasciare a casa addetti per cui non sarebbe stato possibile rinnovare il contratto a progetto, come il caso di addetti ai call center.


Il punto è che qui vi è un classico bias ideologico di sinistra: si crede che l’impresa che assume a tempo determinato o a progetto lo faccia in massima parte per risparmiare o perchè vuole approfittarsi del lavoratore, e che potrebbe benissimo assumerlo a tempo indeterminato, ed è solo questione di volontà o convenienza economica. Non è così. Quello che viene ignorato è che il problema è la fungibilità della competenza del lavoratore: nel momento in cui la mansione è poco specializzata, si può apprendere in fretta e l’offerta di lavoro da parte di chi è in cerca di occupazione è alta, spesso anche la produttività di questo tipo d lavoro è bassa, e la durata del progetto cui si riferisce, incerta. Per cui il datore di lavoro non ha alcuna convenienza a legarsi a qualcuno da cui non ci si può separare in caso di diminuzione del volume di lavoro o di qualsiasi altro problema, vista la grande facilità nel trovare e istruire qualcun altro. L’aumento costante dell’occupazione dopo la legge Treu fino al 2008 è stata provocata soprattutto dalla tendenza di aziende piccole, spesso di servizi ad assumere persone in più a tempo determinato o a progetto, per un aiuto al lavoro già presente mentre prima si faceva il lavoro di 6 in 4 per evitare di assumere 2 persone in più a tempo indeterminato, che quando venivano assunte, lo erano in nero. La produttività infatti non è aumentata purtroppo, a dimostrazione che si tratta di una diversa organizzazione di un lavoro che già esisteva, solo utilizzando più lavoratori regolari.

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Per questo rendere o obbligatorio per legge o di fatto (attraverso una convenienza economica) il contratto a tempo indeterminato per queste figure professionali a bassa specializzazione determinerebbe solo un aumento del lavoro nero o financo della disoccupazione perchè è chiaro che lo studio o la piccola azienda riterrà possibile fare il lavoro di 6 persone in 5 pur di non “sposare” una persona.
In realtà il problema non risiede nel mercato del lavoro in sè, ma nella scarsa presenza di lavori ad alta specializzazione, i cui addetti possono maggiormente ambire a un contratto a tempo indeterminato perchè più indispensabili. Si tratta di una circostanza tragica, anche i pochi laureati (rispetto al resto d’Europa) in Italia vi è un problema di collocazione ed occupazione degli stessi. E’ però un problema in gran parte di mentalità imprenditoriale, di mentalità di quegli imprenditori, spesso non istruiti, spesso al loro posto solo per successione familiare e non merito, che pensano che “piccolo è bello”, non vogliono fondersi con altre aziende, perdendo così la loro fettina di potere e non hanno in questo modo la forza e i fondi di fare ricerca e cercare mercati lontani, se anche ne avessero voglia. E purtroppo la mentalità non si cambia per decreto.